In quello che sembra essere un anno di gloria per il death metal più classico e fiero, non poteva che mancare la firma degli svedesi Lik, da sempre alfieri di una proposta completamente dedita allo swedish death metal e da molti considerati la "giovane" risposta agli storici Dismember, almeno finchè questi ultimi rimarranno in una pausa che dura ormai da quasi venti anni, ovvero dall'omonimo album del 2008.



Anche la band di Chris Barkensjö in realtà era ferma da un bel po' di tempo, si parla di piena era Covid per il precedente "Misanthropic Breed", uscito sempre per Metal Blade a settembre 2020, ed è bello constatare che le coordinate stilistiche non si siano mosse di un solo centimetro: chitarra a motosega (non parliamo di Skogsberg dietro la console ma Lawrence Mackrory non lo ha fatto rimpiangere), uptempos massacranti, una buona ma non esagerata dose di melodia specialmente negli assoli, che ricordano moltissimo "Massive Killing Capacity" proprio dei Dismember, così come la massiccia dose di groove che pervade l'intero disco, tanto che prima o poi ci saremmo aspettati di sentir partire "Casket Garden", ed ovviamente tematiche a sfondo horror/zombie, oltre ai vari serial killer, orrori della guerra e via andare.

Non mancano omaggi, come quello ad "Orion" dei Metallica, contenuto in "Worms Inside", o rallentamenti a-là Autopsy come in "Them" o nella conclusiva "Rotten Inferno", ed ospitate varie tra cui troviamo la bravissima Linnea Landstedt dei Tyranex in "Morgue Rat" o del ben più celebre Nick Holmes dei Paradise Lost (o forse in questo caso dovremmo dire dei Bloodbath...) nel brano "In Ruins".

Un buon bilanciamento tra episodi più groove ed altri più veloci e ferali, ottima produzione, songwriting più che maturo e prestazione maiuscola dell'intero quartetto di Stoccolma: tra la certezza Lik e la sorpresa Impurity, ed in attesa del ritorno dei maestri, le sorti dello swedish death metal sono decisamente al sicuro.