Icons Of Death - Un disastro nei primi anni di vita del death metal

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Pubblicato il:01/05/2021
Poche volte in vita mia sono stato così euforico e ansioso di leggere un libro, appena è stato annunciato. “Icons Of Death - Un viaggio nei primi anni di vita del death metal”, per me era un volume realmente imprescindibile, di obbligatoria lettura. Questa mia euforia ed eccitazione sono però calate a picco, negli abissi più profondi della disperazione umana, dopo pochissime pagine.

Dopo una breve introduzione sulla definizione di “death metal”, segue una paginetta e mezzo in cui Cassatella cerca di scusarsi del fatto che, all’interno di un libro che si intitola “un viaggio nei PRIMI anni di vita del death metal”, l’elenco delle band analizzate è sbilanciato verso il passato: ma ci si prende in giro? Sorvoliamo.

Ora è il turno di una sezione intitolata “Gli Antesignani”, dedicata a quei gruppi che in qualche modo sono stati, secondo l’autore, i precursori della scena death metal. Ma questa sezione è assolutamente inutile. In pratica ci troviamo davanti a poco più di venti pagine in cui viene riassunta la scheda di Wikipedia, in ordine cronologico, di Venom, Slayer, Celtic Frost, Bathory, Kreator, Sodom, Carnivore e Possessed.
In un libro che parla di Death Metal, cosa mi frega di leggere un riassunto (in alcuni punti anche gravemente impreciso) della biografia di 40 anni di queste band?
Parlami piuttosto del perché e del percome queste band hanno influenzato massicciamente il death metal, ma non mi dire che gli Slayer nel 2015 hanno fatto un disco che s’intitola Repentless. Non c’entra niente ed è assolutamente fuori contesto.
L’unica biografia che ha un po’ più di senso è quella dei Possessed, anche se probabilmente sarebbe dovuta essere inserita un paio di pagine più avanti, nella sezione dei gruppi prettamente death analizzati in seguito.

Passiamo al contenuto principale del libro: i gruppi Death Metal.
Le band trattate sono raggruppate per paese d’origine e in ordine cronologico. Il problema di questa catalogazione è che segue la data di uscita dei dischi, e qui il problema si scinde in due ulteriori rami. Nel primo ci sono grosse incoerenze sin dall’inizio: Cassatella inizia parlando dei Master, scrivendo accanto al nome un bel “(1985)”, il primo album dei Master è stato registrato in quell’anno e pubblicato nel 1990. Deciditi, è significativa la data di registrazione o quella di pubblicazione? Mi rendo conto che sia un caso limite, ma se decidi una cosa, adotta quella regola per tutto.
Poi c’è l’esempio degli Atheist, che data come 1990, ma nella seconda riga della biografia dice che il primo disco è uscito nel 1989, ma non in America. Oltre ad essere una notizia falsa (la pubblicazione era programmata per il 1989, ma in quell’anno non è uscito da nessuna parte, pubblicato in Europa a maggio 1990 e in America a novembre 1990), ma anche qui sii coerente: se secondo te è uscito nel 1989 scrivi a fianco al nome 1989, oppure specifica che conti come data di pubblicazione “definitiva” solo quella nel paese d’origine della band. Durante la lettura ci sono altri esempi simili, ma non vale la pena citarli tutti.

Il secondo problema è che così facendo s’ignora quasi totalmente il fenomeno del tape-trading e della produzione dei demo, in gran parte antecedente all’uscita degli album. Fenomeno FONDAMENTALE se si vuole fare “un viaggio nei primi anni di vita del death metal”.
Questa regola auto-imposta esclude quindi automaticamente tutte quelle band egualmente importanti ed influenti, che non hanno pubblicato degli album, ma solo degli ep o dei demo, come ad esempio Incubus (quelli di Atlanta), Grotesque o Crematory.
Uniche eccezioni a questa regola i NIhilist e i Morbid. Altra scelta incomprensibile, come se i Nihilist andassero separati dagli Entombed, ma almeno apprezzo (l’unico) sforzo di approfondire “i primi anni di vita del death metal”, anche se il primo demo viene datato 1998.

Non tutti i gruppi sono uguali e non tutti i gruppi hanno la stessa importanza. Trovo inaccettabile che vengano riservate a malapena 3 pagine a band realmente influenti e interessanti e che, se si vuole analizzare in maniera seria “i primi anni di vita del death metal”, vanno trattate in maniera più approfondita. Mi riferisco in particolare ai Death (i cui innumerevoli cambi di lineup e di stile vengono vagamente accennati (!!!)), i Morbid Angel (di cui nemmeno si nomina l’uscita dalla formazione di Richard Brunelle nel 1992), i Carcass (Walker unico cantante della band? Ma almeno è stato letto il booklet dei primi due dischi?), gli Entombed (con altre importanti imprecisioni cronologiche) e Deicide (qui fioccano imprecisioni e superficialità non solo storiche, ma anche nel trattare la musica), a cui viene dedicato lo stesso spazio di band oggettivamente minori, meno interessanti e influenti. Non sottolineo ogni errore o imprecisione perchè questo articolo non finirebbe più (anche se il mio lato sadico si divertirebbe come un matto).
Vengono trattate in maniera accettabile quindi quelle band che non superano i 3 dischi di carriera.

