Black Metal - Il Black Metal in Norvegia

Dopo aver introdotto il discorso musicale sul Black metal con il nome di Bathory ed esserci di conseguenza dedicati alla Svezia, è necessario fermare la nostra attenzione su quello che è il paese simbolo di questa forma musicale così estrema e così poetica: la Norvegia.


Fondazioni
Il Black Metal come lo intendiamo in senso “moderno” nasce in Norvegia. Nel paese dei fiordi un gruppo di ragazzi ribelli e sicuramente “problematici” da sfogo alla sua rabbia, al suo odio, alla sua emarginazione attraverso un nuovo modo di intendere il suono estremo, un modo che affonda le sue radici negli insegnamenti dei primi, fondamentali, lavori di Bathory per sviluppare poi tutta la sua fortissima personalità inventando, letteralmente, un nuovo genere.
Parlare di origini del Black metal “classico” significa essenzialmente riferirsi a due nomi: Mayhem e Darkthrone.
I Mayhem nascono nel 1984, ad Oslo, ad opera di Øystein Aarseth, in arte Euronymous, che fonda la band insieme con il bassista Necrobutcher ed il batterista Manheim ispirandosi ai lavori di act come Venom, Slayer e Celtic Frost. Con questa formazione a tre il gruppo incide i primi demo, “Tortured Skull” e “Pure Fucking Armageddon” attraverso i quali il nome della band inizia a circolare nell’underground dell’epoca all’interno del quale i Mayhem si distinguono subito per il loro estremismo musicale ed estetico.
La prima prova ufficiale dei nostri porta la data del 1987 ed è un EP di 8 pezzi pubblicato da Posercorpse Music.
“Deathcrush” è un disco seminale, violento, grezzo e, seppur ancora legato al thrash, contiene tutti gli elementi distintivi del nuovo genere che doveva nascere. Il disco, che vede come vocalist sia Maniac che Messiah, ha una produzione pessima ed un impatto devastante e contiene tematiche che inneggiano al sangue ed alla violenza ed ha il merito di far conoscere i Mayhem ad un pubblico più vasto. Si tratta dunque di un disco apripista, di un primo tassello di un mosaico nero.
La svolta per il gruppo di Euronymus avviene nel 1988 quando alla band si uniscono Dead come cantante ed Hellhammer come batterista: è con questa ormai leggendaria formazione che i nostri incidono nuovi pezzi ed infiammano tutti i palchi dove si esibiscono con performance tanto violente quanto estreme in cui sangue, automutilazioni, animali morti fanno da ornamento alla musica selvaggia del quartetto. Tutto quello che segue è ormai storia: il suicidio di Dead, la nascita della Inner Circle attorno al negozio Helvete, l’assasinio di Euronymous… vicende sulle quali è inutile tornare e delle quali vi abbiamo già parlato. L’evento invece fondamentale legato al nome Mayhem è la pubblicazione postuma alla morte del suo leader, ad opera di Hellhammer, del loro primo disco di lunga durata in studio, quel “De Mysteriis Dom Sathanas” che è, probabilmente, il disco Black metal più importante della storia.
Quest’opera racchiude al suo interno tutto il gelo ed il fascino del Black metal, tutto il male e l’oscurità che avvolgono il nome dei Mayhem. I pezzi del sono ormai leggendari ed hanno avuto una influenza enorme sulla scena, merito di un impatto tanto violento quanto blasfemo, esaltato dal suono gelido delle chitarre, dalla batteria distruttiva e dalla spettrali vocals del nuovo singer Attila Csihar.
“De Mysteriis Dom Sathanas” è semplicemente un capolavoro, uno di quei dischi che hanno segnato un’epoca e consegnato il nome dei suoi autori alla storia. Suona strano considerare i Mayhem come una icona di un certo modo di intendere la musica per un solo disco, ma la realtà è questa, “De Mysteriis Dom Sathanas” resta tutt’oggi un punto di riferimento al quale guardare se si vuole suonare Black metal. La storia “vera” dei Mayhem termina con questo disco. Tutto il resto ha poca importanza.

Øystein Aarseth può sicuramente fregiarsi del titolo di padrino del Black metal, ma quando si deve parlare di Norvegian Black Metal c’è un solo nome da fare prima di tutto: Darkthrone.
Il gruppo nasce nel 1987, con il nome di Black Death, a Kolbotn per iniziativa di Gylve Nagell ed Anders Risberget ai quali si uniscono successivamente Ivan Enger e Ted Skjellum ed all’inizio propone un suono di chiara matrice Death metal. Il primo disco dei nostri, infatti, “Soulside Journey”, pubblicato dalla Peaceville nel 1991, si inserisce sulla scia di band come Entombed, Edge of Sanity e Tiamat proponendo un Death metal scandinavo di ottima fattura e buona tecnica strumentale che rivela il talento dei Darkthrone.
Subito dopo la pubblicazione del disco, però, le cose cambiano radicalmente per il gruppo che decide di allontanarsi dal Death metal e di abbracciare il nuovo stile musicale che stava nascendo in Norvegia sulla scia dell’opera dei Mayhem.
Sulla base di questo nuovo intento viene rilasciato nel 1992 il primo disco dei “nuovi” Darkthrone: “A Blaze in the Northern Sky”.
I Darkthrone abbandonano il tecnicismo del Death metal e se ne vengono fuori con un suono volutamente grezzo, malvagio, estremo come mai prima di allora sulla scia di Bathory e Celtic Frost (soprattutto) codificando in un attimo un nuovo genere. La voce disperata di Nocturno Culto (Ted Skjellum) i tempi di batteria ora lenti ora improvvisamente veloci, l’artwork in bianco e nero completano il quadro di un disco epocale: pezzi come “In the Shadow of the Horns” oppure la titletrack entrano subito nella leggenda consegnandoci un disco sulfureo, malato, rivoluzionario.
“A Blaze in the Northern Sky” mantiene, seppur in minima parte, i contatti con il passato della band, ma segna l’inizio di un percorso artistico che la band di Fenriz (Gylve Nagell) e Nocturno Culto avrebbe intrapreso e codificato con i lavori seguenti.
L’anno successivo esce “Under a Funeral Moon” sul quale i Darkthrone estremizzano il discorso dando vita ad un disco che vomita al mondo tutto l’odio ed il distacco provato dai nostri. La produzione si fa ancora peggiore, il suono ancora più nero ed infernale diventando tanto semplice quanto gelido. La band si conferma estrema in ogni sua manifestazione e la sua volontà è chiaramente quella di fregarsene di ogni logica di mercato seguendo solo l’istinto. La musica contenuta in questo disco non lascia spazio a dubbi, siamo di fronte a puro Black metal, a puro odio messo in musica: i riff diventano monocordi, i tempi veloci in modo esasperato e soprattutto l’atmosfera diventa dannatamente nera, in modo impenetrabile. “Under a Funeral Moon” è un disco da amare o odiare, non esistono compromessi, quello che conta in questo genere di espressione artistica è soprattutto l’attitudine, la reale passione che anima i musicisti ed in questo senso il platter è semplicemente magnifico. Inutile dire che esso diventa una pietra di paragone per il Black metal tutto: “Inn I De Dype Skogers Favn”, “Natassja in Eternal Sleep”, “Unholy Black Metal” sono pezzi stupefacenti nella loro malvagità, nel loro essere un simbolo di disperazione e rifiuto del mondo circostante.
Dopo una prova del genere sarebbe stato difficile essere più estremi. Non per i Darkthrone, però, che riescono nell’impresa e nel 1994, sempre per Peaceville, rilasciano “Transilvanian Hunger”, quello che può essere considerato il loro definitivo testamento. Non esiste un disco che vada più in la di dove si spinge questo lavoro. La voce di Nocturno Culto proviene direttamente dall’inferno, la batteria di Fenriz è un costante, infinito soffio di vento gelido che sferza l’aria, il suono delle chitarre è minimale, lancinante, quasi doloroso, le canzoni semplicemente terrificanti. Impossibile dimenticare il riff della titletrack, uno dei più celebri mai usciti dalla Norvegia, come impossibile è sottrarsi al fascino arcano di un’opera come questa.
"Transilvanian Hunger” è lo spirito del Black metal marcio, è odio puro, innegabile, inimitabile. Difficile calarsi in un mondo come quello che fa da sfondo a questo disco: qui abbiamo il rifiuto sdegnoso di ogni abbellimento tecnico, abbiamo l’assoluta rinuncia ad ogni forma di morale, nei pezzi c’è solo dolore, freddo, morte, claustrofobia. Ecco, claustrofobia è la parola che meglio definisce un disco che fa dell’alienazione il suo più intimo segreto.
Dopo l’uscita di “Transilvanian Hunger” gli stessi Darkthrone si rendono conto di non potersi spingere oltre tanto è vero che il successivo “Panzerfaust”, uscito nel 1995, è un disco diverso dal suo predecessore. Fenriz e Nocturno Culto, ormai rimasti come duo, inseriscono tempi più lenti dando vita a brani marziali ed ossessivi senza rinunciare, tuttavia, alla loro malvagità. Non mancano, ovviamente, i pezzi veloci, così come non manca quell’alone di nero misticismo che permea il suono darkthroniano e rende “Panzefaust” un disco splendido, l’ultimo capolavoro firmato dai nostri.
I Darkthrone infatti negli anni successivi avrebbero cambiato registro spingendosi verso forme di espressione che gradualmente abbandoneranno il Black metal da loro stessi creato per tornare alle loro radici Thrash anni ’80.

