Excursus / PERIGEO: il prototipo del Jazz Rock mediterraneo

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Pubblicato il:15/11/2021
La musica non è soltanto un modo di produrre suoni, è anche un modo di pensare, un modo di sentire, un modo di vivere” (Giovanni Tommaso, fondatore dei Perigeo su “Free Dimension”, 1973)

Con queste belle parole voglio cominciare questa monografia sui Perigeo, un nome a tratti enigmatico per alcuni, ma che farà sicuramente brillare gli occhi a molti appassionati di Jazz Rock, Fusion e Progressive Rock (o Pop Progressivo come spesso veniva chiamato all'epoca), che nella sua nicchia è un nome molto rispettato, con parecchie lodi ricevute dalla critica, ma visto che non si tratta esattamente di un gruppo con una certa sovraesposizione mediatica penso che sia cosa buona e giusta parlarne anche qui. Le origini del gruppo nascono nel 1971 dalla volontà di Giovanni Tommaso, un musicista di scuola Jazz che seppur avesse una buona posizione economica grazie alla sua attività di turnista per questo o quell’artista celebre, voleva fare qualcosa che fosse realmente suo e non un semplice “operaio della musica”.
Nel giro di poco tempo quindi riuscì a coinvolgere alcuni rinomati musicisti di scuola Jazz della scena capitolina che accolsero con interesse il suo progetto musicale, anche se mancava un chitarrista all’attivo. La scelta di Tony Sydney arrivò in un secondo momento, dopo averlo visto in un concerto in Toscana: fu un grosso azzardo visto che egli oltre ad essere un musicista più giovane, aveva un background molto differente dal resto dei Perigeo essendo tipicamente Rock, ma possiamo dire che fu una scelta lungimirante.
Ed è da qui che comincia una delle storia più belle della musica italiana del ‘900, la storia di una delle poche band che riuscì a innovare e influenzare tutto un genere a livello globale…

Genere:
Jazz Rock
Fusion
Progressive Rock


Periodo di Attività:
1971 – 1977
1980 – 1981
1993, 2008, 2019


Anno 1972, in un’annata che definire splendida per il Prog italiano è dir poco, esce il brillante e geniale esordio del complesso Perigeo. "Azimut" è un disco che è pura innovazione e fantasia sia nell’ambito del Jazz che del Rock, andando ad unire questi due linguaggi in maniera sorprendentemente coerente e naturale.
Se per il panorama mondiale ciò non è poi una novità così assoluta visto che il Jazz Rock di fatto si stava già creando (il Miles Davis elettrico di "Bitches Brew", il british Jazz dei Nucleus di Ian Carr o dei Soft Machine che da una strampalata psichedelia canterburiana passarono in maniera netta e traumatica al Jazz sempre di scuola canterburiana con "Fourth" nel 1971 e pure Zappa con il fenomenale "Hot Rats" del ’69 sono tutte opere che hanno unito a livello più o meno intimo questi due mondi sonori) è con i Perigeo (insieme alla Mahavishnu Orchestra e ad altri lavori come “Live” dei Colosseum) che il Jazz Rock viene definitivamente creato e pure sdoganato a livello mainstream, pur con forti resistenze in entrambi gli ambienti musicali. In Italia poi, nonostante il nostro sia stato un paese che per secoli sia stato all’avanguardia in varie forme di arte, in ambito musicale si è sempre stati piuttosto conservatori, la proposta dei Perigeo ha avuto a suo tempo forti reazioni tra pubblico e critica.
Prendendo quindi come pietre angolari il Miles Davis elettrico e la svolta Jazz dei Soft Machine (dischi come "Seven" meriterebbero una riscoperta oggigiorno), si unisce a ciò l’innovativo uso di loop di tastiere per creare dei tappetti sonori sognanti ed eterei, particolarmente delicati e atmosferici ai quali si affianca una sezione ritmica non più legata alle ritmiche Swing del Jazz di quel periodo, ma al Groove focoso del Rock con il tiro del basso elettrico ben più possente e pulsante del caro, vecchio contrabasso. Su questo telaio ritmico e melodico si stagliano le vibranti improvvisazioni di sax e chitarra. Le prime sono sinuose ed eleganti, le seconde sono più ruvide e graffianti. 37 minuti che bastano già per scrivere la storia in questa pietra miliare del genere che con brani come “Posto Di Non So Dove”, “Azimut”, “Grandangolo” o “36 Parallelo” (quest’ultima con divertentissimi spunti solisti portati avanti dal duo basso-batteria) la fantasia va a braccetto con la melodia e il virtuosismo con la sensibilità. Jazz Rock nella forma, ma Progressive nella sostanza questo a conti fatti è "Azimut".



