Con il nuovo
"Tome II: Ignis Sacer" la band vuole rendere omaggio all'impatto che il fungo Claviceps (e in seguito l'LSD) e le droghe hanno avuto e hanno tuttora sull'arte, la musica, la società, l'immagine di sé e la medicina, ma anche al terrore e alla depravazione che ne derivano.
Un concept tutt'altro che scontato per il trio svizzero dei
Vígljós, una realtà estrema che, a ben guardare, di scontato non ha assolutamente nulla.
Certo, il loro Black Metal affonda le sue radici nella Norvegia degli anni '90, inconfondibile, ad esempio, il lacerante scream burzumiano, ma questa è solo una intelaiatura sulla quale, come api operose (metafora non casuale se conoscete i Nostri), il gruppo costruisce il suo suono dal sapore magico ed ancestrale, andando a pescare riffs di matrice rock, tappeti di mellotron dal sapore lisergico, sintetizzatori che agiscono come fossero ombre, mentre, quasi inatteso, il brivido oscuro del metallo nero ti avvolge come una coltre appiccicosa ma, stranamente, attrattiva.
I
Vígljós hanno una chiave espressiva tutta loro, non seguono canoni preconfezionati, non hanno paura di osare o di assomigliare, di volta in volta, a questo o quell'artista: il loro unico scopo è seguire la propria ispirazione che li porta, con i mezzi che vi ho descritto, a dipingere un affresco medioevale, magnificamente sintetizzato nella copertina dell'album, all'interno del quale vi troverete proiettati, vostro malgrado, accompagnati da sghembi menestrelli che si prenderanno gioco della vostra sanità mentale sfruttando, contemporaneamente, il buio e la luce, senza un apparente filo conduttore che non sia il fenomeno dell'ergotismo, ovvero l'avvelenamento deliberato o involontario dovuto all'ingestione del fungo di cui parlavo all'inizio.
"Tome II: Ignis Sacer" è, per forza di cose, un album "diverso", soprattutto se facciamo riferimento ai canoni a volte troppo stantii del Black.
Diverso, tra l'altro, in qualunque senso si voglia interpretare una parola spesso abusata.
Resta, in ogni caso, un lavoro estremo, bisognoso di ascolti approfonditi necessari per cogliere quella sua atmosfera mescalina, così importante, soprattutto in passato, nell'evoluzione della musica, e delle arti in generale, alla quale gli svizzeri sono devoti e dalla quale, con un sorriso beffardo, traggono la propria geniale follia.
Album
stupefacente, in tutti i sensi.
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