Parlando del leader dei Mayhem Euronymous, abbiamo citato la famigerata Inner Circle, organizzazione all’interno della quale confluirono diversi personaggi provenienti da band estreme della zona. Tra di queste va segnalato il nome degli Old Funeral, nati a Bergen nel 1988, non tanto per la loro proposta musicale, ascrivibile al genere Death metal, quanto per i componenti del gruppo i quali, allo scioglimento della band, avrebbero dato vita a due gruppi fondamentali per la scena Black metal: Immortal e Burzum.

Gli Immortal nascono nel 1990 ad opera di Harald Nævdal, Demonaz Doom Occulta, e Olve Eikemo, Abbath Doom Occulta i quali insieme al batterista Armagedda scrivono i primi pezzi e pubblicano l’omonimo EP del 1991 che li fa conoscere alla Osmose production che si sarebbe occupata della pubblicazione del loro debut: “Diabolical Fullmoon Mysticism”.
Il disco è un ottimo esempio di suono nordico e glaciale e si discosta dalle prime produzioni Black del periodo sia dal punto di vista tematico, trattando temi come neve ed inverno, sia dal punto di vista musicale, con l’introduzione di parti arpeggiate che stemperano e danno epicità alla furia esecutiva del gruppo. Il disco viene ben accolto negli ambienti estremi grazie alla innegabile qualità di pezzi storici come “Cold Winds of Funeral Dust” o “Unholy Forces of Evil” e diffonde velocemente il nome del gruppo.
Dopo l’uscita del batterista, gli Immortal rientrano in studio, nei sempre più celebri Grieghallen studios, per registrare il nuovo lavoro che gli avrebbe consacrati tra i maggiori esponenti del nero verbo musicale.
“Pure Holocaust”, questo il titolo, è un disco devastante, gelido come pochi e perfetto per esprimere le visioni invernali del gruppo. Le parti arpeggiate dell’esordio vengono del tutto abbandonate a favore di una violenza esecutiva senza pari sulla quale si erge l’inconfondibile scream acido di Abbath, che qui si occupa anche della batteria, e le trame chitarristiche di Demonaz che esaltano quel suono dissonante, ghiacciato, epico, trademark degli Immortal. Il disco nel tempo diventa un classico ed anche il migliore della prima fase della carriera dei nostri sebbene il successivo “Battles in the North”, uscito nel 1995 sempre per Osmose production, sia comunque un disco di grande spessore. Anche in questa release gli Immortal danno un saggio della loro classe e portano alle estreme conseguenze il discorso iniziato nel lavoro precedente. “Battles in the North” suona come una tempesta che ti sbatte in faccia e mette in musica tutto il gelo del nord: i ritmi sono forsennati, la voce di Abbath infernale, i riff di chitarra taglienti come lame e le atmosfere tanto maligne quanto epiche. Il disco viene chiuso da “Blashyrkh (Mighty Ravendark)”, il pezzo simbolo degli Immortal, e probabilmente uno dei più celebri dell’intera storia del Black metal.
Dopo “Battles in the North” gli Immortal iniziano a cambiare qualcosa nel loro sound introducendo una base “melodica” prima sconosciuta. Con “Blizzard Beasts” del 1997 abbiamo i primi, acerbi, frutti di questo cambiamento in quanto il platter contiene pezzi più articolati e più armonici del passato. Il disco può essere considerato un punto di passaggio verso la seconda fase della carriera degli Immortal che infatti sul lavoro successivo stravolgono il loro sound.
“At the Heart of Winter” esce il 7 dicembre del 1999 e vede delle importanti novità nel gruppo in quanto lo storico chitarrista Demonaz deve abbandonare il suo ruolo per problemi al braccio e viene sostituito da Abbath che si occupa anche del basso come sempre, mentre il batterista Horgh, entrato in formazione con il disco precedente, da vita ad una grande prestazione. Il suono di “At the Heart of Winter” risulta essere gelido come sempre, ma gli Immortal inseriscono nel loro suono partiture Thrash di grande respiro ed amplificano il tono epico delle loro composizioni grazie anche ad un riffing molto più vario ed articolato che in passato. Il suono che viene fuori da questo disco è nordico in maniera stupefacente, melodico anche se feroce e tutti i pezzi sono semplicemente meravigliosi e ci consegnano un gruppo in forma straordinaria. Dopo questa fondamentale tappa della loro carriera, gli Immortal avrebbero proseguito su questa strada rilasciando dischi di grande spessore che ne consacreranno la grandezza.

