I
Morte France, attivi dal 2021, con membri provenienti da Francia e Canada, a distanza di due anni dal discreto esordio
"Souveraineté radiale", si ripresentano con la loro seconda opera lunga proprio in questi giorni di fine 2025:
"Hesperia" (
Antiq Records).
Innanzitutto vorrei spendere due parole su una delle immagini allegata al promo del disco, in quanto rivela immediatamente, a chi è in possesso delle conoscenze necessarie, quella che è l'ambientazione concettuale su cui si muovono queste sette tracce.

Non possiedo ancora informazioni ufficiali della band in merito a quello che scrivo (anche se qualche elemento rivelatorio lo si trova sul web, tra cui una citazione del
Guénon nella pagina bandcamp dell'Ep
"Sola Fide"), dunque prendetelo con il beneficio del dubbio, ma sono altresì piuttosto certo di ciò che affermerò, in quanto alcuni riferimenti sono inequivocabili per colui che si trovi dentro a un certo mondo.
Il simbolo dei
Morte France che dovreste vedere qui sopra, tenta, riuscendovi, di costruire un’immagine di forte matrice politico-sacrale, condensando in un unico emblema la morte della Francia rivoluzionaria e il ritorno di un principio imperiale metastorico.
L’aquila bicipite coronata, simbolo archetipico dell’autorità universale e della compenetrazione tra potere spirituale e temporale, domina la composizione: le due teste che guardano in direzioni opposte alludono alla capacità di unificare gli opposti, di ricomporre la frattura del mondo moderno attraverso un centro indiviso.
L’aquila bicipite, attestata in area europeo-cristiana almeno dal X-XI secolo in ambito bizantino, entrò nel repertorio simbolico del
Sacro Romano Impero in modo sporadico tra XIII e XIV secolo, per poi diventare emblema ufficiale dell’Impero nel XV secolo, con
Sigismondo di Lussemburgo (1433), rimanendo tale fino alla dissoluzione del 1806.
Sotto l'aquila, schiacciata e subordinata, appare la testa con cappello frigio, segno immediato della Francia giacobina e dell’immaginario repubblicano; la sua posizione inferiore è eloquente, perché rappresenta l’eclissi della modernità rivoluzionaria sotto il peso di un principio più antico, gerarchico e sacrale.
Nella zampa dell’aquila compare una piccola croce radiante, interpretabile sia come simbolo della cristianità tradizionale sia come croce solare, cioè come sigillo di una luce arcaica e ordinatrice. La sua presenza rafforza l’idea di una sovranità che non è solo politica, bensì metafisica, capace di integrare e oltrepassare le forme storiche della religione e dell’autorità, traendo il suo potere dall'alto, e verso questo protendendosi.
L’insieme potrebbe voler mirare a produrre un messaggio netto e deciso: la Francia nata dal 1789 è rappresentata come decadente o già defunta, mentre un principio pre-moderno – verticale, imperiale e sacro – riafferma la propria superiorità. L’estetica austera e araldica del disegno non mira alla nostalgia, bensì a un’affermazione di ordine: la modernità egalitaria è messa sotto giudizio, e al suo posto si staglia il ritorno di un’autorità totale, unitaria, trascendente.
Il fatto che il disco si apra con
"Waldgänger", richiamando la figura di
"colui che passa al bosco", il
"viandante della foresta", del
Trattato del Ribelle di
Jünger (1951), riconferma le mie congetture sugli aneliti a una rievocazione di una civiltà fondata su un ordine sacrale.
Venendo invece all'aspetto musicale, ci troviamo di fronte a un'opera di Black metal moderno – dalla produzione nitida e profonda – con forti tratti epici, dove sotto le spoglie di suoni abbastanza curati le grammatiche iconoclaste della fiamma nera si intrecciano con riff dal taglio più arioso e melodico, talvolta quasi Heavy, in cui i numerosi inserti epici appaiono assai marcati ed altisonanti. In generale vi è un continuo oscillare da parte del singer
Kval su vari registri: prevalentemente forme di growl e di scream, ritagliandosi un piccolo spazio anche le clean vocals, con tanto di liriche femminili (nella quarta traccia accreditate a
Audrey Sylvain, in passato già nei
Peste Noire), che ben si sposano con l'impronta sinfonica di alcuni frangenti.
Si tratta di composizioni piuttosto articolate che lasciano percepire un certo influsso della scena
Métal noir québécois – mi vengono a mente
Departure Chandelier e
Chasse-Galerie – e in generale il Black francese dai tratti pregni di grandeur e al patriottismo dei
Peste Noire. Bensì anche realtà del panorama tedesco come
Morrigan e
Dauþuz, e talune sperimentazioni Progressive tra
Kampfar ed
Helheim, sempre declinate in salsa francofona. Inoltre, curiosamente, trova respiro perfino un pizzico di elettronica sulla scia dei
Godkiller nella
"Title-track". In ogni caso non si deve pensare a un LP eccessivamente sperimentale: la matrice di riferimento, nonostante l'eterogeneità, è sempre dura, piuttosto immediata, e non scade in articolazioni dispersive e tedianti.
La proposta dei
Morte France ha caratteri teatrali pronunciati e non è detto che sia adatta a tutti: qualcuno potrebbe trovarla ridondante. Comunque sia nonostante la qualità raggiunga livelli elevati, ritengo che ci troviamo al cospetto di un gruppo che ancora non è pervenuto alla sua piena maturità stilistica, ed è anche naturale che sia cosi, essendo questo soltanto il secondo lungo della loro discografia. Spero che riusciranno a perfezionare ulteriormente la loro arte, uniformando di più le plurime innervazioni dell'ecletticità che li contraddistingue, per una costruzione di insieme ancora più organica.