Passa un solo anno ed esce quello che forse è il disco più riuscito della band italiana: stiamo parlando ovviamente del celebre “Abbiamo Tutti Un Blues Da Piangere”.
Esso è uscito nello stesso anno di un altro lavoro importante per il genere: il doppio “Six” dei Soft Machine, per metà registrato dal vivo e per metà in studio.
Ma senza divagare troppo torniamo al gruppo italiano che viene consacrato tra i grandi accompagnando artisti prestigiosi sul suolo italiano (Atomic Rooster, Peter Hamill, Stomu Yamashta…) in quello che è il disco della piena maturità artistica: tornano tutti gli elementi che hanno caratterizzato il sound del clamoroso esordio del gruppo, ma il tutto viene perfezionato e con un paio di novità che rimescolano sapientemente le carte in tavola.
La prima novità ed è quella che salta prepotentemente subito alle nostre orecchie è la vena Blues che pervade questi solchi e in secondo luogo è la ricerca di un suono mediterraneo che dà un sapore astrale a queste note.
Atmosfere quasi nostalgiche e malinconiche (il tema portante di “Non C’è Tempo Da Perdere” con la chitarra di Sydney ad essere la vera protagonista e i testi in francese di Giovanni Tommaso, la melodia avvolgente di "Deja Vu" pregnante di loop tastieristici, la jam blues della title track, l’immersione soft di “Country”), un sound universale che seppur non è psichedelico, tra linee di basso ipnotiche e percussioni mediterranee fa viaggiare l’ascoltatore (impossibile non citare “Rituale” con le improvvisazioni pianistiche e chitarristiche a comunicare tra di loro, la leggiadra “Nadir” dominata da quei fantasiosi e leggiadri loop tastieristici dal sapore solare e antico o la scoppiettante fantasia strumentale di “Vento, Pioggia e Sole”). Poi la bellissima copertina merita sicuramente l’Lp solo per far godere ai nostri occhi questo quadro.



Dopo la completa consacrazione artistica del secondo lavoro che convince molti, specialmente negli ambienti Progressive e Jazz, si arriva al terzo album dal titolo “Genealogia” che è a tutti gli effetti un concept album.
E nonostante il sound quasi completamente strumentale, le complesse disgressioni strumentali e alle varie improvvisazioni presenti, grazie ad una certa attenzione per il suono e le melodie (e trainato da un insperato successo di “Via Beato Angelo” proposto come singolo in una versione live inclusa in alcune compilation dell’epoca), arriva finalmente il successo commerciale.
Il Jazz Rock dalle tinte Prog e Fusion continua la sua esplorazione tra atmosfere sempre più fortemente mediterranee, quasi etniche ed un uso sempre più intenso e complesso delle percussioni: tutti i membri del membro con la sola esclusione del pianista/tastierista Franco D’Andrea, vanno a rafforzare a turno la sezione ritmica e si segnala anche la presenza del percussionista brasiliano Mandrake nei brani "Polaris" e "Beato Angelo".
Un suono quasi riflessivo che sa essere tenue (l’elegante “Monti Pallidi”, la notturna “Old Vienna”) come roccioso (la focosa “(In) Vino Veritas”), in un turbinio di emozioni e improvvisazioni.
Personalmente è forse l’album che preferisco della band, un album da ascoltare in cuffia, magari sorseggiando un buon liquore e volgendo lo sguardo nella volta celeste, con una base minimalista quasi Ambient sempre più presente e accentuata grazie ad un uso sempre più maturo di tastiere e sintetizzatori.



Passa un altro anno e nel 1975 esce quello che forse è l’album più amato dei Perigeo e con “La Valle dei Templi” si continua ad approfondire la direzione intrapresa con il precedente lavoro in studio, seppur sotto una veste più catchy e orecchiabile se vogliamo. E in effetti arriva pure il vero successo fuori dai confini nazionali, con il tour europeo in compagnia dei Weather Report, con un piccolo antipasto avvenuto dentro i patri confini con una serie di concerti in compagnia di un altro gruppo da novanta: i Soft Machine.
Il sound tipico dei Perigeo si fa ancora più mediterraneo, con un flavour squisitamente primordiale e antico in questi solchi che fanno perdere tra le pieghe del tempo l’ascoltatore.
La title track nasce dalla richiesta dell’etichetta discografica di avere una nuova “Via Beato Angelo” da proporre come singolo e da essa poi si sviluppò l’album che vede i musicisti completamente affiatati tra di loro, con un apporto ormai paritario a livello di scrittura. I tappetti di tastiera si fanno sempre più Ambient da una parte, mentre dall’altra il piano fa evoluzioni Jazzistiche d’altri tempi di gran gusto, in questo il sound si fa meno Rock con Sydney che spesso va ad imbracciare una chitarra acustica. Per il comparto ritmico che dire invece? Il fondatore del gruppo si divide tra contrabasso e basso elettrico, mentre alla batteria di Bruno Biriaco vengono affiancate le percussioni di Tony Esposito che danno un sapore più latino al continuo mutamento della musica dei Perigeo, con un approfondimento più marcato a livello ritmico/percussionistico anticipato già con il precedente "Genealogia".
Un lavoro che è a conti fatti una summa di quanto fatto precedentemente dai Perigeo, con l'importante novità di avere canzoni più brevi e concise che fanno si che giocoforza siamo più facili d’assimilare e più orecchiabili da parte di chi non è dentro a certe sonorità: ed il bello è che questo è stato fatto senza intaccare la parte artistica, in quello che è un album perfetto per tutte le occasioni, sia per un ascolto frivolo e rilassato, sia per un ascolto molto attento e approfondito.
Metto le mani avanti affermando che a mio parere si tratta dell’ultimo grande album da parte di questo notevole progetto musicale italiano.