L'origine di Burzum risale al 1987 quando il progetto viene concepito da Kristian Vikernes (nome poi legalmente cambiato nel celeberrimo Varg). Il ragazzo di Bergen passa attraverso altre esperienze musicali come Uruk-Hai ed i già citati Old Funeral prima di ritornare, nel 1991, al suo progetto originale che da lì in poi diventa un solo project.
L’intenzione di Vikernes è quella di dare vita con Burzum ad una sorta di incantesimo volto a creare un mondo immaginario legato a doppio filo con la storia pagana. Sulla base di questa premessa, che denota un forte rifiuto per il mondo circostante, Varg rilascia i suoi primi lavori, una serie di dischi che avrebbero sconvolto il mondo dell’estremo e consacrato Burzum come uno dei nomi più importanti, e sicuramente il più famoso, dell’intera scena estrema scandinava.
L’esordio discografico è l’omonimo disco del 1992 rilasciato dalla Deathlike Silence Productions di Euronymous e contiene brani dei primi due demo di Burzum. La musica dell’album rivela immediatamente l’originalità del suo autore presentando al mondo un Black metal da un parte rabbioso e veloce, ma dall’altra lento ed atmosferico ed un suono che da subito avrebbe fatto scuola. Varg Vikernes interpreta i brani con uno scream unico nel panorama estremo, uno scream disperato, esasperato, terrificante che da subito diventa trademark del progetto. Il disco gode di una atmosfera unica, quasi sognante, sebbene la musica in esso contenuta sia pregna di odio e disperazione e i pezzi siano Black al 100%. “Burzum” segna la nascita della versione “atmosferica” di questo genere estremo, una versione che sarebbe poi stata declinata nel depressive da una miriade di band che all’opera di Vikernes si sarebbero ispirati. Musicalmente “Burzum” è un album “semplice”, scevro da tecnicismi particolari, freddo e disturbante e ci presenta un artista ricco di idee e talento, sebbene all’epoca Varg avesse solo 19 anni.
Nel 1993 Burzum rilascia due dischi, il mini LP “Aske” ed il full “Det Som Engang Var”, il primo sempre per l’atichetta di Øystein Aarseth, mentre il secondo per l’etichetta personale di Varg, la Cymophane. Tutte e due le opere, sempre registrate ai Grieghallen studios, proseguono sulla scia dell’esordio e confermano il ruolo predominante di Burzum nella scena Black. Varg Vikernes non solo scrive nuovi capolavori, ma crea un nuovo genere, un nuovo modo di esprimersi in cui l’oscurità permea la sua creatura e la protegge dal mondo esterno di cui il “conte” prova disgusto.
”Det Som Engang Var” è un disco splendido nella sua feroce misantropia, basato su un suono povero, grezzo ma affascinante: i synth qua e la interrompono la furia delle chitarre monocordi e reminiscenze Thrash si fondono con l’estremizzazione dei toni tipici del Black metal. L’atmosfera è ancora una volta assoluta protagonista della musica di Burzum, una atmosfera che diventa catartica e che sarebbe stata esaltata ed estremizzata nel lavoro successivo di Varg.
“Hvis Lyset Tar Oss” viene registrato tra il 1992 ed il 1993 e rilasciato solo nel 1994, dopo l’incarcerazione di Vikernes, dalla Misanthropy Records, che si era occupata anche della ristampa del precedente lavoro. Parliamo senza ombra di dubbio di uno dei capisaldi del Black metal, di uno dei dischi più importanti mai usciti dalla Norvegia. “Hvis Lyset Tar Oss” è composto da soli 4 brani per oltre 44 minuti di musica in cui Varg Vikernes raggiunge l’apice della sua arte bilanciando in modo mirabile la furia del Black metal con le sperimentazioni dark ambient che caratterizzeranno le uscite successive. Lo scream è ancora una volta estraniante ed esalta il mood nero ed alienante del disco: semplicemente strepitoso è l’uso delle tastiere che donano alle composizioni un sapore quasi mistico che si pone in contrasto con la feralità dei brani e che trovano il loro climax nella finale “Tomhet”, brano interamente strumentale privo di chitarre e batterie. “Hvis Lyset Tar Oss” è un disco meraviglioso nella sua malvagità e resta un unicum nella proposta di Burzum che qui tocca in profondità le corde emotive dell’ascoltare, cullandolo o straziandolo, e qui sublima il suo spirito elitario e rivoluzionario.
Il 6 gennaio del 1996 la Misanthropy Records da alle stampe il nuovo capitolo della saga Burzum, “Filosofem” che contiene brani registrati nel marzo del 1993 prima dell’incarcerazione di Vikernes. Le novità su questo disco sono notevoli rispetto al passato. La registrazione dona ai brani un suono “nuovo”, “aperto” che ben si sposa con il senso di esasperazione derivante dalla ripetizione infinita delle stesse partiture all’interno dei brani. La voce di Vikernes appare filtrata, distante ed è estrema come sempre, mentre al di sotto delle chitarre si odono suoni ambient e tappeti di synth fortemente evocativi. “Filosofem” sembra essere un disco dark ambient suonato in chiave Black metal e risulta essere un capolavoro straordinario. Nessun altro artista del panorama Black metal sarebbe riuscito ad evocare con tale vividezza di colori le immagini di desolazione, tristezza, misantropia, elitarismo che prorompono dalle note di celebri brani come “Dunkelheit” o “Erblicket die Töchter des Firmaments” che testimoniano la grandezza di un artista unico. Uniche sono anche le liriche del disco che, come nell’opera precedente, sono poetiche ed ispiratissime, molto lontane dalle banalità della maggior parte della scena e che completano un lavoro davvero definitivo, probabilmente il migliore del gruppo.
La parabola di Burzum si interrompe bruscamente a causa dell’incarcerazione del suo leader per l’omicidio di Euronymous evento, questo, che da ulteriore notorietà ad un progetto che, musicalmente parlando, rimane imprescindibile. Varg Vikernes non smetterà comunque di produrre musica neanche negli anni passati dietro le sbarre rilasciando due lavori di puro dark ambient come “Dauði Baldrs” del 1997 e "Hliðskjálf" del 1999 e tornando al Black metal delle origini una volta tornato in libertà con i recenti, ottimi, “Belus” (2010) e ”Fallen” (2011).

