Negli anni d'oro del Thrash metal, dominati dalla scena statunitense e teutonica, anche in Inghilterra, seppur un po' in ritardo e con meno risonanza mediatica, il genere si diffondeva, e per giunta con buoni risultati, grazie agli alfieri
Onslaught,
Sabbat e
Xentrix, ma anche, seppur a mio avviso su livelli inferiori, ad
Acid Reign e
Sacrilege per quanto riguarda le declinazioni crossover (quest'ultimi aggiungono anche un pizzico di Doom) — queste quantomeno erano le principali formazioni. Poi ve ne erano anche tante altre, ormai cadute nel grande oblio, come gli
Anihilated e i
Virus (tendenti all'Hardcore) per esempio, o gli
Hydra Vein di cui parleremo oggi.
Gli
Hydra Vein formatisi nel 1987 fecero in tempo a rilasciare giusto un paio di full-length fortemente influenzati dal movimento della Bay area –
Exodus,
Metallica e
Megadeth in testa – gli ottimi
"Rather Death than False of Faith" (1988) e
"After the Dream" (1989), per poi sciogliersi immediatamente dopo nel 1990.
Si sono infine riformati nel 2019 rilasciando nel 2022 il mediocre
"Unlamented" – una sorta di scimmiottamento di
Metallica e
Motorhead – e in questi giorni di ottobre 2025, coadiuvati dal patrocinio della
Iron Shield Records, si riaffacciano sul mercato con del nuovo materiale raccolto nell'EP
"Perpetual Violence Machine".
Ormai della line-up originale degli
Hydra Vein – complice anche due lutti, quello del chitarrista
Jon Balfour (R.I.P. 1992) e del singer
Mike Keen (R.I.P. 2000) – rimane esclusivamente il bassista
Damon Maddison, tuttavia gli inglesi decidono di lasciare da parte le banalità dal flavour Hard-rock che infestavano il Thrash di
"Unlamented", per ritornare sul sentiero più seminale dei loro albori, rifacendosi in tutto e per tutto ai gloriosi '80's.
"Perpetual Violence Machine" ci ripropone gli
Hydra Vein nella loro versione più classica, con l'ascendente dei
Megadeth che splende forte sopra le loro teste: sia per quanto riguarda il guitarwork raffinato e denso di intrecci – ben più tecnico del loro primo repertorio – e soprattutto per la voce del nuovo singer/guitarist
Ross Curry (al posto di
James Manley-Bird).
Nel complesso i brani funzionano bene, strutturati perlopiù su dinamiche serrate e arrenbanti che tuttavia preservano sempre un discreto gusto melodico e un approccio piuttosto earcatcher; dove inoltre si inseriscono svariati rallentamenti atti a creare il giusto effetto propulsivo alle ripartenze. Altresì, il problema di queste cinque composizioni è che lo spettro di
"Rust in Peace" (1990) risulta realmente ingombrante. Indubbiamente non si tratta di un plagio vero e proprio, però non ci siamo neanche poi così lontani...
Peccato, poiché gli
Hydra Vein sono uno di quei complessi a cui, in qualche misura, mi sento legato, e inoltre l'EP, di per sé, si ascolterebbe con grande piacere. Tuttavia non credo gli si possa assegnare più di un 6... Nell'arte l'originalità ha il suo peso.
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