Deo gratias!
In verità, suppongo che dio non c’entri affatto nella vicenda che ci occupa –esattamente, quindi, come in qualsiasi altra vicenda che interessi lo scibile umano-. Nondimeno, leggendo “
Loopyworld – i Miei Anni con gli Iron Maiden”, edito da
Tsunami, l’espressione di giubilo è più volte baluginata nella mia testolina.
Il motivo è presto detto: dalle pagine del libro si diffondono ventate di freschezza tali da inebriare un irriducibile, fervente
maideniano come il sottoscritto, che possiede oltre quaranta volumi dedicati alla
Vergine (oltre ad un’infinità di
dvd, documentari, retrospettive etc.) e francamente non ne può più di soffermarsi per l’ennesima volta sui medesimi avvenimenti.
Già, perché gli anni che vanno all’incirca dal ’75 all’85 sono stati sviscerati ormai ben oltre il livello di guardia, tanto che, a forza di leggere e rileggere tomi su tomi, credo di conoscere alcuni dettagli meglio dello stesso
Steve Harris.
Il volume di cui scrivo quest’oggi, d’altro canto, non merita affatto di finire nel barattolone recante la scritta “biografie non autorizzate pressoché uguali l’una all’altra”, e questo per almeno due notevoli elementi di novità:
- finalmente (lo sottolineo di nuovo:
finalmente) vengono posti i riflettori su tutta una serie di aneddoti, episodi, intrecci e sottotrame di cui non sapevo nulla;
- l’angolo prospettico da cui la vicenda viene inquadrata non è, per una volta, quello dei musicisti o della progressione discografica, bensì quella del roadie.
In effetti,
Steve “
Loopy”
Newhouse, come alcuni di voi già sapranno, è stato tecnico della batteria (e tuttofare alla bisogna) prima di
Doug Sampson e poi del compianto
Clive Burr.
Il buon
Loopy, amico intimo e testimone di nozze di
Paul Di’Anno, ha avuto quindi modo di lavorare per la band dai primordi sino all’era
Nicko McBrain (con annessa trasferta a
Nassau per le registrazioni di "
Powerslave", fortunello), seppur con qualche pausa dovuta ai difficili rapporti con
Burr e, soprattutto, con lo spigoloso
manager Rod Smallwood (unico individuo che viene bersagliato di insulti lungo l’intero volume, sintomo di un odio mai sopito a dispetto dei decenni trascorsi).
Proprio questo mi permette di sottolineare una volta ancora quanto salvifica e rinfrescante si sia rivelata la lettura, che indugia su aspetti in genere poco esplorati quali, ad esempio, i problemi logistici che ogni
venue presentava, il rapporto oltremodo squilibrato tra orari di lavoro e paga, i complessi rapporti tra membri del gruppo,
management e
roadie, o ancora i subdoli tentativi di
mobbing cui questi ultimi erano sistematicamente sottoposti.
Non entrerò nei dettagli per evitare
spoiler, ma leggendo “
Loopyworld – i Miei Anni con gli Iron Maiden” vi sorprenderete di quanto
Burr fosse ossessivo col posizionamento del proprio
drumkit, della mole di birra e cocaina consumate in quegli anni, del livello di dispotismo di
Smallwood… ok, a parte
Clive tutto il resto si sapeva già, avete ragione. Ma vi posso assicurare che non si contano nemmeno i dettagli inediti rinvenuti nel libro, compreso un nutrito stuolo di succose foto dell’epoca.
Lo stile narrativo del nostro
Loopy, come immaginerete, non incanta per fluidità ed eleganza, ma si fa comunque apprezzare nella sua schiettezza, e scorre piacevolmente.
Lo stesso può dirsi della traduzione, ad opera di
Antonio Biggio, forse un pelo troppo letterale in alcuni frangenti ma, nel complesso, più che promossa.
Insomma, come avrete ormai intuito “
Loopyworld – i Miei Anni con gli Iron Maiden” si è rivelato una graditissima sorpresa, tanto che le sue 260 pagine (circa) sono state fagocitate in meno di due giorni.
Quindi, se come me amate alla follia gli
Iron Maiden –beh, proprio come me è difficile, sappiatelo…- e vi interessa conoscere profili sinora ignoti della loro epopea, questo è il tomo che fa per voi.
Ora e sempre:
Up the Irons!