Una delle caratteristiche tematiche del Black metal norvegese è il rifiuto della realtà circostante che si trasforma in misantropia e ribellione. Il rifiuto del moderno comporta, tra l'altro, l'anelito al ritorno di tempi antichi, di tempi in cui i Vichinghi dominavano i mari. La trasposizione in musica di questo concetto trova la sua massima espressione nell'opera prima di un altro grande gruppo legato alla Inner circle: i Satyricon.
La band si forma nel 1990 ad opera di Czral (Carl-Michael Eide) e Wargod ai quali presto si aggiungono Satyr (Sigurd Wongraven) e Ulver (Haavard), mentre lo storico drummer Frost raggiunge la band nel 1992. Rimasti con due soli elementi, Satyr e Frost, i Satyricon danno alle stampe il loro esordio discografico “Dark Medieval Times” nel 1993 contribuendo ad ampliare il campo di azione del nascente Black metal. Il disco infatti unisce al tipico suono norvegese molte parti acustiche ed inserti folkloristici di flauto che danno all'opera un fascino antico e medievale. Se da una parte sentiamo il tipico gelo delle chitarre, dall'altra i Satyricon si fanno portavoce di un suono epico, arcaico e melodico che ha pochi riscontri nella musica del periodo. “Dark Medieval Times” è un disco battagliero ed intrigante, sicuramente da non perdere. Il suo spirito viene ripreso nel successivo “The Shadowthrone”, pubblicato nel 1994, che da ampio risalto allo spirito vichingo dei Satyricon. Il disco è un perfetto trampolino di lancio vero quello che sarà il capolavoro definitivo del gruppo ed è un'opera ricca di fascino e melodie antiche che qui vengono espresse in modo magistrale e marcatamente nero. “The Shadowthrone”, pur non avendo la ferocia di altri prodotti del genere, ha però un mood antico ed evocativo davvero splendido che lo rendono unico nel suo genere.
Nel 1996 la Moonfog, etichetta di Satyr, pubblica il disco definitivo dei Satyricon, quel “Nemesis Divina” che rappresenta uno dei massimi vertici del Black metal e fonte di ispirazione per decine e decine di gruppi. Il disco vede la partecipazione di Nocturno Culto dei Darkthrone a fianco dello storico duo Satyr Frost, ed è semplicemente un album perfetto. Melodia, ferocia, epicità, spirito guerriero, trovano magnifica espressione in pezzi lunghi ed articolati all'interno dei quali i Satyricon esprimono tutto il loro estro compositivo. Impossibile non ricordare pezzi come la celeberrima “Mother North”, probabilmente la più bella dichiarazione d'amore per la propria terra, o l'opener “The Dawn of a New Age” che squarcia l'aria col suo riff gelido e spettrale sul quale Satyr intona le sue urla di morte. “Nemesi Divina” è la summa dell'arte medievale dei Satyricon e resta un capolavoro inavvicinabile per chiunque. Dopo un disco di tale importanza i Satyricon si ripresentano al pubblico con un deciso cambio di indirizzo musicale ed estetico rilasciando nel 1999 “Rebel Extravaganza” che già dal titolo testimonia la volontà del gruppo di distaccarsi dal black metal “tradizionale” dei primi lavori. Quello che il duo Satyr Frost offre è un suono asettico, quasi industriale, in cui vengono abbandonate tutte le influenze medievali e viene invece sviluppato un approccio moderno, contemporaneo alla musica estrema. Si tratta di un nuovo inizio per i Satyricon e “Rebel Extravaganza” si dimostra un disco valido che avrà grossa influenza sullo sviluppo di un nuovo tipo di black metal. Al disco segue il buon “Volcano” nel 2002 dopo il quale il gruppo si perde in release non più all'altezza del suo talento.

Una delle caratteristiche di molti gruppi norvegesi dei primi anni '90 è quella di prendere spunto per il loro immaginario o per il loro monicker dalle opere di Tolkien. Questo è il caso, ad esempio, dei Gorgoroth tra i prime mover del movimento Black metal.
Il gruppo si forma nel 1992 su iniziativa del chitarrista Roger Tiegs (Infernus), del cantante Hat ("odio" in norvegese), e del batterista Goat. Nel 1993 la band rilascia il suo primo demo, intitolato “A Sorcery Written in Blood”, contenente solamente due canzoni. Finito di registrare il demo, i Gorgoroth firmano un contratto con la casa discografica Embassy Records e iniziano a lavorare al loro primo full, “Pentagram” che viene pubblicato nel 1994. Il suono del gruppo è debitore di quello dei Darkthrone, ma è caratterizzato dallo scream acutissimo di Hat e da un velo malinconico nelle composizioni che rendono il lavoro personale e riuscito. I testi di “Pentagram” contengono numerosissimi riferimenti al satanismo, all'anticristo, ai temi occulti e infernali e contribuiscono ad accrescere l'immagine blasfema del gruppo. Con il successivo “Antichrist”, rilasciato da Malicious records nel 1996 e registrato come il debut nei Grieghallen studios, i Gorgoroth definiscono meglio il loro suono e le composizioni di Infernus si fanno molto paricolari unendo una vena epico-melodica al solito assalto darkthroniano. Alle vocals del disco si alternano Hat ed il nuovo cantante Pest e le loro interpretazioni forniscono un fascino particolare all'opera. Pezzi come “Bergtrollets Hevn” o la magnifica “Gorgoroth” diventano dei classici di un modo selvaggio ed al tempo stesso triste di intendere il Black. Da questo punto in poi i Gorgoroth entrano nel gotha della musica estrema norvegese e rilasciano una serie di lavori sempre blasfemi ed estremi passando attraverso una serie di cambi di line up e di vicende giudiziarie che in questa sede ci interessano poco.

Tra i principali esponenti del primo Black metal norvegese non va dimenticato il nome dei Carpathian Forest. La band si forma nel 1990 per iniziativa di Roger Rasmussen (Nattefrost) e J.Nordavind con il nome di The Childmolesters prima ed Enthrone poi, fino a giungere al monicker definitivo.
Tra il 1992 ed il 1993 i Carpathian Forest pubblicano due demo, “Bloodlust & Perversion” e “Journey through the Cold Moors of Svarttjern“ che ottengono ottimi riscontri e rivelano l’originalità della musica del duo che inserisce partiture Rock nelle trame Black. Nel 1995, dopo la firma per Avantgarde music, esce l’EP “Through Chasm, Caves and Titan Woods” che consacra definitivamente la musica dei Carpathian Forest. Il mini CD di 5 pezzi mette in mostra un suono gelido e minimale capace di lasciare un senso di vuoto e desolazione raramente riscontrabile in altre release. Emerge inoltre quel gusto Rock che già si percepiva nei demo e che avrebbe portato alla nascita del Black'n'Roll di cui i nostri sono padri fondatori e che qui si mescola con riff semplici e taglienti e con arpeggi tenebrosi che rendono il lavoro semplicemente bellissimo. Il sospirato esordio sulla lunga distanza avviene nel 1998, sempre per Avantgarde music, e si intitola “Black Shining Leather” un disco nel quale Nattefrost e Nordavind fondono le loro passioni per il Thrash ed il Dark dando vita ad una musica oscura e marcia che trasuda passione ad ogni nota. L'album si ritaglia un posto di primissimo piano nel puro Black metal norvegese e rappresenta la summa della musica dei Carpathian Forest. Le successive uscite del gruppo ne confermeranno, poi, lo status di cult band.