Però c’è un’altra cosa che non posso ignorare: pag 349, paginette dedicate agli Electrocution: non è stato Mick ma Alex a fare il provino per i Sepultura, Mick era già uscito dalla band in quel periodo. C’è scritto a caratteri cubitali su Metal Archives. Veramente, è la prima frase di presentazione della band. Questo prova anche che Cassatella, oltre a Wikipedia (la pagina degli Electrocution non esiste) e Metal Archives, come fonte primaria ha usato il “sentito dire”, senza minimamente verificare le fonti.
L’errore di aver scritto Vellaciferion, invece di Vellacifer, lo perdono, in effetti “Vellaciferion” suona più death metal.

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Se io compro un libro che s’intitola “Un viaggio nei primi anni di vita del Death Metal” mi aspetto che parli “dei primi anni di vita del death metal”, che la narrazione si fermi su per giù al 1992-93, in due aspetti: nella scelta delle band e nel racconto di esse. Ma con i primi anni del death metal cosa c’incastrano Nile, Aborted, Dying Fetus, Six Feet Under, Amon Amarth, Hate, Destroyer 666, Behemoth, Belphegor, Necrophagist, Rebaelliun, Devilyn, Gory Blister e altri ? Nulla, Cristo, NULLA! Alcune di queste band hanno sì innovato e portato il death metal ad un livello superiore, ma con “i primi anni di vita del death metal” non c’entrano niente.
Le conclusioni possibili sono tre: Cassatella ha una strana concezione del tempo, per cui 14 anni sono equivalenti a 5 anni, è stato sbagliato il titolo del libro o è stato allungato il brodo il più possibile.

Il secondo aspetto è che per ogni band è fornita una approssimativa biografia in un paio di pagine che prova a coprire bene o male tutta la storia, dagli esordi fino ad ora o allo scioglimento. Ma anche lì, dei “primi anni di vita del death metal” c’è veramente poco, ogni biografia è tirata via, con pochissimi aneddoti riguardanti il primissimo periodo (se non quelli su Wikipedia o Metal Archives).
Di pochissime band è descritta la genesi, spesso riportando una data di formazione approssimativa. Per ogni racconto sembra che Cassatella abbia fretta di arrivare alla fine. Tutto è trattato con sufficienza, non c’è approfondimento, le rare interviste citate sono di anni fa e sono informazioni assolutamente inutili, su temi molto specifici e marginali e interessanti quanto un sasso che prende il sole.

Un’altra cosa che mi ha fatto andare fuori di testa è il posto privilegiato e assolutamente non equilibrato che occupa la scena italiana all’interno del libro. All’Italia sono dedicate 49 pagine e la Svezia è relegata in una sezione “scandinavia” (insieme a Norvegia, Finlandia e Danimarca) complessiva di 70 pagine.
Seriamente Cassatella ha dedicato, in proporzione, così poche pagine ad una scena che ha forgiato un modo personalissimo di fare death metal con decine e decine di band, come quella svedese, rispetto ad una scena le cui band realmente influenti e interessanti si contano sulle dita di una mano e mezzo?
Questo atteggiamento ultra-patriottico in un libro che dovrebbe essere analitico e oggettivo è veramente insopportabile.

Per non parlare dei giudizi assolutamente arbitrari e personali dedicati a molti dischi, che evidentemente sono stati ascoltati un paio di volte quando sono usciti e di cui si ha ormai un vago ricordo.

In conclusione: la lettura non è tanto fluida, certe frasi non tornano molto, alcune date sono sballate di 10 anni a causa di un tasto sbagliato (qualcuno ha fatto una revisione?) e se chi legge conosce il death metal seriamente ogni 3 pagine ha l’irrefrenabile impulso di tirare il libro fuori dalla finestra. Mi viene anche da pensare che se questo libro è uscito per una casa editrice che di musica non ha quasi mai parlato forse un motivo c’è, ma questo è solo un pensiero che mi ronza in testa senza nessuna prova.

Icons Of Death - Un viaggio nei primi anni di vita del death metal” è un libro per chi di death metal non sa niente e non ha nessun interesse ad approfondirlo seriamente, per chi vuole farsi una lista di band da considerare praticamente tutte allo stesso modo, da buttare nel calderone di quei gruppi che ha sentito nominare, e di cui forse ha sentito per caso un disco. Questo è un libro per chi non ha voglia di aprire Wikipedia o Metal Archives e digitare per conto suo. Chi ama, davvero, il death metal non sprechi tempo su queste 400 pagine.

Sia ben chiaro, io a “dar contro” a questo libro non ci guadagno niente, anzi, è solo la delusione che parla.


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Articolo a cura di Carlo Masoni

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Inserito il 01 mag 2021 alle 12:47

urca!