Witchwood: suoni tra boschi e stelle.

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Gruppo:Witchwood

Nel fitto reticolo dei gruppi dediti al cosiddetto “vintage rock”, i Witchwood si distinguono nettamente dalla massa in virtù di uno slancio espressivo davvero impressionante, capace di condurre l’astante in un favoloso viaggio temporale dalla fine degli anni settanta fino ad oggi, il tutto senza fastidiosi manierismi o pavide repliche dei “classici”. Un risultato a cui non sia arriva con facilità e che è frutto di una rara fusione tra istinto, talento, cultura e ispirazione, un “dono” che ha reso il primo albo (“Litanies From The Woods”) del gruppo una delle grandi sorprese discografiche del 2015. L’uscita del nuovo (corposo) mini Cd “Handful of stars”, un luminoso complemento a quanto realizzato dalla band emiliano-romagnola nell’esordio, ci offre la gradita occasione di approfondire la questione con un disponibilissimo Ricky Dal Pane, voce e chitarra di una formazione in possesso di tutti i crismi necessari a incarnare un ruolo da autentica protagonista della "scena".

Ciao Ricky! Grazie per averci concesso questa intervista e benvenuto su Metal.it! Cominciamo con un po’ di storia … nel 2010 esce l'album "From the Solitary Woods" dei Buttered Bacon Biscuits, che ottiene un ottimo responso di critica e pubblico e poi …
Ciao e grazie a voi!
Allora … sì, l’album “From The Solitary Woods” uscì ufficialmente nel 2009 ma fu poi distribuito successivamente dalla Black Widow Records nel 2010. Purtroppo però certi componenti della band non erano più intenzionati a proseguire un discorso di un certo livello per varie motivazioni. Personalmente però trovavo il nuovo materiale in fase di composizione di ottimo livello e non volevo che andasse perso in un nulla di fatto … ho quindi reclutato i membri dei BBB intenzionati a proseguire a cui si sono poi aggiunti nuovi musicisti e con cui abbiamo lavorato per due anni sulla stesura, arrangiamento e registrazione dei nuovi pezzi … abbiamo realizzato un promo cd e si è fatta avanti la Jolly Roger Records che si è mostrata fin da subito seriamente intenzionata nei confronti della band.
Il nome Witchwood deriva invece da un disco degli Strawbs ed è perfetto per noi; volevamo, infatti, qualcosa che richiamasse le atmosfere della nostra terra di origine, l’Appennino tosco romagnolo con tutte le suggestioni e leggende legate ai suoi boschi … boschi stregati ovviamente.

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L’ascolto di “Litanies From The Woods”, un debutto che non esito a definire straordinario, mi ha consentito d’inserire il nome dei Witchwood tra i migliori interpreti internazionali (e sottolineo “internazionali” …) di “classic rock” (nella sua declinazione hard-prog …). Parliamo un po’ d’influenze e di propositi artistici in una “scena” molto affollata …
Intanto grazie mille davvero per le belle parole, apprezziamo molto.
Sicuramente le influenze che stimolano la creazione dei nostri brani sono molteplici. La nostra musica è fortemente legata al periodo dei 70’ di cui adoriamo molte band ma comunque non solo, ascoltiamo veramente un po’ di tutto. Io, anche se la cosa lascia sempre di stucco molti, per esempio sono anche un fanatico di metal, doom e death metal vecchio stampo.
Ti posso però dire che il gruppo a cui personalmente m’ispiro di più sono sicuramente i Led Zeppelin ma non tanto perché la nostra proposta li ricordi particolarmente ma per l’approccio che avevano alla composizione: riuscivano nell’intento di inserire all’interno dello stesso album e a volte dello stesso brano molteplici sfumature che potevano andare dal blues all’hard rock, dal folk alla psichedelia o a momenti di grande epicità riuscendo a farle convivere perfettamente e rimanendo però sempre identificabili.
Poi il nostro principale obiettivo è scrivere brani che riescano a rimanere nel cuore di chi li ascolta: brani che magari anche a distanza di anni possano essere riascoltati con piacere proprio come succede a noi con i gruppi che amiamo … speriamo di essere riusciti finora nell’intento.
Continuando sul tema, stiamo vivendo un “momento storico” assai favorevole al cosiddetto “vintage” … a cosa è dovuto secondo te il prepotente ritorno in auge di questi suoni? Qual è il “segreto” per evitare di apparire una sorta di “tribute band” dei colossi degli anni sessanta e settanta?
Sì, il momento è decisamente favorevole per il nostro tipo di proposta, però ci tengo a precisare che per noi è stato un cammino inverso.
Non suoniamo questo tipo di musica da pochi anni ma veniamo da un percorso molto lungo che per alcuni di noi è iniziato più di vent’anni fa.
Ti faccio un esempio: circa ventidue anni fa io e il tastierista dei Witchwood avevamo una band con cui suonavamo anche la cover di “Gipsy”degli Uriah Heep.
Bene, circa un mese fa nella stessa location l’abbiamo suonata nuovamente con i Witchwood.
Questo per dire che le nostre radici e il sound proposto sono rimasti principalmente gli stessi … la differenza è che è proprio il momento favorevole a sonorità vintage ad aver fatto puntare i riflettori sulla nostra proposta, non noi che ci siamo adeguati alla moda del momento.
E questa sincerità comunque credo che riesca a trasparire dalla nostra proposta rendendoci poi comunque decisamente differenti dalle altre band diciamo “vintage” del momento e facendo breccia in chi dà alla nostra musica una possibilità ascoltandoci.
Arriviamo alla vostra nuova pubblicazione discografica, ”Handful Of Stars”, per quanto mi riguarda un’indiscutibile conferma delle vostre qualità … ti va di presentarla ai nostri lettori?
Che dire … grazie ancora per i complimenti.
Questo nuovo lavoro è una sorta di EP o maxi singolo se preferite.
In origine doveva essere proprio un singolo del brano che lo intitola con incluso un brano inedito. Proseguendo nella lavorazione però ci siamo fatti decisamente prendere un po’ la mano, come sempre d’altronde.
Quindi alla fine gli inediti sono diventati tre a cui abbiamo aggiunto due cover e un’inedita versione proprio di “Handful of Stars” per un totale di credo di quasi quarantacinque minuti di musica … direi un bel mini quindi, ah ah.
Del brano “Handful of Stars” è stato poi preparato dall’amico e artista Dimitri Corradini (anche bassista della storica death metal band Distruzione) un video costruito su suoi dipinti originali … una vera e propria opera d’arte che si discosta dal semplice video promozionale.
Dal video poi Dimitri ha tratto anche le tavole che sono diventate l’artwork del disco … un lavoro certamente monumentale che fa sicuramente una bellissima figura nell’edizione in vinile.