Sinfonie
Parallelamente al Black metal “puro” ed incontaminato di Mayhem e Darkthrone la scena norvegese fa da culla allo sviluppo di una versione che si può definire sinfonica, una versione in cui le tastiere diventano assolute protagoniste senza, tuttavia, togliere niente alla brutalità della proposta. Il gruppo che può essere considerato l’inventore di questa nuova forma espressiva è quello degli Emperor.
La band si forma nel 1991 su iniziativa di Vegard Sverre Tveitan e Tomas Haugen, che poi avrebbero preso gli pseudonimi di Ihsahn e Samoth, i quali, con l’entrata in line up del bassista Mortiis, danno vita al progetto Emperor esordendo con il demo “Wrath of the Tyrant”, che attirò l'attenzione del movimento underground e della Label Candlelight. Dopo l’entrata di Bård G. Eithun (Faust) alla batteria e la pubblicazione del mini LP omonimo del 1992, il gruppo entra in studio per dare alle stampe, nel 1994, il suo leggendario esordio “In The Nightside Eclipse”. Il disco entra direttamente tra i classici del Black metal e risulta essere rivoluzionario grazie alla sua capacità di unire partiture sinfoniche magniloquenti con il blast beat tipico del genere creando un suono violentissimo ma molto elegante come nessuno aveva mai fatto prima di loro. “In The Nightside Eclipse” contiene una serie di brani ormai entrati nella storia come “I am the Black Wizards”, uno dei riff più celebri partoriti in Norvegia, o “Inno a Satana” che danno una prova perfetta di come si può essere malvagi e caotici pur utilizzando intrecci raffinati. Gli Emperor creano una musica nuova e danno origine ad un genere che nel tempo avrebbe creato decine e decine di proseliti e si ritagliano, subito, un ruolo centrale nella scena, ruolo che sarebbe stato confermato dal lavoro successivo.” Anthems to the Welkin at Dusk” esce nel 1997 sempre per la Candlelight records e viene registrato, come la maggior parte dei capolavori norvegesi, nei Grieghallen a Bergen. Il lavoro segna una ulteriore evoluzione nel suono degli Emperor che arricchiscono le loro composizioni con un maggior uso delle voci puliti e danno ampio sfogo ad atmosfere epiche e magniloquenti sempre poggiate su una base Black metal davvero brutale e velocissima. ” Anthems to the Welkin at Dusk” è semplicemente un disco meraviglioso, con passaggi da brivido ed un feeling raggelante e raffinato difficilmente descrivibile. Ihsahn e Samoth dimostrano di essere musicisti molto preparati e dal grande gusto compositivo ed il nuovo entrato Trym alla batteria da prova della sue straordinarie capacità sostenendo tempi “apocalittici” con grande padronanza. Il Symphonic Black metal nella sua versione più cattiva trova in questo disco la sua massima espressione e resta l’ultimo capolavoro del gruppo. Gli Emperor, infatti, con le successive prove tendono a distaccarsi dal Black degli esordi, inserendo nelle loro composizioni un maggior numero di elementi provenienti dalla scena Death sempre amalgamati con le loro partiture sinfoniche. Quello che ne viene fuori è una coppia di lavori ottimi, “ IX Equilibrium” del 1999 e “Prometheus: The Discipline of Fire & Demise” del 2001, che è difficile considerare, tuttavia, come dischi Black metal, soprattutto nel secondo caso. Dopo l’uscita dell’ultimo lavoro, gli Emperor decidono di sciogliersi e di dedicarsi ad altri progetti musicali nel caso di Samoth o alla carriera solista nel caso di Ihsahn.

Oltre ai seminali Emperor la Norvegia è la patria di un altro gruppo fondamentale per lo sviluppo del concetto sinfonico della musica nera, i Dimmu Borgir.
Shagrath (voce), Erkekjetter Silenoz (chitarre) e Tjodalv (batteria) fondano la band ad Oslo nel 1993 scegliendo il famoso monicker dalla lingua islandese nella quale Dimmu Borgir significa fortezza nera e viene usato per indicare una formazione vulcanica dell'Islanda che secondo le leggende del luogo costituisce l'entrata dell'inferno.
L’esordio discografico è del 1994 quando la No Colour Record rilascia “For All Tid”, un disco che in embrione contine tutti i tratti distintivi del gruppo. I sintetizzatori diventano protagonisti del suono anche se la furia del Black metal è qui presente come non lo sarebbe stato più in futuro. Il disco possiede una cattiveria che unità alla registrazione approssimativa lo rende molto oscuro e marcio, sebbene le partiture sinfoniche denotino la vena melodica dei Dimmu Borgir, vena che avrebbe avuto massima espressione nel successivo “Stormblåst” pubblicato nel 1996 dalla Cacophonous Records. Il disco mette in luce un gruppo affiatato e dalle ottime doti compositive che gli consentono di creare brani sognanti ed affascinanti in piena linea con il nome della band. “Stormblåst” è un lavoro bellissimo, nordico in ogni sua nota ed unisce, in modo mirabile, una visione quasi “classica” della musica con un impatto Black metal che, pur se meno violento dell’esordio, da grande vigoria ai pezzi. Il disco ottiene un buon successo e fa conoscere il nome del gruppo tanto è vero che i Dimmu Borgir firmano per la prestigiosa Nuclear Blast che nel 1997 pubblica il celebre “Enthrone Darkness Triumphant”. Il nuovo lavoro risulta essere un disco epocale dal momento che contribuisce a sdoganare il Black Metal facendolo passare da genere di nicchia a genere universalmente conosciuto nel mondo. “Enthrone Darkness Triumphant” viene registrato negli Abyss Studio di Peter Tagtren e quindi gode di una qualità di registrazione prima di allora sconosciuta e mette sul piatto una serie di brani tanto violenti quanto “orecchiabili” che ne decretano un grandissimo successo. Il suono diventa più sinfonico che in passato e più ricco in fase di arrangiamento: si perde senza dubbio l’oscurità e la misantropia dei primi lavori, ma si guadagna in magnificenza e potenza. L’opener “The Mourning Palace”, probabilmente il brano più famoso del gruppo, è l’emblema dei “nuovi” Dimmu Borgir con il suo perfetto bilanciamento tra aggressività e pomposità e diventa il prototipo di un nuovo modo di suonare Black Metal. Da questo momento in poi, la carriera dei Dimmu Borgir cambia radicalmente così come cambiano i loro intenti musicali. I musicisti coinvolti nel progetto entrano nello star system della musica metal internazionale e probabilmente perdono la genuinità che rende speciali i primi dischi. La storia dei Dimmu Borgir sarebbe stata ricchissima di successi ed avrebbe gareggiato con quella dei Cradle of Filth in quanto a notorietà e successo, ma, a mio avviso, sarebbe diventata anche meno interessante.

