Nel novembre del 1982 (come c’informa la
webzine più
gloriosa della
Rete) esce “
Saints & sinners”, il quinto album dei Whitesnake e nello stesso mese del 2025 i
Sainted Sinners danno alle stampe la loro quinta fatica discografica, intitolata “
High on fire”.
Aggiungiamo la recente notizia del “pensionamento” volontario di
Mr. David Coverdale e mentre ascolto l’oggetto di questa disamina, la prima “ardita” considerazione che balena nel mio ormai ottenebrato cervello è che certe antiche sonorità non smetteranno mai di suggestionare i sensi dei
rockofili e che la preziosa eredità di certi colossi del settore non è in pericolo di “sperperamento” se a gestirla c’è “gente” come i
Sainted Sinners.
Musicisti appartenenti ad una generazione che seppur troppo giovane per vivere direttamente l’epopea aurea dell’
hard-rock ha accumulato l’esperienza e la cultura necessarie per evitare di riproporre in maniera didascalica e inerte gli assiomi di quel
sound.
In “
High on fire” il filo connettivo che lega i nostri con Led Zeppelin, Deep Purple, UFO, Whitesnake e Rainbow è solido e definito, ma non fornisce mai l’impressione di dare luogo a una forma di riproduzione fastidiosamente convenzionale e asettica.
Merito, come anticipato, del
feeling e dell’ispirazione che alimenta le indoli artistiche di
Jacopo ‘Jack’ Meille (Mantra, Damn Freaks, Tygers Of Pan Tang, …),
Frank Pané (Bonfire),
Ernesto Ghezzi (Gotthard),
Samy Saemann (ex-Fredom Call) e
Berci Hirleman, artefici di un’opera che ha i mezzi per sbaragliare la sempre agguerrita e affollata concorrenza in fatto di “classic rock”.
Un bel passo avanti rispetto al già pregevole “
Taste it”, insomma, in virtù di una maggiore identità e varietà compositive, in un
songbook mai banale e semplicistico anche quando le fonti ispirative sono assai palesi.
E poi c’è la voce di
Jacopo, che continuo a considerare una delle più belle e intense dell’intera scena di riferimento, e che infiamma immediatamente le frementi pulsazioni armoniche di “
Crown of thorns”, una sorta di fusione “a caldo” tra
Ozzy e i Rainbow che intriga fin dal primo contatto.
“
Out of the blue” cagiona una bella scossa emotiva in tutti quelli (spero tanti …) che considerano i Bad Company un mastodonte del genere, da onorare e celebrare con intelligenza e cognizione, proprio come fanno i
Sainted Sinners, capaci, subito dopo, di piazzare una perla melodica denominata “
Night after night” che materializza le nobili
silhouette degli
Zeps a ridosso degli
eighties e del migliore
Robert Plant solista.
I sussulti
funky di “
Sunshine” aggiungono un
groove arroventato e suadente al ricco impasto sonico e se non vi emozionate per l’avvolgente
pathos passionale che intride “
Empty days of wonder”, forse avete bisogno di un minuzioso
check-up sensoriale.
Arrivati alla t
itle-track dell’albo, sono i Van Halen ad aggregarsi alla ricca compagnia di numi tutelari sagacemente magnificati dal gruppo, mentre “
Down in a hole” è semplicemente una bella canzone impregnata di
hard-blues “mutante” e “
Hide in the dark” si spinge a tentare contaminazioni sinfoniche e teatrali, gradevoli e apprezzabili e tuttavia vagamente “rivedibili”.
Con il
mix Deep Purple / MSG di “
Sweet sweet addiction” la
band ritorna su intenzioni espressive maggiormente mirate e coerenti, le stesse che le foschie di “
Lost in a storm” conducono a evocative atmosfere Rainbow / Sabbath-
iane.
In conclusione di scaletta, continua il rapporto “particolare” dei
Sainted Sinners con i
remake, una passione qui espressa attraverso le note immortali di “
Who are you” degli Who: il risultato è migliore di quello ottenuto con “
Losing my religion” dei R.E.M. nel disco precedente e tuttavia in tutta sincerità avrei preferito una
cover in meno e un brano “originale” in più.
“
High on fire” è un modo brillante di ossequiare il magnanimo passato del
Rock n’ Roll, partecipando all’inevitabile “gioco delle citazioni” con classe e uno spirito artistico che, sebbene certamente non “innovativo”, definirei almeno “propositivo” … in ogni caso, la testimonianza di un retaggio in buone mani e, soprattutto, davvero un gran bell’ascoltare.