Se il termine “dream thrash” vi fa pensare a riff serrati e atmosfere oniriche, beh "
Stargod" degli
Astronoid risulta a dir poco fuorviante: il thrash è del tutto assente, ma il sogno è ovunque. Il quarto album del trio di Boston è una virata decisa verso un synth rock da arena, dove le tastiere esplodono in aperture bombastiche e la malinconia si insinua sotto una superficie apparentemente luminosa.
La band, guidata dalla voce limpida e accattivante di
Brett Boland, costruisce un universo sonoro che ricorda i norvegesi
Keldian, ma in una versione più pop-oriented e meno power metal. Le atmosfere sono eteree, quasi mistiche, e ogni brano sembra voler trasmettere positività — salvo poi rivelare una sottile vena malinconica che permea l’intero disco. È un contrasto affascinante, che dona profondità emotiva a pezzi come “
Embark” e “
The Stargod”, dove la produzione stellare (in tutti i sensi) esalta ogni sfumatura.
La scelta di abbandonare in parte le radici post-metal/shoegaze di "
Air" e "
Radiant Bloom" per abbracciare una scrittura più accessibile e melodica è deliberata e riuscita in pieno e paga fin dal principio; i brani sono costruiti con cura, le strutture progressive si intrecciano con linee vocali immediate e la band sembra divertirsi nel plasmare un sound che guarda agli anni ’80 senza scadere nel revival sterile.
"Stargod" è un disco che può disorientare chi si aspettava aggressività, qui del tutto assente in primis dall'approccio vocale, ma conquista chi cerca emozione, atmosfera e una produzione impeccabile. Non è un capolavoro rivoluzionario, ma è un’opera sincera, personale e ben realizzata. Un ascolto consigliato a chi rimpiange il vibe cosmico e malinconico degli anni ’80, ma con un tocco moderno e sognante.
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