Accanto ai nomi di Emperor e Dimmu Borgir occorre introdurre un altro gruppo fondamentale per lo sviluppo dell’approccio sinfonico, gli Arcturus.
La band viene fondata nel 1990 da Steinar Sverd Johnsen, Hellhammer e Marius col nome di Mortem e propone all’inizio un genere inquadrabile nei canoni del Death metal.
Il loro esordio discografico, “My Angel” del 1991, è un 7", contenente due brani, stampato dalla Putrefaction Records in 1100 copie e ci offre un oscurissimo e lento Black metal ossessivo e marcio sul quale gioca un ruolo fondamentale il profondissimo growling di Marius. Nel 1993 gli Arturus reclutano Samoth (Emperor) nel ruolo di chitarrista e Kristoffer Rygg (Garm) in quello di cantante al posto di Marius e con la nuova formazione registrano il mini CD "Constellation" che viene pubblicato nel 1994 dalla Nocturnal Art Productions. Il disco contiene 4 brani che finiscono poi sul loro esordio discografico rilasciato dalla Ancient Lore Creations nel 1996. “Aspera Hiems Symfonia” è un disco bellissimo, unico. Il suono degli Arcturus si fa epico, battagliero, sinfonico e raffinatissimo anche per l’ingresso in formazione di Carl August Tidemann alla chitarra, in sostituzione di Samoth, il quale insieme alle tastiere di Sverd e alla batteria di Hellhammer da vita ad una musica tecnicamente di altissimo livello, cosa inusuale nel Black metal, ed evocativa come poche. Aspera Hiems Symfonia è una raffinata ode al cielo stellato verso il quale gli intrecci di chitarre e tastiere si rivolgono tessendo trame intricate e suadenti che vengono squarciate dallo scream monumentale di Garm fondamentale per la riuscita dei pezzi. Dopo questo, fenomenale, esordio su lunga distanza gli Arcturus abbandonano il Black metal ed intraprendono la strada dell’avanguardia con i dischi successivi.

Per chiudere il discorso sul Symphonic Black Metal norvegese bisogna necessariamente fare riferimento al nome dei Limbonic Art.
La band nasce nel 1993 a Sandefjord ad opera di Vidar Jensen, in arte Daemon, ed esiste per un certo periodo di tempo come quartetto fino a quando il leader incontra Krister Dreyer, Morfeus, dando vita alla coppia che sarebbe stato dietro a tutti i dischi del progetto.
L’esordio discografico del duo avviene nel 1996 sotto l’egida della Nocturnal Art Production di Samoth ed è intitolato “Moon in the Scorpio”. Il disco si distingue immediatamente nel panormama dal Black metal per via della sua atmosfera oscura e sinfonica sulla quale la coppia Daemon Morfeus costruisce brani molto lunghi in cui risultano amalgamati perfettamente soluzioni ai limiti della musica classica e tipiche partiture estreme. Caratteristiche peculiare dei Limbonic Art sono l’uso della drum machine che conferisce al suono una maggiore freddezza che ben si sposa con il concept dei nostri e la voce di Daemon certamente tra le migliori nell’ambito estremo. “Moon in the Scorpio” è un capolavoro di nera melodia e misticismo con una atmosfera macabra e sottilmente raffinata in cui la sinfonia diventa assoluta protagonista.
Tutte le caratteristiche del disco di esordio vengono riprese nel successivo “In Abhorrence Dementia” rilasciato sempre dalla Nocturnal Art l’anno dopo. Il disco gode di una registrazione migliore del suo predecessore e risulta essere un lavoro ispiratissimo e distruttivo. Le composizioni del duo sono sempre molto lunghe ed articolate e gli inserti di musica classica si fanno sempre più frequenti conferendo al sound una magniloquenza difficilmente riscontrabile altrove. I Limbonic Art restano però violentissimi ed estremi sempre grazie alla drum machine che viaggia a velocità folli ed alle chitarre abrasive e terribilmente gelide: sopra ogni cosa si ergono le urla di Daemon sempre più maligne e blasfeme. Ci troviamo, in definitiva, in un contesto molto distante dall’ammorbidimento di un gruppo come Dimmu Borgir che si muove in terreni sonori simili. Dopo “In Abhorrence Dementia”, che segna uno dei massimi vertici del Black Metal, i Limbonic Art cambiano pelle e nei lavori successivi estremizzano il loro approccio musicale inserendo spunti noise ed industrial pur mantenendo, tuttavia, un approccio sinfonico alla composizione. Su queste basi vengono concepiti “Ad Noctum Dynasty of Death” nel 1999 e “The Ultimate Death Worship” nel 2002 dopo il quale il gruppo si divide per poi tornare nel 2007 con “Legacy of Evil” che riprende, in parte, le trame della prima fase della loro carriera. Nel 2010 viene dato alle stampe l’ottimo e violentissimo “Phantasmagoria” ad opera del solo Daemon, dal momento che Morfeus lascia il gruppo per unirsi ai Mayhem.


Vichinghi e Folk
Bathory con “Blood Fire Death” del 1988 inventa il Viking Metal ed influenza con quel suono tutta una scena che alle trame del disco si rifà per comporre i suoi lavori. In Norvegia l’eredità di quel lavoro viene sublimata nell'opera di tre band seminali: Enslaved , Borknagar e Windir.
I primi si formano nel maggio 1991 ad opera di Ivar Bjørnson e Grutle Kjellson, all'età rispettivamente di 13 e 17 anni. Entrambi arrivano dall'esperienza nel gruppo death metal Phobia, abbandonato alla ricerca di nuove fonti di ispirazione ed espressione.
L'esordio discografico sulla lunga distanza, preceduto dal mini “Hordanes Land”, è del 1994 quando la Deathlike Silence Productions rilascia “Vikingligr Veldi” un album contenente cinque brani di cui quattro con durata superiore ai dieci minuti. Gli Enslaved si cimentano in un Black metal crudo, violento, con una produzione lo-fi, e lo arricchiscono con una vena epica e vichinga che denota un forte attaccamento alla loro terra. I brani sono cantanti in islandese, in norreno antico o norvegese antico e trattano di mitologia. Con il successivo lavoro, sempre dello stesso anno, “Frost”, il gruppo da vita ad un disco fondamentale per il genere. La fusione di Black metal ed epic metal si fa perfetta e quello che ne viene fuori è un suono primitivo e feroce con una atmosfera battagliera ed appunto vichinga di grande impatto. Sono gli stessi Enslaved a scrivere nel booklet del disco “viking metal” rivelando al mondo le loro intenzioni ed il loro fortissimo legame con la Norvegia. “Frost” diventa con il tempo un disco simbolo ed una pietra di paragone alla quale riferirsi. Il terzo lavoro degli Enslved, rilasciato come il precedente dalla Osmose Production, esce nel 1997 ed ha il titolo di “Eld”. Il disco conferma il talento del gruppo e propone ancora una volta la loro miscela di violenza ed epicità declinata lungo brani tanto affascinanti quanto spietati. Da questo momento in poi il suono degli Enslaved inizia a cambiare in modo progressivo dal momento che Ivar Bjørnson e Grutle Kjellson inseriscono nel loro suono elementi nuovi. La musica degli Enslaved si distacca dal suono Black Metal degli esordi e, pur mantenendo un'impronta vichinga, si fonde con soluzioni psichedeliche alla Pink Floyd dando origine ad una sorta di metal progressivo di sicura originalità e valore.

