Copertina 9

Info

Anno di uscita:1992
Durata:47 min.
Etichetta:Columbia

Tracklist

  1. MACHINE GUN
  2. THE HOLE IN MY WALL
  3. APRIL 2031
  4. ANDY WARHOL WAS RIGHT
  5. BONFIRE
  6. THE BITTER PILL
  7. HOLLYWOOD (SO FAR, SO GOOD)
  8. ALL MY BRIDGES ARE BURNING
  9. QUICKSAND
  10. LET IT RAIN
  11. INSIDE OUT
  12. SAD THERESA

Line up

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Band per ragazzine? Facce gentili e rassicuranti per copertine patinate? Forse il discorso poteva valere per l’esordio “Dirty Rotten Filthy Stinking Rich”, oppure per il secondo “Cherry Pie”, entrambi grandissimi successi soprattutto nelle classifiche USA, ma per “Dog Eat Dog” si cambia completamente registro. I Warrant diventano spietati, cattivi, bastardi, proprio come l’uomo-cane famelico che campeggia nella copertina dallo stile fumettistico. La produzione, affidata al guru del Dokken sound, al secolo Michael Wagener, appesantisce di brutto l’approccio al riffing da parte del duo chitarristico Joey Allen/Erik Turner, ed anche la sezione ritmica Steven Sweet (batteria)/Jerry Dixon (basso) si presta ad un notevole ispessimento, come i tempi del post hair metal richiedono.

Chi ha assistito al Monsters Of Rock del 1992 a Reggio Emilia, quando il gruppo si esibì nel bel mezzo di Pantera, Testament e Megadeth, ricorderà certi commentini idioti prima che Jani Lane e soci si presentassero sul palco. “Verranno presi a bottigliate”, si vociferava tra i 25.000 presenti: certo, come no. I Warrant si presentarono con la scatenata “Sure Feels Good To Me” (da “Cherry Pie”), e spazzarono via tutto e tutti.
Pure le canzoni dell’appena fresco di stampa “Dog Eat Dog”, nonostante fossero ancora relativamente poco conosciute, vennero accolte con entusiasmo dagli increduli ed intransigenti metalheads, radunati sotto l’enorme palco che avrebbe accolto anche Black Sabbath (freschi del rientro in formazione di Ronnie James Dio) ed Iron Maiden (al tour di commiato, ovviamente temporaneo, con Bruce Dickinson).

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Tornando all’album in questione, mi sento di scrivere un’affermazione forte, ma assolutamente meditata, soprattutto alla luce di un lasso temporale così importante: tra i grandi esponenti dell’hair metal, soltanto Motley Crue, con l’omonimo disco registrato assieme a John Corabi, ed i Warrant di “Dog Eat Dog” seppero reggere l’urto del nuovo che bussava, anzi sfondava direttamente le porte.
Tutti gli altri testimoni di quella “ciurma colorata” che cercarono di grattare i vetri con le unghie, al fine di aggiornare il proprio suono alle esigenze del tempo, fecero soltanto grosse e grasse figure di merda. Scusandomi ovviamente per il francesismo.

Certo, gli aficionados di “Cherry Pie” restano un pochino spiazzati dal pesante groove di una “Machine Gun” che sembra strizzare l’occhio più ai Pantera che allo street/glam anni 80, dal riff heavy metal senza compromessi di “The Hole In My Wall”, oppure da una “Bonfire” scandita da cori declamati senza il benché minimo riguardo all’estetica.
Anche quando la dose elettrica si abbassa per lasciare maggior spazio alle melodie, la modalità non è certo quella della sbarazzina “Heaven”, e mi riferisco in particolare alle malinconiche “April 2031”, “The Bitter Pill” ed “Andy Warhol Was Right”. Uniche concessioni allo spensierato passato risultano probabilmente “Hollywood”, basata su un bel gioco acustico/elettrico di chitarre, “All My Bridges Are Burning” e “Quicksand”, questi ultimi due gli episodi maggiormente legati al DNA “smash-hits” della band.
Dopo la struggente “Let It Rain”, arriva quello che, almeno personalmente, ritengo uno dei pezzi più devastanti degli anni 90, ovvero “Inside Out”: un drumming in crescendo viene seguito dall’urlo selvaggio di Jani Lane, che a sua volta anticipa un riff tanto potente quanto selvaggio. Il biondo vocalist urla come un indemoniato, la ritmica al cardiopalma è adrenalina pura, ed il refrain veramente roba da far invidia ai Pantera: un brano semplicemente pazzesco. Quasi a voler riportare un minimo di serenità, chiude il sipario la semi-ballad “Sad Theresa”, ed anche se le linee melodiche risultano di facile assimilazione, rimane comunque quell’alone di intrinseca tristezza che permea l’intero lavoro.
Dopo “Dog Eat Dog” nessuno ha mai più osato definire i Warrant una “band per teenagers”.

Recensione a cura di Alessandro Ariatti

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