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Nel disco ci sono due cover, “Flaming Telepath” dei Blue Öyster Cult e “Rainbow Demon” degli Uriah Heep … ci racconti come mai avete scelto proprio questi pezzi e quali sono gli obiettivi che vi siete prefissati in quest’operazione non esente da “insidie”?
Semplice … sono due canzoni che amiamo di due band che adoriamo.
Volevamo registrare le nostre versioni di queste due stupende canzoni più che altro proprio per noi stessi visto che sono brani che ci hanno segnato nel profondo.
In più, poiché i Blue Oyster Cult dalle nostre parti non sono mai stati un gruppo seguitissimo, per cercare di invogliare gli ascoltatori ad approfondire l’opera di questa band incredibile e a volte un po’ sottovalutata.
Avete incluso nel programma dell’albo anche una versione estesa a dodici minuti di “Handful Of Stars”, brano di enorme suggestione già contenuto nell’esordio … sono curioso di sapere se il pezzo era nato così e lo avevate dovuto comprimere per qualche ragione o se si è trattato di un’elaborazione “a posteriori” …
Il brano è nato così, con l’introduzione che purtroppo in “Litanies” abbiamo dovuto tagliare per motivi di spazio … in più dal vivo la suoniamo quasi sempre in questa versione completa che ci è stata spesso richiesta su supporto da una parte del nostro pubblico.
Abbiamo poi inserito un solo e un finale alternativo dalle sessions di “Litanies” e un altro solo di Antonino, il nostro nuovo chitarrista.
Per concludere, abbiamo remixato e rimasterizzato il tutto.
Credo che i vostri lavori siano molto equilibrati anche sotto il profilo della resa sonora e della produzione, un risultato non sempre apprezzabile nei dischi dei tanti retro-rockers del terzo millennio … come, dove e con chi avete lavorato per ottenere un suono così “giusto” e naturale?
Noi mettiamo veramente molta cura e attenzione nella realizzazione dei nostri album puntando molto su una buona resa sonora … mi fa piacere che tu l’abbia notato. “Litanies” è stato registrato in vari studi e location ma mixato da Andrea Scardovi ai Duna Studios.
Handful” invece è stato registrato e mixato completamente sempre da Andrea ai Duna Studios e registrato per gran parte live e direttamente su bobina. Entrambi i dischi sono poi stati masterizzati da Giovanni Versari nei suoi Maestà Studios.
Hai accennato al vostro nuovo chitarrista … com’è maturato l’ingresso in formazione di Antonino Stella?
E’ un amico oltre che un ottimo musicista, ci conosciamo da tanti anni e abbiamo militato insieme in svariate formazioni prima dei Witchwood.
Ci è sembrata la scelta più logica quando abbiamo avuto l’esigenza di inserire in organico un nuovo chitarrista.
Ci tengo però a ringraziare Davide Mosca che l’ha preceduto ed è stato con noi per un anno aiutando moltissimo a portare avanti il nome dei Witchwood: un amico e una bravissima persona con cui siamo tuttora in buonissimi rapporti.
E ora? Quali saranno i prossimi passi della band? Prospettive dal punto di vista live-show?
Stiamo lavorando per cercare di piazzare date anche al di fuori dell’Italia e siamo stati contattati da svariati promoter dalla Germania, dalla Grecia e persino dalla Russia quindi … speriamo.
Abbiamo recentemente registrato altre due cover per un disco tributo a due giganti del rock che vedrà la luce a breve per una nota etichetta italiana … ma non posso dire di più per ora.
In più stiamo già componendo materiale per il nuovo album.