l nome "Borknagar" deriva da un antico mito scozzese, ma secondo fonti ufficiali sarebbe l'anagramma di Ragnarök (l'apocalisse della mitologia nordica) con l'aggiunta della lettera "B". Il gruppo nasce a Bergen nel 1995 per volontà del chitarrista Øystein Garnes Brun che per l'esordio discografico si avvale della collaborazione di importanti esponenti della scena estrema: Garm degli Ulver alla voce, Infernus dei Gorgoroth al basso, Ivar Bjørnson degli Enslaved alle tastiere e Erik Brødreskift proveniente dagli Immortal alla batteria. Con questa formazione all stars viene pubblicato per Malicious Records nell'agosto del 1996 l'omonimo esordio che entra di diritto nell'olimpo del Viking/Black Metal. “Borknagar” è un lavoro estremo, caratterizzato da una furia esecutiva notevole ma impreziosito da trame chitarristiche epiche ed evocative sulle quali si poggia il fenomenale scream di Garm. L'atmosfera fortemente vichinga del disco viene esaltata dai cori nordici che completano un lavoro semplicemente eccezionale. La carriera puramente Black dei Borknagar inizia e termina con questo lavoro perchè già con il successivo “The Olden Domain”, rilasciato nel 1997 dalla Century Media, il gruppo introduce nel suo suono chitarre acustiche, pianoforti, tastiere e voci pulite che vanno a stemperare la furia degli esordi. Ulteriore cambiamento è l'uso di testi in inglese che sostituiscono quelli in lingua madre dell'esordio. “The Olden Domain” è anche l'ultimo disco con Erik Brødreskift (Grim) alla batteria prima che il musicista si suicidasse ed è un lavoro di grande spessore che consacra il nome di Brun e compagni. Da quel momento in poi i Borknagar si avvicineranno sempre di più ad una versione progressive della musica estrema all'interno della quale manterranno, seppur in piccola parte, le caratteristiche Folk dei primi due, fondamentali, lavori.

Il progetto Windir nasce come one-man-band nel 1994 fondato da Terje Bakken in arte Valfar. Grazie ai primi due demo, Sognariket (1994) e Det Gamle Riket (1995), la band si affermò nell'underground tanto da ottenere subito un contratto. Il full-length che segnò il loro debutto, Soknardalr, fu registrato in soli 4 giorni nel gennaio 1997 e messo in commercio nell'aprile dello stesso anno grazie alla Head Not Found. Il disco mostra un ottimo approccio viking/folk al Black metal e rivela il forte attaccamento di Valfar alla sua città natale Sogndal. Nell'ottobre del 1999 la Head Not Found rilascia il secondo disco di Windir, "Arntor". Siamo di fronte al capolavoro della band e ad uno dei lavori più importanti del viking. Il suono di "Arntor", cristallino e pulito, conferisce al disco un fascino speciale, esaltato dallo scream disperato di Valfar e dalle magnifiche melodie, ora epiche ora malinconiche, che concorrono a definire una atmosfera magniloquente e irripetibile. "Arntor" resta senza dubbio una pietra miliare del genere e il vertice assoluto dell'opera di Valfar che con i successivi lavori, "1184" e "Likferd" avrebbe ulteriormente confermato il suo talento prima di morire il 17 gennaio 2004 per ipotermia a Reppastølen, in una vallata vicino alla sua Sogndal.

Quando si parla di influenze Folk nella musica Black metal è impossibile non citare il nome degli Ulver, un gruppo tanto geniale quanto distante dalla scena norvegese degli anni '90.
I "lupi" del black metal nacquero nel 1993 con Carl Michael Eide alle percussioni e Kristoffer Rygg (Garm) alla voce e ai sintetizzatori e nello stesso anno gli Ulver realizzarono due demo: “Rehearsal 1993” e “Vargnatt”. Nel 1994 l'etichetta underground Necromantic Gallery pubblicò lo split “Ulverytternes Kamp”, con canzoni degli Ulver e dei Mysticum.
L'esordio discografico sulla lunga distanza avviene nel 1995 per la Head not Found che pubblica “Bergtatt - Et Eeventyr i 5 Capitler” un disco che entra subito nella leggenda per la sua bellezza.
Si tratta di una sorta di concept album, in 5 tracce, che narra la storia di una ragazza "persa nella foresta dei troll", dove si ascoltano gli Ulver alle prese con sfuriate black, con una batteria tiratissima e una grande prova di screaming, alternate a parti più folk e melodiche in cui sono protagoniste le chitarre acustiche dove Garm utilizza uno straordinario canto "corale". Il disco è la prima parte di una trilogia che viene proseguita dal successivo “ Kveldssanger”, uscito nel 1996 sempre per Head not Found, in cui Garm e soci abbandonano il Black canonico per dare spazio al Folk tradizionale norvegese regalandoci una perla fatta di melodie struggenti e raffinate. Il cerchio viene chiuso nel 1997 quando, dopo aver firmato un contratto discografico con la Century media, gli Ulver pubblicano “Nattens Madrigal” un concept sulla licantropia. Il disco spiazza completamente tutti coloro i quali si aspettavano un lavoro sulla scia dei primi due dal momento che quello contenuto negli otto “inni” è un violentissimo Black metal di scuola Darkthrone in cui gli Ulver non concedono un attimo di pausa all'ascoltatore assalendolo con blast beat furiosi e scream infernale. “Nattens Madrigal” viene registrato in modo pessimo e possiede quel fascino nero ed evocativo tipico del Black metal più puro. Si tratta, in definitiva di un capolavoro e rappresenta anche l'addio dei Lupi non solo al mondo del Black metal ma a quello del metal in genere essendo le loro opere successive ascrivibili alla elettronica.