Ed è così che ci stiamo avvicinando alla fine e nel 1976 arriva quello che più di tutti è l’album internazionale dei Perigeo, oltre ad essere il loro ultimo lavoro in studio.
“Non è poi così Lontano” ha una storia particolare visto che fu registrato negli studi canadesi della RCA e fu pubblicato nel ’76 in Italia con quello che è il suo titolo vero, mentre negli Usa verrà pubblicato nel ’77 con una cover alternativa (ben più affascinante di quella italiana) con il titolo di “Fata Morgana”.
Un lavoro questo che rispetto al passato prestigioso dei precedenti è un notevole passo indietro e seppur non si possa parlare di un album mediocre o insufficiente, la delusione c’è con un disco che in qualche modo ferma la progressione musicale fatta fino al precedente lavoro in studio. L’eleganza, la tecnica e il mestiere non si discutono, anzi, è sempre un album suonato in maniera a dir poco egregia, ma manca la freschezza ed il coraggio avuti in precedenza. In questo puot pourrì dei precedenti lavori abbiamo una Fusion che si ciba di alcune sbandate Jazz Rock, con un vago sentore Pop tra le pieghe nel suono, un elemento Funk e un eco Dance di tanto in tanto che non riescono a dare molto al gruppo, anzi se possibile tolgono appeal a questo lavoro.
Non parliamo di un autentico disastro e una “Acoustic Image” ci fa ricordare che stiamo pur sempre parlando dei Perigeo.
Una storia che a conti fatti si concluderà nel ’77 con l’effettivo scioglimento del complesso.



Sui New Perigeo e i Perigeo Special c’è davvero poco da dire visto che furono due fuochi di paglia molto vicini alla direzione sempre più accomodante e banalotta di un “Non È Poi Così Lontano”.
Molto più interessante invece parlare dei due live album stampati nei ‘90 in quantità un po’ avara: parlo dell’ottimo “Live at Montreaux (1975)” e della registrazione di uno dei concerto finali dei Perigeo, “Live in Italy 1976”.
Del primo c’è da dire che le canzoni di “Genealogia” più un paio di chicche dal precedente e come nella migliore tradizione del Jazz le canzoni vengono riviste e non risuonate in maniera identica alle controparti in studio, che tra un cambio ritmico e un’improvvisazione qui le canzoni vengono allungate e plasmate sotto una luce alternativa. Un tripudio live tra questo sound unico e inconfondibile tra Jazz, Rock, Ambient e World Music in una manifestazione live esplosiva che mostra lo stato di grazia dei musicisti qui presenti, affiancati dal fedele Tony Esposito. Un live fondamentale che in 72 minuti sa trasportare l’ascoltatore in una dimensione parallela e lo fa con suoni originali e autentici oltre ad essere una fotografia limpida della consacrazione di questi fantasiosi musicisti anche all’estero.
“Live in Italy 1976” invece come detto prima è la registrazione di uno degli ultimi concerti dei Perigeo ed in esso troveremo buona parte di “Non è Poi Così Lontano” che vuoi per la mancanza di sovra incisioni con archi, vuoi per un suono più ruspante ed un’attitudine live da rocker prestati al Jazz, ma le canzoni suonano con una marcia in più rispetto alle controparti in studio, con una “Acoustic Image” che vede la sei corde di Sydney brillare come grande protagonista. Le hit “La Valle dei Templi”, “Via Beato Angelico” e i quasi ventisei minuti di improvvisazione soprannominati “Il Festival” sono le classiche ciliegine su una torta già di suo ricca e abbondante.



Ormai siamo giusti alla conclusione di questo excursus. Il Perigeo dopo che si è fermato non ha più ripreso, se non per occasioni particolari e circoscritte nelle quali ha dimostrato di aver forgiato un sound senza tempo. Le esibizioni tenute all’Umbria Jazz del ’93, all’auditorium parco della musica del 2008 pur nella loro brevità, hanno sempre una grande intensità. Mentre nel 2019 ha fatto chiacchierare la “one shot reunion” che come da tradizione ha avuto luogo con una singola esibizione live.
Oggi guardando soprattutto all’esibizione che si tenne all’Umbria Jazz quasi dispiace che quella reunion fu solo estemporanea, ma ormai il treno è andato e non ci rimane altro da fare che goderci l’ottima musica che il gruppo ci ha dato. In questo senso, il Box Set fatto uscire dalla Sony nel 2014 ripercorre tutto quello che è uscito sotto il nome Perigeo potrebbe essere un ottimo regalo a voi stessi per scoprire e godere di una delle band italiane più innovative degli anni '70.

Articolo a cura di Seba Dall

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Inserito il 16 nov 2021 alle 14:25

apperò...