Copertina 7

Info

Genere:Power Metal
Anno di uscita:2019
Durata:48 min.
Etichetta:Underground Symphony

Tracklist

  1. THE BATTLE TO COME
  2. BROTHERHOOD OF STEEL
  3. CADAVER SYNOD
  4. ANTHEM OF THOR
  5. DRAGON HEART
  6. A ROSE IN THE DARK
  7. THE CALL
  8. TORQUEMADA (THE HAND OF GOD)
  9. THE FORSAKEN ONES
  10. VIPER OF THE SANDS
  11. KING OF BLOOD AND SAND

Line up

  • Michele Viaggi: guitars
  • Michele Vinci: guitars
  • Stefano De Marco: vocals
  • Andrea Raffucci: bass
  • Antero Villaverde: drums

Voto medio utenti

Che il nostro paese abbia una profonda tradizione prog-power, che trova i suoi “padri fondatori” in Labyrinth, Eldritch, Domine, Athena, fino a giungere al symphonic dei Rhapsody, ed altre band storiche affermatesi nei gloriosi anni ’90, e sia costellato di realtà più o meno valide impegnate in questo sottogenere del metal, non è certo un mistero. Non mi cimenterò qui nell’elenco di tutti i principali gruppi che possiamo vantare, non è questa la sede adatta, sicuramente alcuni sono abbastanza anonimi ed eccessivamente derivativi (al limite del plagio), ma altri sono davvero validi, ed è questo il caso degli “At The Dawn”, band imolese giunta con “The Battle To Come” al suo terzo album in studio.
Iniziamo col dire che, rispetto ai precedenti dischi, i nostri si presentano con una line-up parecchio rinnovata in quanto, accanto agli storici chitarristi Michele Viaggi e Michele Vinci ed al singer Stefano De Marco, fanno il loro ingresso in formazione Andrea Raffucci al basso e Antero Villaverde dietro le pelli, entrambi provenienti da realtà più vicine al melodic-death che al prog-power. Pertanto, a risentire maggiormente di questo cambiamento è inevitabilmente soprattutto la sezione ritmica che, in confronto ai più intimi e sognanti lavori precedenti (in particolare il bellissimo debut “From Dawn To Dusk” del 2013) ne esce particolarmente irrobustita e, di conseguenza, sin dall’iniziale (se si esclude l’intro affidato alla title-track) “Brotherhood Of Steel” si ha la sensazione di essere dinnanzi a un sound più incisivo rispetto a quello a cui ci aveva abituato la band imolese che, chiaramente non rinuncia nè all’epicità, nè alla melodia, anche se quest’ultima, per tutto l’album sembra essere avvolta da un oscuro velo di drammaticità e malinconia, ne sono fulgidi esempi pezzi come “Dragon Heart” in cui nemmeno l’utilizzo delle iniziali tastiere sembra conferire serenità, oppure la bellissima “The Call” caratterizzata dalle sue “cavalcate maideniane” durante il cantato.
Dal punto di vista delle lyrics, in parecchie tracce l’argomento principale trattato è rappresentato dall’aperta condanna nei confronti della rigidità dei dogmi della chiesa cattolica, è questo il caso di “Cadaver Synod” col suo ritornello dal tono perentoriamente accusatorio “A farce in the name of the cross” e di “Torquemada (The Hand Of God)”, entrambi brani tiratissimi e in cui si viene sempre pervasi da quel senso di inquietudine di cui si parlava precedentemente.
Probabilmente l’unico passo falso dell’album è “Rose In The Dark”, dall’andamento troppo lineare e scontato ma è soltanto un episodio, perchè le sorti del disco vengono immediatamente risollevate da tracce dal sound graffiante e nello stesso tempo elaborate come “Anthem Of Thor”, tipico pezzo di power sinfonico, “The Forsaken Ones” col suo ottimo assolo di chitarra, “Viper Of The Lands”, che recupera le influenze più progressive, retaggio del passato della band e la conclusiva “King Of Blood And Sand” in cui melodia, incisività, tecnica ed epicità danzano armonicamente tra loro, per il compiacimento dell'ascoltatore.
Che dire, l’album indubbiamente funziona bene ed è godibilissimo dall'inizio alla fine, anche la rischiosa scelta della band di virare verso una direzione musicale più diretta e di impatto, alla fine si è rivelata azzeccata, poichè in questo modo gli At The Dawn hanno evitato di rimanere impantanati all’interno di un sound che li ha sì lanciati al grande pubblico ma che, parere di chi scrive, aveva già dato dei segnali di stanchezza nel secondo album, anche se probabilmente, altra opinione personalissima, le vette raggiunte con il disco d'esordio rimangono tuttavia lontane.

Recensione a cura di Ettore Familiari

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