Dream Theater (Jordan Rudess, keyboards)

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A Milano i Dream Theater arrivano il 29 ottobre, dopo aver già suonato altri tre concerti nel nostro paese (a Bologna, Roma e Andria), nell’ambito del nuovissimo “Chaos in motion World tour”, che li vede esibirsi in compagnia di pezzi da novanta come gli americani Symphony X. Poche ore prima dell’inizio dello show, un pacato e gentilissimo Jordan Ruddess mi ha accolto nel suo camerino personale per raccontarmi alcune cose riguardo al nuovo tour. Ecco il resoconto completo di una chiacchierata breve ma decisamente interessante…

Una settimana fa, esattamente in questo stesso posto, i Rush hanno fatto un concerto grandioso, uno dei migliori che abbia mai visto in vita mia. Durante i momenti più intensi dello show, ho sentito diverse persone commentare: “Adesso ho capito da dove vengono fuori i Dream Theater!” Tu che ne pensi?
Non sono mai stato un grande fan dei Rush, ma mi sono sempre piaciuti, trovo che siano una grandissima band, e ho sempre avuto il massimo rispetto per loro. Posso capire che la gente paragoni i Dream Theater a loro: hanno la stessa pesantezza delle chitarre e nella loro musica c’è quel feeling progressive che abbiamo anche noi. Detto questo, il mio background musicale va in altre direzioni: sono cresciuto con Genesis, Yes, King Crimson e cose così… comunque tutti gli altri membri della band sono dei grandi fan dei Rush, per cui non è una cosa strana che si facciano paragoni tra noi e loro!
Per questo nuovo tour avete scelto di tornare ad uno show breve, accompagnati da un gruppo di supporto: come sta andando? Quali sono le differenze che stai riscontrando rispetto alle volte in cui suonavate per tre ore intere?
Trovo questa nuova formula molto interessante. Il set da tre ore mi è sempre sembrato troppo lungo, ho sempre pensato che fosse meglio per noi suonare un po’ di meno. Troppa musica sparata a volume pazzesco per tutto quel tempo alla lunga risultava un po’ assordante, se capisci quel che voglio dire… certo, adesso che suoniamo per due ore, due ore e un quarto circa, paradossalmente ci stanchiamo di più: prima avevamo la pausa in mezzo che ci dava la possibilità di rifiatare, invece ora dobbiamo fare tutto di fila! L’altro giorno, eravamo a circa tre quarti dello show, ho iniziato a sentirmi veramente stanco, mi sono girato verso Mike e ho visto che anche lui non ne poteva più! Ci siamo scambiati un’occhiata come a dire: “Hey, è proprio dura!” (ride NDA)
Capisco che i nostri fan vorrebbero vederci stare sul palco il più a lungo possibile, ma penso che anche una formula del genere abbia i suoi vantaggi, soprattutto perché coinvolge gruppi legati alla proposta musicale dei Dream Theater come ad esempio sono i Symphony X. Vedere queste due band suonare assieme è un’esperienza veramente eccitante! Complessivamente sono sempre tre ore di show, e credo che alla fine ognuno torni a casa felice, convinto di aver speso bene i propri soldi! Sì, sono decisamente soddisfatto di questa soluzione e ora come ora non la cambierei...
E che mi dici di queste date italiane? Questo è il mio primo e unico concerto dei cinque, per cui non so veramente cosa sia successo nei giorni precedenti…
Oh, per adesso sta andando benissimo! Venire in Italia per noi è sempre entusiasmante, anche perché questo è per noi uno dei migliori mercati in assoluto. Voglio dire, ci sono tanti paesi in cui andiamo bene, ma il vostro è particolare, la gente è sempre entusiasta di vederci, e anche in queste sere vedevo tante persone sorridere, molto più che in altri posti. E’ una cosa grandiosa, perché ti rendi conto che tu con la tua musica stai rendendo felice qualcuno: è un’esperienza bellissima, credimi!
A proposito di questo: mi sono sempre chiesto come sia possibile che una band come la vostra, che non suona certo una musica che può essere definita “mainstream”, negli ultimi anni si trovi sempre ai primi posti delle classifiche italiane… c’è un sacco di gente che compra i vostri dischi pur non sapendo assolutamente che cosa sia l’heavy metal! Come te lo spieghi?
E’ una domanda difficile, penso che sia impossibile dare una risposta precisa. Diciamo che, per come la vedo io, i Dream Theater, rispetto agli altri gruppi che suonano il nostro stesso genere di musica, hanno sempre avuto un forte senso della melodia. Non siamo mai stati una band del genere “fast and furious”, non abbiamo mai suonato come se dovessimo combattere una guerra! Voglio dire, facciamo progressive, per cui abbiamo tutte quelle parti complesse ed elaborate nelle nostre canzoni, ma esse sono accompagnate da un grande senso della melodia. In ogni album ci sono delle canzoni che sono immediate, di facile assimilazione, ballate come “Spirit carries on” ad esempio. Non creiamo solo cose complesse, ci piace fare anche cose puramente melodiche, piacevoli da ascoltare. Detto questo, non pensiamo neanche troppo a come e cosa suonare: ci accontentiamo di divertirci e di fare cose che possano piacere a noi. Non ci siamo mai presi troppo sul serio, credo sia questa la differenza principale tra noi ed altre band. Probabilmente, visti da fuori, possiamo apparire freddi, meccanici ed eccessivamente tecnici, ma in realtà non è così. Vedi, sono qui seduto in questa dressing room, e suono cose così (accenna a qualche nota sulla piccola tastiera da riscaldamento posta nella stanza NDA), molto semplici, melodiche e piacevoli! Questo nelle nostre canzoni è presente, nonostante tutta la complessità, e i fan sono capaci di sentirlo, per questo ci amano.
