ifsounds: l’ascolto attento (Dario Lastella, guitars)

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È sempre bello lasciare un po’ di spazio anche a realtà meno note e orgogliosamente italiane. Eccovi allora il resoconto della bella chiacchierata fatta con Dario Lastella che ci ha parlato in modo dettagliato della sua visione musicale e dell’ultimo album “An Gorta Mór”.

Ciao Dario e benvenuto sulle nostre pagine digitali. Ti va di cominciare da una breve panoramica sulla storia degli ifsounds? So che siete in giro da parecchio...
Da parecchio, ma da poco... in realtà abbiamo cominciato da quando andavamo a scuola, ma all'epoca eravamo appunto ragazzini e ci siamo un po' persi. Poi, una decina di anni fa, abbiamo cominciato a fare un po' più sul serio e abbiamo cominciato a produrre dischi da proporre al pubblico. Fino al 2012 siamo stati una "studio band", poi, circa dal 2014, c'è stato un massiccio cambio di formazione e abbiamo cominciato a ragionare da band vera e propria.
Come descriveresti la vostra proposta? Si può parlare di art-rock?
In effetti "art rock" è la definizione che ci piace di più. Cerchiamo di creare un discorso musicale e letterario "artistico" e con un messaggio. Quindi art rock è una bella etichetta.

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Cosa vi ha portato a scrivere un concept sull'olocausto irlandese del XIX secolo?
Un paio di anni fa sono stato in vacanza in Irlanda e ne sono rimasto affascinato. Lì ho conosciuto la storia, anzi le storie di “An Gorta Mór” e ne sono rimasto fortemente colpito, anche per le similitudini con vicende attuali: la storia si ripete e l'uomo non è quasi mai in grado di imparare dai suoi errori. Quindi ho voluto omaggiare quella bellissima terra, le sue suggestioni, i suoi panorami, la sua gente e la sua storia tragica con la suite omonima, nella speranza che possa far riflettere gli ascoltatori di oggi su quella tragedia apparentemente lontana, ma in realtà attualissima.
È difficile non "perdersi" tra le tante influenze che caratterizzano il vostro sound: come nasce un vostro brano? Quali sono i vostri principali punti di riferimento artisticamente parlando?
Bella domanda. Sostanzialmente facciamo musica che ci piace suonare mettendo dentro quello che ci piace ascoltare. Del resto abbiamo background musicali molto diversi e questo crea una commistione di stili interessante, almeno spero. Direi che comunque ci piace sicuramente il prog classico e il classic rock (Pink Floyd, Genesis, PFM, Banco), ma anche il blues (soprattutto il nostro vocalist Runal!), il jazz, la musica classica... Un nostro brano nasce di solito da un'idea concettuale di base (sia a livello di testo e di "atmosfera", sia armonico e melodico). Poi questa idea viene sviluppata dalla band con arrangiamenti che non raramente si allontanano molto dall'idea di base, proprio perché poi ognuno di noi ci mette del suo.
So che in passato avete anche utilizzato la lingua italiana per le vostre liriche - e ce n'è qualche frammento anche in "An Gorta Mòr": come mai oggi utilizzate prevalentemente la lingua inglese?
In realtà abbiamo sempre usato l'inglese tranne che nel nostro penultimo album uscito in doppia versione. Credo che per il nostro tipo di musica la lingua inglese suoni meglio. Inoltre gran parte dei nostri ascoltatori è all'estero, quindi l'inglese è quasi inevitabile per comunicare con loro, considerando che i nostri testi cercano di avere un messaggio e li riteniamo importanti almeno quanto la musica.
Nella recensione ho evidenziato come - alle mie orecchie - venga richiesto "molto" all'ascoltatore che decide di approcciarsi alla vostra musica: cosa pensate di questa osservazione?
Dipende dai punti di vista. Se un ascoltatore si avvicinasse al nostro album in maniera casuale, magari mettendolo di sottofondo come un album di rock AOR mentre sta facendo altro, potrebbe trovarlo un po' ostico. Ma se lo ascoltasse con un po' più di attenzione, come album prog, si renderebbe conto che è molto più lineare di quanto possa sembrare. Mi spiego meglio: prendi ad esempio la suite “An Gorta Mór”. È una mini-opera rock che racconta l'olocausto irlandese, partendo da una scena bucolica iniziale, passando per il dramma della fame, della morte, dell'emigrazione forzata, del viaggio disperato in oceano... È come se fosse un film di una ventina di minuti con varie scene, personaggi, atmosfere e noi abbiamo cercato di creare con i suoni queste immagini. Probabilmente è vero che noi chiediamo "molto" all'ascoltatore e “An Gorta Mór” non è certo easy listening. Ma alla fine, se a qualcuno piacesse la nostra proposta e si concedesse qualche minuto per "visualizzarla" (lo so, è una grande pretesa nel 2018!!!), successivamente ne potrebbe godere anche in maniera più disimpegnata. In piccolo credo che sia assimilabile a quello che succede per album come "The Wall" o "Tommy" (non che ci voglia paragonare agli dei del rock!!!): se un ascoltatore li vuole capire ci si deve soffermare. Poi però, una volta capiti e amati, se li può pure canticchiare in macchina andando al lavoro... almeno a me capita questo! [ride, ndr]

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Una musica tanto elaborata penso che sia anche difficile da riproporre dal vivo: come vi comportate in questo senso?
È difficile, ma non impossibile. Ci stiamo lavorando su e speriamo di proporre un bel live l'anno prossimo. E comunque ci divertiamo molto a suonare questi brani, anche se richiedono molta attenzione. In fondo è sempre e comunque rock'n'roll!
La domanda trabocchetto: i 3 dischi degli ultimi 5 anni che consiglieresti a ogni appassionato di buona musica...
Domanda difficile. Me la cavo in maniera corporativa e dando spazio ad alcuni amici (non me ne vogliano i mostri sacri tipo Waters o McCartney... a loro non servo di certo io!). 1) Marco Ragni - "The Wandering Caravan". 2) Colin Tench Project - "Minor Masterpiece" (R.I.P. Colin, grande artista!). 3) Aisles - "Hawaii".
Grazie Dario per il tuo tempo, a te lo spazio per i saluti finali...
Grazie a te per lo spazio che ci hai concesso su Metal.it, per la recensione e per il lavoro fatto per promuovere il rock in questi tempi difficili per la musica e non solo!
Intervista a cura di Gabriele Marangoni

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