“Fear of the Dark. Gli Iron Maiden negli anni Novanta” di Martin Popoff

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Pubblicato il:21/11/2020
A questo mondo, senza volersi necessariamente abbassare a beceri doppi sensi di matrice sessuale, c’è penuria di tante, tantissime cose.
Ebbene, le biografie non ufficiali degli Iron Maiden non sono tra queste. Io stesso, nel piccolo della mia collezioncina maideniana, ho avuto modo di impilarne una quarantina abbondante.
Se a ciò si vanno ad aggiungere dvd antologici, interviste scritte e online, documentari, dietro le quinte, retrospettive, approfondimenti etc. capirete benissimo come la misura sia piuttosto colma.

Ha senso, dunque, l’ennesima testimonianza scritta di una storia sì gloriosa, ma già ascoltata e letta sino allo sfinimento?
La risposta, in senso assoluto, sarebbe un “no” piuttosto reciso; relativamente al tomo su cui ci soffermiamo quest’oggi, invece, possiamo lanciarci in un accorato “certo, perché no?”.

Il motivo è chiaro sin dal titolo: piuttosto che soffermarsi sugli ormai svisceratissimi anni ’70 e ’80 (affrontati dall’autore in occasione del precedente “Revelations”), il volume si sofferma sul decennio più tribolato per la Vergine: i nineties.

L’appannamento compositivo, l’abbandono di Adrian Smith prima e di Bruce Dickinson poi, la separazione di Steve dalla moglie Lorraine, la difficile transizione creativa col nuovo cantante Blaze Bayley, le difficoltà live di quest’ultimo sui classici della band, la progressiva di perdita di interesse da parte di media e fans, tentati dalle sirene grunge, alternative e nu metal
Insomma, avete capito l’antifona: dopo aver inanellato una serie inimmaginabile di trionfi, i Maiden vedono drasticamente ridotti i propri orizzonti di gloria.

Dall’altro lato dello steccato, l’esule Dickinson si trova a dover camminare con le proprie gambe, con risultati artisticamente eccelsi ma commercialmente modesti. “Fear of the dark - Gli Iron Maiden negli anni Novanta” si sofferma tanto, tantissimo sulla carriera solista del cantante di Worksop, tanto che, per stessa ammissione di Popoff, il libro avrebbe potuto/dovuto includere anche il suo nome nel titolo. Della pur meritoria carriera extra-Iron del buon Adrian, al contrario, ci si limita a qualche sparuto cenno.
Anche questi approfondimenti, in ogni caso, garantiscono al tomo una prospettiva più ampia e rinfrescante rispetto alla classica biografia maideniana.

L’impianto narrativo si sviluppa ovviamente in forza di criteri cronologici, sui quali s’innestano, in parti grosso modo omogenee, analisi e giudizi dell’autore su album e singole canzoni, interviste dell’epoca ai diretti interessati e anedottica più o meno nota.
Tale varietà, dunque, rende piuttosto stimolante e piacevole la lettura, al netto di alcuni passaggi piuttosto faticosi (caratteristica questa che, peraltro, accomuna quasi tutti i testi di Popoff).

Non entro nel merito della “trama”, limitandomi a confermare la presenza di tutti i passaggi nevralgici del decennio e la corretta collocazione filologica degli stessi (benché il favor nei confronti di Bruce sia abbastanza sfacciato).
Se mi è concesso, invece, avanzerei qualche forte perplessità su alcuni pareri espressi dall’autore.
Doverosa premessa: discutiamo di un esperto infinitamente più autorevole del sottoscritto. Concesso ciò, trovo spericolato anzichenò sostenere che “Skunkworks”, lavoro che pur apprezzo, sia artisticamente più “alto” dei vecchi album dei Maiden. Parimenti, che il buon Blaze su “Como Estais Amigo” ricordi Messiah Marcolin, e fornisca una prova addirittura superiore a quelle di Dickinson degli anni d’oro, suona sinistramente prossimo al puro revisionismo storico.
Opinioni, comunque sia.

Giacché ci muoviamo nel campo delle lagnanze, trovo che il volume sconti una certa trascuratezza in termini di layout complessivo: impaginazione sin troppo old school, lettering poco stimolante, immagini davvero sorvolabili per scelta e qualità, copertina caruccia ma dalla palette di colori un pelo smorta (titolo in particolare).
Un plauso a Tsunami, invece, per la traduzione in italiano, fluida e pressoché priva di imprecisioni.

Fear of the dark - Gli Iron Maiden negli anni Novanta”, tirando le somme, non passerà agli annali come un caposaldo della letteratura rock, ma si tratta comunque di un libro solido, ben concepito e ben realizzato, in grado di aprire un interessante squarcio di luce sul decennio più buio per la Vergine di Ferro.
Come si suol dire, d’altra parte, ex tenebris lux: il testo si chiude con la ben nota e gioiosa reunion, e la prossima opera di Popoff, a conclusione di una sorta di trilogia Iron-centrica, si soffermerà sulla storia della band da “Brave New World” in poi.
Attendiamo speranzosi; nel frattempo, che ve lo scrivo a fare, UP THE IRONS!

Martin Popoff
“Fear of the dark. Gli Iron Maiden negli anni Novanta”
Copertina flessibile: 238 pagine
Dimensioni: 16.5 x 2.2 x 23.5 cm
Editore: Tsunami
Data di uscita: 19 novembre 2020
Articolo a cura di Marco Cafo Caforio

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