Una domanda curiosa: c’è qualche canzone del vostro repertorio di cui dopo tanti anni proprio non ne puoi più di suonare dal vivo?
Capisco cosa vuoi dire (ride NDA)! Alcune persone nella band le hanno, ma io personalmente no. In genere amo molto ripetere le stesse cose dal vivo. Non andiamo in tour ogni anno, adesso stiamo facendo questi cinque show in Italia ma è molto probabile che passeranno almeno due anni prima che possiate rivederci ancora. Finito il tour andremo a casa, scriveremo le canzoni del nuovo album, le registreremo, dopodichè andremo in giro di nuovo. Ne risulta che le nostre vecchie canzoni non verranno suonate per un bel po’ di tempo. E’ vero che suonare tutte le sere gli stessi brani può rendere alla lunga piatto il concerto, facendo mancare il coinvolgimento necessario con la gente. Ci sono molte band che non cambiano mai la setlist, credo che anche i Rush facciano così, vero?
Sì, hanno suonato esattamente lo stesso set proposto in America… ed io continuo a dire che preferisco artisti come Bruce Springsteen o Pearl Jam, che ogni sera offrono uno show completamente diverso dal precedente…
E’ una buona cosa, ma il lato positivo di suonare tutte le sere le stesse canzoni è che hai una maggiore possibilità di stare attento ai particolari, puoi controllare che tutto vada bene, e in questo modo il concerto risulta migliore ogni sera, cosa che non avviene quando cambi spesso e quindi certe cose risultano un po’ improvvisate. Detto questo, come band noi cambiamo spesso la nostra setlist, ed è una cosa che facciamo per tenere costante la tensione. Da un punto di vista scenico però, è indubbio che sia meglio continuare a fare lo stesso show sera dopo sera…
Puoi passare in rassegna brevemente tutti i dischi da te realizzati coi Dream Theater? Qual è il tuo preferito in assoluto?
Con “Octavarium” abbiamo voluto fare delle cose un po’ diverse, abbiamo scritto canzoni progressive ma anche cose molto epiche, leggere addirittura… “Six degrees…” da un certo punto di vista è ancora più sperimentale, abbiamo adottato soluzioni nuove in studio e anch’io ho fatto delle cose strane con le tastiere, vedi “Disappear” o “Misunderstood”. “Train of thought” suona come un classico album heavy metal, una cosa che è riflessa anche nel bianco e nero della copertina. In quest’ultimo disco abbiamo semplicemente voluto scrivere la nostra musica, senza seguire un filone o un concept preciso. Ne è venuto fuori un disco che forse mostra il nostro lato più pesante e drammatico. In generale, non c’è un disco che mi piace di più degli altri, mi piacciono tutte le cose che ho fatto con la band e mi piace anche riascoltarle, perché ciascuna di esse mi rimanda ad un particolare momento della mia vita. Del resto, non abbiamo mai fatto uscire nulla senza che fossimo completamente soddisfatti del lavoro finito. Un musicista dovrà convivere per sempre con i propri dischi, per cui è importantissimo fare delle cose di cui ci si possa sentire orgogliosi! Ci ho messo molto tempo per realizzare il mio primo album solista, ma alla fine ne è valsa la pena, sono assolutamente soddisfatto di come è uscito fuori… a proposito, ce l’hai già?
Ehm… ad essere sincero, non ho ancora avuto occasione di ascoltarlo…
Non c’è problema, tieni (e mi allunga una copia del disco in questione, “The road home”, in cui Jordan ha rivisitato alla sua maniera alcuni grandi classici del prog rock che l’hanno influenzato, avvalendosi dell’aiuto di illustri colleghi come Neal Morse NDA)!
Beh, grazie mille davvero! Lo ascolto e ti faccio sapere senz’altro… pensi mai al fatto che dopo il tuo ingresso in campo i Dream Theater non hanno mai più cambiato line up?
Oh, è una cosa che mi rende molto felice! Penso di essere riuscito di dare ai ragazzi della band tutto quello di cui avevano bisogno in termini di equilibrio e stabilità. Questo dipende sicuramente dalle mie caratteristiche di musicista, da quello che ho saputo portare a loro in sede di composizione, ma credo dipenda molto di più dal tipo di persona che sono. Sono uno molto “easy going”, che va d’accordo con tutti, anche con gente completamente diversa, e credo che loro non abbiano mai avuto un tastierista così prima…
Ok, Jordan, è stato un vero piacere parlare con te! In bocca al lupo per stasera, sono sicuro che farete un grande show!
Lo spero! A presto Luca!

Che dire? I centotrentacinque minuti offerti questa sera dai Dream Theater sono stati davvero di altissimo livello, e credo che proprio nessuno possa essere uscito deluso dal DatchForum. Non avranno la classe dei Rush, né la genialità dei Pain of Salvation, né la drammatica magniloquenza dei Fates Warning, ma i Dream Theater, nel bene e nel male, hanno scritto una pagina importante nella storia del progressive metal. E questo dovrebbe valere anche per chi pensi che si siano fermati ad “Images and words”…

Intervista a cura di Luca Franceschini

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