I
Maha Sohona sono un trio di esploratori dei meandri dell’
heavy psych giunto con questo “
A dark place” alla terza tappa discografica di un viaggio che gli estimatori di Tool, Karnivool e Alice In Chains saranno lieti d’intraprendere insieme a loro.
Un itinerario tra
grunge,
stoner e barlumi di
progressive rock che si dipana tra angosce esistenziali, ipnotiche solennità e strappi catartici, dunque, il tutto abbastanza ben congegnato e assemblato da musicisti che riescono a mantenere la tensione espressiva sempre piuttosto elevata, evitando che il tipico effetto claustrofobico e stordente esca dai binari del coinvolgimento e si trasformi in monotonia.
Allo scopo, tra i solchi di “
A dark place” oltre ai principali modelli artistici già citati, affiorano anche taluni rimandi a certi Pearl Jam (vedasi, per immediato riscontro, i bagliori
folkie di “
Uddh”), abilmente impastati con flussi imponenti d’inquietudini orbitali (“
Liquid motion medicine”, la Tool-
iana “
Visions”) e con squarci di pure visioni “desertiche” (“
Voyagers”).
Talvolta affiora appena un pizzico di ripetitività (“
Ostera”) e forse, in generale, all’efficacia complessiva dell’opera avrebbe giovato una minima riduzione della durata dei brani, ma in ogni caso si può affermare che la diluizione dei suoni, tipica del genere, non appare praticamente mai fine a sé stessa, generando nell’ascoltatore appassionato quel “sano” disagio emozionale (la cupa “
The long way home”) che brama provare durante le sue immersioni musicali.
In questo senso, il lavoro dei
Maha Sohona suscita rispetto e ammirazione, e l’impressione è che con una maggiore calibratura delle varie componenti espressive gli svedesi potranno sublimare il notevole potenziale artistico che possiedono.
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