Mi rendo perfettamente conto che si è trattato di un atteggiamento poco “professionale”, ma mi sono avvicinato al lavoro dei
Winds of Neptune grazie alla
t-shirt dei Tempest ostentata da uno (credo si tratti di
Kevin Roberts) dei membri del suddetto trio americano nelle foto promozionali a supporto di questo loro albo eponimo.
Ovviamente nella scelta ha contato anche la descrizione del genere musicale propugnato e tuttavia nel
mare magnum dei frequentatori dell’
heavy-psych, anche piccoli e fatui dettagli come quello citato hanno finito per indirizzare le preferenze d’ascolto.
“Convinto” che chi decide di indossare la maglietta di un gruppo fenomenale e non troppo
à la page come quello fondato dagli ex-Colosseum
Jon Hiseman e
Mark Clarke (ma ricordiamo anche il contributo di un “certo”
Allan Holdsworth e di
Ollie Halsall) non potesse “fallire”, in un ambito espressivo in cui la cultura specifica è importante per alimentare la necessaria ispirazione, ho subito dopo appreso che in realtà la
band di Detroit può vantare anche
curricula di spessore, che comprendono, tra gli altri, Flogging Molly (
Alonso), The Meatmen (
Roberts) e 500 Ft. of Pipe (
Westerbur).
Esperienze abbastanza variegate e che hanno visto i nostri anche impegnati in collaborazioni “incrociate” (
Kevin e
Ross nei Bluesong,
Kevin e
Mike nel progetto
thrash metal Mykronian, e
Ross e
Mike negli Aquarius Void) a testimonianza di un legame artistico solido e non “improvvisato”.
Alla prova dei fatti, suggestioni superficiali e incentivanti vicende professionali s’impastano e si concretizzano in un
sound fatalmente debitore nei confronti di Black Sabbath, Bloodrock, Foghat, Budgie e Captain Beyond, e in cui non mancano suggestioni più “moderne”, intendendo con tale termine forme di rielaborazione dei precetti dei suddetti maestri del
rock “duro e allucinogeno” (
grunge,
stoner).
L’inizio è folgorante: “
The faun's rhyme” ha la forza tellurica dei Grand Funk e di certi Bang, ma potrebbe piacere anche agli estimatori di
Jack White, “
Gas giant” rotola nei sensi con il suo misto tra
Sabs e
Hendrix e “
La cacciata” chiude il lato A del disco coagulando le varie influenze in un’acida e pulsante
jam dagli effetti emotivi assai “impressionanti”.
“
Temporal mutant” sembra quasi una propaggine del brano precedente, ma aggiunge un pizzico di maggiore pressione ritmica e propensione “cosmica” all’impasto sonico, e con “
U.S.L.” la
band accentua l’urgenza melodica della sua proposta, in un frammento di puro
hard-rock blues dai contorni visionari e magnetici.
“
So sayeth the mouth of the void” chiude la versione in vinile dell’opera sconfinando in territori
space / stoner-osi e ambientazione simile la ritroviamo pure nelle spire concentriche e nelle voci “aliene” di “
The fitz”, una delle le due
bonus track riservate alla variante in
Cd e in digitale di “
Winds of Neptune”, mentre nell’altra, intitolata “
Queen of Sumatra”, affiora nuovamente un approccio più “classico” alla materia.
Chi vive il
rock n’ roll come un’esperienza straniante, catartica e ipnotica non dovrebbe proprio mancare il contatto con i
Winds of Neptune, un gruppo, fin dalle scelte “estetiche”, non banale e meritevole di considerazione.
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