Ceremony - In the Spirit World Now

Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2019
Durata:30 min.

Tracklist

  1. TURN AWAY THE BAD THING
  2. IN THE SPIRIT WORLD NOW
  3. FURTHER I WAS
  4. /
  5. PRESAGING THE END
  6. SAY GOODBYE TO THEM
  7. WE CAN BE FREE
  8. //
  9. YEARS OF LOVE
  10. NEVER GONNA DIE NOW
  11. I WANT MORE
  12. FROM ANOTHER AGE
  13. ///
  14. CALMING WATER

Line up

  • Ross Farrar: vocals
  • Anthony Anzaldo: guitar, synth, piano, keyboards
  • Andy Nelson: guitar
  • Justin Davis: bass
  • Jake Casarotti: drums

Voto medio utenti

Ragazzi, questo é un disco che mi ha stupito, piacevolmente stupito, perché dato il nome, mi sarei aspettato qualcosa di pesante ed estremo, ma invece questo album é estremo a modo suo.
Basta vedere la copertina, che é arte moderna e sembra presa dai grandi e inimitabili Talking Heads (chi non sa chi siano, vada a riscoprirli), questa band ha lasciato i lidi punk per abbracciare sonorità evolute del genere.
Un album che profuma di primi anni 80, quando il punk stava decidendo di prendere strade diverse, abbracciare i sintetizzatori e mutare in quella creatura denominata new wave, si avete capito bene.
L’opener fa capire il tutto “The turn away bad thing”, apre con synth, un basso che si dimena, batteria protesa per il dance floor e la voce del singer Ross Farrar a colpire l’ascoltatore con veemenza poetica.
Ma il punto focale della formazione é il chitarrista Anthony Anzaldo che si divide tra chitarre e synth con melodie ispirate e che catturano dopo un paio di ascolti; c’è anche un gran bell’intermezzo aperto dove abbiamo un intervento femminile e un mid tempo quasi prog con synth e orchestrazioni per poi riprendere quota.
La titletrack segue l’onda con un mid tempo, dove i synth sorreggono le danze e le chitarre serrano le fila con riffing serrati che esplodono nel chorus molto ottantiano.
Qui si sente una vena punk nel cantato di Farrar che sembra parlato e ispirato nel chorus, un brano quasi goth in alcuni versanti.
Further i was” é new wave allo stato puro, sentitevi quei synth e riffing, sembra di venire proiettati negli eighties.
Un brano dal chorus trascinante, ma soprattutto che sembra ispirato ai primissimi Simple Minds, quelli più ribelli e difatti le chitarre lasciano riff graffianti con la batteria che mena colpi di rullante ben assestati.
Say goodbye to them”, é post punk con andamento pulsante, il basso che preme sulla batteria, si sente qualcosa dei Ramones nel chorus ma i synth sono pienamente anni 80.
Un brano che si sorregge sul ritmo lineare e sul basso; le chitarre giocano di rimando ma il brano scorre via in meno di tre minuti.
Years of love” ha un riffing che entra in testa, un brano che ha nella sua indole la provocazione al ritmo.
Il brano sembra fatto apposta per ballare, l’andamento é un up tempo con batteria e basso calibrati, con i riffing che sorreggono i synth che si regalano anche un solo e il singer che giostra a piacere la voce.
Un disco che é molto ben fatto, prodotto e soprattutto curato nei minimi particolari; data la sua origine ottantiana qualcuno potrebbe osare di definirlo nostalgico, ma non lo è; anzi, é un album che potrebbe piacere a molti metallari dai gusti musicali aperti e ennesimo bel colpo dalla Relapse che li ha voluti.
Recensione a cura di Matteo Mapelli

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