Copertina 7

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2021
Durata:27 min.
Etichetta:Iron Shield Records

Tracklist

  1. HANG THE EAGLE
  2. ON A LEDGE
  3. A FACADE AT THE THIRD CASTLE
  4. DEMON WICK
  5. CLOVEN HOOVES

Line up

  • Jordan Rhyno: bass, guitars
  • Brendan Rhyno: drums
  • Nicholas Allaire: vocals

Voto medio utenti

Formatisi nel 2013, gli Antioch incarnano tutto lo spirito del metal più underground, fatto di passione e voglia di fare musica, senza pensare al lato estetico, alla produzione cristallina, e quant’altro. Vi ricordate il ritornello di “Metal Warriors” dei Manowar? Ecco, probabilmente in studio di registrazione questi tre ragazzi canadesi ce l’avevano affisso sul muro mentre suonavano.

Con all’attivo tre dischi di “pure fucking heavy metal”, gli Antioch si affacciano al mercato musicale in questo 2021 con un EP succulento, “V”, contenente ben 5 pezzi inediti senza nessuna cover, versioni remixate, o estratti live. E in fondo, basterebbe solo guardare la copertina per pregustare ciò che si avrà subito dopo nell’ascolto.

Si sentono tantissime influenze di band anni 80’, che spaziano da riff stile primi Exodus accompagnate da vocals graffianti alla Dan Beehler degli Exciter, come si può sentire nella tiratissima “Hang The Eagle”. Con “Demon Wick” ci si attesta su un pezzo più cadenzato, molto live, che in certi frangenti richiama i migliori Lizzy Borden, e il concetto di ritornello da stadio emergerà anche in “Cloven Hooves”, pezzo che sembra essere uscito da “Triumph And Agony” dei Warlock. La lunga “A Facade At The Third Castle” non annoia nella sua durata di 7 minuti e rotti, poiché la band dimostra di non avere solo un attitudine molto rozza, ma anche un gusto per la melodia mai troppo accentuato, ma che non guasta, e che rende il pezzo più che godibile.

Gli Antioch continuano sulla loro scia di pensiero fatta di borchie, sudore e passione, e seppur probabilmente non faranno mai il botto decisivo, la loro musica metterà sicuramente sul volto di ogni persona votata al true heavy metal un sorriso largo trentadue denti.

Recensione a cura di Francesco Metelli

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