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Incidete per la Jolly Roger Records, un’etichetta molto attenta a sostenere la lingua di Dante associata al rock … non avete mai pensato di esprimervi in italiano, magari anche solo in alcuni brani?
Sai che ce lo chiedono spesso … io mi trovo più a mio agio a cantare in inglese, anche se non escludo che un brano in lingua madre prima o poi possa prendere forma visto il mio amore per band e cantautori italiani.
Poi recentemente abbiamo espresso tra noi il desiderio di tributare “Il dono del cervo” di Branduardi e “Fuoco sulla collina” di Ivan Graziani … e potremmo anche farlo prima o poi.
Fortunatamente siamo una band che non si pone limiti espressivi.
Ora una domanda forse un po’ “pericolosa”, ma che mi piace proporre abbastanza di frequente … nell’era dei blog, dei forum, dei social network, “dell’opinionismo” sfrenato, quanto e in che modo ritieni possa essere ancora importante una recensione?
Sicuramente ha ancora importanza.
Oltre al valore poi puramente commerciale, se la recensione è buona, bisogna considerare anche l’appagamento che trae da essa la band o il compositore: è una cosa che viene sminuita o a cui spesso nessuno pensa ma dietro il fare musica spesso c’è un mondo meno roseo di quel che si pensa fatto di enormi sacrifici e duro lavoro … e soprattutto ci sono persone, non automi.
Ovvio che a nessuno quindi fa piacere nel sentire magari sminuire la propria proposta, anche se è ovvio che il recensore deve fare poi il suo di lavoro. Lo dico quindi solo per far capire che leggere su blog o riviste belle parole riferite alla propria band fa comunque molto piacere … e sicuramente aiuta una band nel suo percorso per farsi conoscere e l’ascoltatore a scegliere cosa ascoltare.
Poi devo però aggiungere che spesso su vari blog in rete leggo recensioni di, diciamo, giornalisti improvvisati che purtroppo non hanno la cultura necessaria per scrivere di musica … anche questo è un percorso che richiede tempo oltre che passione … non si diventa esperti ascoltando musica su youtube per un anno, questo voglio dire … e ci si deve ricordare che le proposte musicali vanno anche sempre contestualizzate nel tempo e nelle situazioni in cui vengono proposte.
Questo direi che è il problema maggiore per quel che riguarda una parte del nuovo giornalismo fatto in rete e che può comunque danneggiare chi fa musica … o chi ne fruisce.

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Quello del rock n’ roll è un modo davvero “strano” (e affascinante!) … il cambiamento è spesso visto come una forma di tradimento, mentre la stabilità e la coerenza sono spesso considerati segnali d’immobilismo creativo … come vivi quest’apparente “follia”?
Io personalmente non me ne curo più di tanto. Voglio dire, dipende sempre dal tipo di proposta, non credo ci sia una regola applicabile a tutti. Per esempio io ho trovato molto belli gli ultimi lavori dei Motorhead che direi non si sono spostati più di tanto dalla loro proposta.
Però allo stesso tempo apprezzo e ammiro quelle band che hanno il coraggio di intraprendere altre strade ed evolversi, specie quando sono famose e quindi questa mossa è più rischiosa.
A volte magari può non piacermi la nuova direzione ma comunque se la cosa è dettata da un’esigenza espressiva, li ammiro. Meno se da un’esigenza economica.
Mi sembra però più onesto un musicista che segue il suo cuore o la sua ispirazione più uno che magari pensa solo ad accontentare solo i fan ben sapendo che così ha sempre la sua fetta di pubblico, e quindi soldi, assicurati. A volte sento parlare di rispetto … non capisco cosa c’entri? Ti rispetta uno che ti prende per il culo andando contro a quello che magari vorrebbe realmente fare?
Vedo musicisti che fanno i puri e gli incorruttibili ma se ci fai caso sono ben attenti a rientrare sempre in tutti i cliché che il loro pubblico gli richiede … questo non mi piace.
Poi mi riallaccio ai Motorhead perché sono un ottimo esempio di coerenza sincera … loro lo capisci che erano veramente così in fondo son sempre andati per la loro strada anche quando erano diventati meno popolari. Alla fine è poi sempre la qualità che fa la differenza … se il songwriting è ispirato possono essere giusti entrambi gli approcci.
Siamo alla fine … grazie davvero di tutto e a te il “microfono” per le considerazioni finali …
Che dire … grazie veramente a tutti.
A voi di Metal.it che ci avete concesso questo spazio e a tutti quelli che ci stanno seguendo con così tanta dedizione. GRAZIE.
Intervista a cura di Marco Aimasso

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