Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2022
Durata:47 min.
Etichetta:Alma Mater Records

Tracklist

  1. DETHRONED MESSIAH
  2. FAR FROM YOUR GOD
  3. ALTAR OF DELUSION
  4. GRIEF
  5. PRAY INTO THE ABYSS
  6. THE REBELLION
  7. DESERTERS FROM PARADISE
  8. APOCALYPSE MMXXII
  9. A QUEDA
  10. PREACHER'S PARADOX
  11. NECROMANCER (SEPULTURA COVER)
  12. THE USURPER (CELTIC FROST COVER)

Line up

  • Jairo "Tormentor" Guedz: guitars
  • Marcelo Vasco: guitars
  • Alex Kafer: vocals, bass
  • Alexandre Oliveira: drums

Voto medio utenti

Date un’occhiata alla copertina dell’album. Poi soffermatevi su questi dati:

Nome band: The Troops Of Doom
Nome album: Antichrist reborn
Nome leader: Jairo “Tormentor” Guedz
Artwork: Sergio “Aljarrinha” Oliveira
Provenienza: Belo Horizonte, Brazil

Se conoscete un minimo la storia del metal estremo, questa recensione per voi potrebbe anche finire qui, in quanto avrete già capito tutto. Per gli altri, o per i più giovani, tocca andare un po’ più a fondo.

È il 1985 quando Jairo si unisce ai fratelli Cavalera per completare la line up di una band che fattivamente ha scritto una delle pagine di storia più importanti del metal estremo. È sempre il 1985 quando viene pubblicato lo split “Sèculo XX/Bestial devastaion”. Stiamo ovviamente parlando dei primi passi dei Sepultura, tutto il resto è leggenda!

Sono passati 37 anni da allora, ma sembra proprio che per Jairo il tempo si sia fermato, e la sua intenzione di riportare in vita il sound primordiale della band, iniziata già con i precedenti due EP, si sia finalmente concretizzata. Death metal, è così che piace definire la sua musica al chitarrista, così come, d’altra parte, è sempre stata etichettata, all’epoca, l’ondata thrash brasiliana che in effetti ha sempre posseduto una carica di violenza enorme. Per i sofisti, stiamo parlando di thrash metal dannatamente estremo, che si, certamente ha una marea di punti di contatto con il death metal.

Antichrist reborn” è una vera e propria mazzata sui denti, un disco che non vuole assolutamente strizzare l’occhio al main stream, alla modernità, a chi non riesce a cogliere la vera essenza del thrash metal, un disco che ha un legame indistruttibile con il passato. È un album dal songwriting volutamente old school, ma composto in maniera intelligente, e registrato, con altrettanta intelligenza, con suoni nitidi e potenti da un certo Peter Tagtgren ai The Abyss Studio (sarebbe stato davvero da idioti pubblicare un album di questo valore con una registrazione casalinga).

Chiariamo un punto però: ho parlato di songwriting old school, ma qui non siamo di fronte all’ennesimo gruppo di ragazzini nostalgici. Qui stiamo parlando, come nel caso dei Possessed, per esempio, del ritorno di un personaggio che quelle sonorità ha contribuito a crearle 37 anni fa, e vi assicuro che la differenza è talmente palese che perfino un sordo si accorgerebbe dell’abisso che c’è rispetto a mille prodotti che ogni giorno intasano il mercato discografico.

Qui la violenza è palpabile, è reale, è concreta, l’album è malvagio, trasuda cattiveria vera, non si scherza affatto. Per molti versi questo è un disco che dei Sep ha il DNA, ed è il lavoro che molti fan nostalgici dei Sepultura stanno sognando da anni (insieme alla agognata reunion… a proposito, sapete che Jairo ha raggiunto diverse volte i Cavalera on stage ed hanno anche registrato una nuova versione di “Antichrist”? Questo giusto per alimentare un po’ i rumours…).

Non stiamo parlando di una band clone, né di una cover band di lusso. Qui di carne a cuocere ce n’è in abbondanza, non è soltanto un progetto nostalgico, anche perché diciamocelo chiaramente, non penso proprio che la band si arricchirà suonando death metal nel 2020! Si tratta di un progetto genuino e verace, e d’altra parte se anche un vecchio marpione come Fernando Ribeiro dei Moonspell ha deciso di puntare su di loro pubblicando l’album tramite la sua etichetta Alma Mater Records, e tre veterani come Joao Gordo dei Ratos De Porao, e Alex Camargo e Moyses Kolesne dei Krisiun hanno accettato di apparire come special guest sul disco, un motivo ci sarà, no?
Recensione a cura di Roberto Alfieri

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