Copertina 8

Info

Anno di uscita:2025
Durata:47 min.
Etichetta:Rock of Angels Records

Tracklist

  1. CROWN OF THORNS
  2. OUT OF THE BLUE
  3. NIGHT AFTER NIGHT
  4. SUNSHINE
  5. EMPTY DAYS OF WONDER
  6. WORLD’S ON FIRE
  7. DOWN IN A HOLE
  8. HIDE IN THE DARK
  9. SWEET SWEET ADDICTION
  10. LOST IN A STORM
  11. WHO ARE YOU

Line up

  • Jack Meille: vocals
  • Frank Pané: guitars
  • Samy Saemann: bass
  • Ernesto Ghezzi: keyboards
  • Berci Hirlemann: drums

Voto medio utenti

Nel novembre del 1982 (come c’informa la webzine più gloriosa della Rete) esce “Saints & sinners”, il quinto album dei Whitesnake e nello stesso mese del 2025 i Sainted Sinners danno alle stampe la loro quinta fatica discografica, intitolata “High on fire”.
Aggiungiamo la recente notizia del “pensionamento” volontario di Mr. David Coverdale e mentre ascolto l’oggetto di questa disamina, la prima “ardita” considerazione che balena nel mio ormai ottenebrato cervello è che certe antiche sonorità non smetteranno mai di suggestionare i sensi dei rockofili e che la preziosa eredità di certi colossi del settore non è in pericolo di “sperperamento” se a gestirla c’è “gente” come i Sainted Sinners.
Musicisti appartenenti ad una generazione che seppur troppo giovane per vivere direttamente l’epopea aurea dell’hard-rock ha accumulato l’esperienza e la cultura necessarie per evitare di riproporre in maniera didascalica e inerte gli assiomi di quel sound.
In “High on fire” il filo connettivo che lega i nostri con Led Zeppelin, Deep Purple, UFO, Whitesnake e Rainbow è solido e definito, ma non fornisce mai l’impressione di dare luogo a una forma di riproduzione fastidiosamente convenzionale e asettica.
Merito, come anticipato, del feeling e dell’ispirazione che alimenta le indoli artistiche di Jacopo ‘Jack’ Meille (Mantra, Damn Freaks, Tygers Of Pan Tang, …), Frank Pané (Bonfire), Ernesto Ghezzi (Gotthard), Samy Saemann (ex-Fredom Call) e Berci Hirleman, artefici di un’opera che ha i mezzi per sbaragliare la sempre agguerrita e affollata concorrenza in fatto di “classic rock”.
Un bel passo avanti rispetto al già pregevole “Taste it”, insomma, in virtù di una maggiore identità e varietà compositive, in un songbook mai banale e semplicistico anche quando le fonti ispirative sono assai palesi.
E poi c’è la voce di Jacopo, che continuo a considerare una delle più belle e intense dell’intera scena di riferimento, e che infiamma immediatamente le frementi pulsazioni armoniche di “Crown of thorns”, una sorta di fusione “a caldo” tra Ozzy e i Rainbow che intriga fin dal primo contatto.
Out of the blue” cagiona una bella scossa emotiva in tutti quelli (spero tanti …) che considerano i Bad Company un mastodonte del genere, da onorare e celebrare con intelligenza e cognizione, proprio come fanno i Sainted Sinners, capaci, subito dopo, di piazzare una perla melodica denominata “Night after night” che materializza le nobili silhouette degli Zeps a ridosso degli eighties e del migliore Robert Plant solista.
I sussulti funky di “Sunshine” aggiungono un groove arroventato e suadente al ricco impasto sonico e se non vi emozionate per l’avvolgente pathos passionale che intride “Empty days of wonder”, forse avete bisogno di un minuzioso check-up sensoriale.
Arrivati alla title-track dell’albo, sono i Van Halen ad aggregarsi alla ricca compagnia di numi tutelari sagacemente magnificati dal gruppo, mentre “Down in a hole” è semplicemente una bella canzone impregnata di hard-blues “mutante” e “Hide in the dark” si spinge a tentare contaminazioni sinfoniche e teatrali, gradevoli e apprezzabili e tuttavia vagamente “rivedibili”.
Con il mix Deep Purple / MSG di “Sweet sweet addiction” la band ritorna su intenzioni espressive maggiormente mirate e coerenti, le stesse che le foschie di “Lost in a storm” conducono a evocative atmosfere Rainbow / Sabbath-iane.
In conclusione di scaletta, continua il rapporto “particolare” dei Sainted Sinners con i remake, una passione qui espressa attraverso le note immortali di “Who are you” degli Who: il risultato è migliore di quello ottenuto con “Losing my religion” dei R.E.M. nel disco precedente e tuttavia in tutta sincerità avrei preferito una cover in meno e un brano “originale” in più.
High on fire” è un modo brillante di ossequiare il magnanimo passato del Rock n’ Roll, partecipando all’inevitabile “gioco delle citazioni” con classe e uno spirito artistico che, sebbene certamente non “innovativo”, definirei almeno “propositivo” … in ogni caso, la testimonianza di un retaggio in buone mani e, soprattutto, davvero un gran bell’ascoltare.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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