L'approccio “elegante” al Black metal è patrimonio di un altro gruppo storico della scena estrema norvegese: In the Woods.
I nostri si formano a Kristiansand nel 1992 e iniziano come Death metal band con il nome di Green Carnation prima che il loro principale compositore e chitarrista Tchort lasci la band per unirsi agli Emperor. I membri restanti formano quindi gli In the Woods che nel 1993 realizzano il demo “The Isle of Men” alcuni pezzi del quale finiscono sul loro esordio discografico dello stesso anno. “Heart of the Ages” viene rilasciato dalla Misanthropy ed offre alla scena estrema un esempio di Black metal particolarissimo in cui si amalgamano atmosfere sognanti e parti viking, scream estremo vicino a quello di Varg Vikernes e vocals pulite in un insieme di melodie letteralmente magistrali che fanno del disco un capolavoro. “Heart of the Ages” si dimostra un lavoro epico e malinconico in grado di affascinare col suo suono “lontano” ed oscuro. L'avventura degli In the Woods sarebbe proseguita sino al 2000 con altri dischi splendidi non appartenenti però al Black metal.

A completamento della versione Folk del Black metal norvegese occorre citare il nome di Isengard, progetto parallelo di Fenriz dei Darkthrone e nome di punta del settore.
Il progetto nasce nel 1989 quando Gylve Nagell decide di dare sfogo a visioni musicali che non potevano essere espresse nel suo gruppo principale. Nello stesso anno Isengard rilascia il primo demo “Spectres over Gorgoroth” e nel 1991 il secondo “Horizons”. Le composizioni dei due demo vengono successivamente raccolte nella compilation “Vinterskugge” del 1994 che di fatto rappresenta la prima uscita ufficiale del gruppo, mentre l’anno dopo la Moonfog Production da alle stampe “Høstmørke” che rimane l’ultimo lavoro del progetto. La musica di Isengard risulta essere un perfetto bilanciamento di atmosfere Black metal e suggestioni Folk all’interno delle quali Fenriz si fa cantore, con la sua voce calda e profondissima, dell’amore per la sua terra. L’esperienza Isengard, partita come suono Death/Black, si evolve quindi verso la maestosità e la grandiosità delle ambientazioni nordiche che tanto avrebbero influenzato il genere Viking. Fenriz si dimostra un artista poliedrico capace di esprimersi su diversi fronti e certamente Isengard, insieme con l’altro suo progetto folk Storm, rappresenta il lato epico e melodico del black metal dei primi anni ’90 ed uno dei migliori progetti musicali mai partoriti dalla Norvegia.


Sperimentazioni
Una caratteristica del Black metal è quella di essersi dimostrato un genere aperto a diverse interpretazioni. Se da una parte la Norvegia ha dato i natali alla interpretazione ortodossa del genere, è anche vero che nella terra dei fiordi ha preso piede anche una visione avant-garde e sperimentale dello stesso. Una manciata di artisti ha quindi scelto di dare una forma molto particolare della materia nera, giungendo a forme espressive molto distanti dall’oltranzismo delle origine, senza rinunciare, tuttavia, a quella oscurità tipica del genere.

I Ved Buens Ende si formano ad Oslo nel 1993 su iniziativa del batterista Carl-Michael Eide e del chitarrista Yusef "Vicotnik" Parvaz che in seguito vengono affiancati dal bassista Hugh Steven James "Skoll" Mingray.
Il terzetto riesce ad ottenere un deal con la Misanthropy Records che nel 1995 da alle stampe quello che sarebbe rimasto il loro unico lavoro sulla lunga distanza: “Written in Waters”.
Il disco si fa portavoce di una voglia sperimentale molto evidente: se da una parte si può ascoltare un riffing di chiara matrice black e vocals acide appartenenti allo stesso genere, dall’altra il gruppo “imbastardisce” il suono con escursioni in territori jazz e con partiture molto vicine al progressive rock anni 70 impreziosendo il suono con vocalizzi caldi e puliti che rimandano a trame care ai King Crimson. “Written in Waters” risulta essere un disco plumbeo ed onirico, molto raffinato e di sicuro interesse, sebbene all’epoca abbia ricevuto una fredda accoglienza da parte del pubblico vista la sua “diversità”.

Il nome di Vicotnik è legato a quello di un’altra grande band diventata con il tempo icona di sperimentazione, quella dei Dødheimsgard.
Il gruppo nasce ad Oslo nel 1994 dall’unione di Fenriz dei Darkthrone ed Aldrahn oltre al già citato Vicotnik e propone nei primi lavori, “Kronet Til Konge” del 1995 e “Monumental Possession” del 1996, un Black piuttosto canonico, ma di qualità, caratterizzato dall’uso delle tastiere e da atmosfere molto raw. La svolta per il gruppo avviene nel 1998 quando la Moonfog production rilascia il mini CD “Satanic Art” in cui il gruppo unisce il Black metal degli esordi con inserti industriali ed elettronici, dando spazio nel fantastico pezzo “Traces of Reality” anche a violini che si integrano alla perfezione con la violentissima base ritmica del brano simbolo del gruppo. Il percorso di sperimentazione dei Dødheimsgard viene sublimato con l’album successivo, rilasciato sempre da Moonfog nel 1999, “666 International”. La musica del gruppo diventa estrema in modo non convenzionale: partiture industrial si fondono con pianoforti classici, atmosfere trip-hop si amalgamano perfettamente con violenti assalti Black metal, mentre l’interpretazione vocale di Aldrahn passa da toni schizati e caldi a scream devastanti. Il disco diventa portabandiera dell’avant-garde black metal più estremo e resta senza dubbio il miglior lavoro dei Dødheimsgard, sebbene il successivo “Supervillain Outcast” del 2007 sia un ulteriore ottimo esempio della vena sperimentale del gruppo.

Se Ved Buens Ende e Dødheimsgard sono senza dubbio i migliori interpreti della sperimentazione in campo Black metal, va ricordato che l’approccio non ortodosso al suono estremo norvegese si deve ad un’altra band che risponde al nome di Mysticum.
Essi nascono col nome di Sabazios nel 1992 dall’unione dei chitarristi Cerastes e Ravn con il bassista Mean Malmberg. Con il primo monicker rilasciano del 1993 il demo “Wintermass” in cui, per la prima volta, il Black metal viene fuso con l’approccio industriale dei computers. Dopo la pubblicazione di un nuovo demo “Medusa's Tears” e lo split del 1994 Ulver/Mysticum, il gruppo riesce finalmente ad esordire nel 1996 grazie alla Full Moon Production rilasciando il seminale “In the Streams of Inferno” che di fatto segna la nascita dell’Industrial black metal. Il suono risulta freddo e meccanico grazie all’uso della drum machine e tutta l’atmosfera del disco tende verso ambientazioni industriali mai sperimentate prima di allora. La voce acutissima di Cerastes completa il panorama di un album imperdibile e fondamentale nella nascita di un nuovo genere.

Capitolo a cura di Beppe 'dopecity' Caldarone

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