(20 novembre 2018) Slayer: l'ultimo show in Italia?

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Provincia:MI
Costo:40 Euro
Non so se abbiate mai letto il manga “Le Bizzarre Avventure di JoJo” (consiglio: fatelo), ma io, a distanza di 25 anni dall’uscita della prima serie, ancora ricordo l’aforisma scelto da Hirohiko Araki per accompagnare la dipartita di uno dei protagonisti:
Amando, avere colui che si ama è la cosa più bella… Amando, perdere colui che si ama è la cosa più bella dopo questa”.
Tale perla di poetica saggezza, ad opera di un tale W. M. Saccharea (?), è sempre suonata alle mie orecchie come una incommensurabile vaccata: in realtà, perdere colui che si ama fa schifo.

Ed in effetti, facendo un po’ di ricerca su internet -ai tempi non c’era-, è emerso che, a causa di orrendi misfatti perpetrati dal traduttore nell’espletamento del suo incarico, la frase incriminata era in realtà ascrivibile a William Makepeace Thackeray, fumantino scrittore inglese dell’800, e che in versione originale suonava così:
To love and win is the best thing.
To love and lose, the next best

ossia:
Amare e vincere è la cosa migliore. Amare e perdere, quella immediatamente successiva”.
Un po’ più sensata, non trovate?

Dissertazioni letterarie a parte: perdere colui che si ama fa schifo, si diceva poc’anzi, ed il concerto di stasera, se mai ve ne fosse stato bisogno, lo certifica in modo inconfutabile.
Ci si può sempre barricare nella rassicurante convinzione che l’abbandono delle scene annunciato dagli Slayer verrà relegato, nel giro di qualche anno, nello scabroso cassetto che reca la scritta “addii farlocchi di rock band insincere”.
Nondimeno, a prescindere dall’onestà intellettuale che si vuole attribuire alla compagine californiana, dobbiamo ad oggi basarci sul dato ufficiale: quello del 20 novembre passerà agli annali come l’ultimo concerto degli Slayer in Italia, con tutto lo struggimento che ne può conseguire.

Per provare ad indorare la pillola intervengono tanti gruppi spalla validi ed interessati… peccato che io, in conseguenza di inciampi organizzativi vari ed eventuali -non ultimo il servizio di bike sharing presente a Milano: ma quanto si fatica a pedalare sul pavé con quegli aggeggi?-, perda in tronco l’esibizione degli Obituary (che ricordavo in buona forma in occasione del concerto del 2016 di Bologna) e degli Anthrax (che ho visto dal vivo un milione di volte, ma metter piede al Mediolanum Forum sulle ultime note della conclusiva “Indians” è stato comunque piuttosto doloroso).
Fortuna vuole che, di lì a poco, sia il turno dei…

LAMB OF GOD
Una fortuna davvero.
Ammetto che, pur apprezzando la compagine a stelle e strisce, non mi sono mai premurato di seguirne ogni passo discografico e, più in generale, di serbar loro un posticino d’onore nel mio cuore metallico.
In base a quanto osservato e sentito stasera, direi proprio che ho commesso un errore.

Potentissimi e letteralmente grondanti di groove, i Nostri si presentano sul palco con l’implacabile mid-tempo di “Omerta” (niente accento, chissà come mai), e si capisce subito quanto ci sappiano fare.
Se la memoria non m’inganna, assistetti ad un loro show del 2006, sempre a Milano e sempre prima degli Slayer, ma in tutta onestà non ne conservo un ricordo così entusiasmante. Questa volta, invece, rimango davvero impressionato dalla compattezza dei suoni, dalla bellezza dei riffs, dalla precisione dei musicisti e dalla travolgente presenza scenica di Randy Blythe (meno male che c’è lui, perché in quanto a carisma gli altri latitano un po’).

Il resto del pubblico –peraltro già numerosissimo- sembra d’accordo con me: pogo sfrenato, ritornelli cantati a squarciagola ed applausi sono degni di un headliner. Oltre a ciò, non si nota scollamento alcuno tra vecchietti oltranzisti e fans dalla carta d’identità più clemente, segno che i Lamb of God ed il loro thrash/groove/core hanno ormai acquisito una rispettabilità pressoché universale.
Rispettabilità che, a fronte dell’esecuzione di brani schiacciasassi come “Walk with Me in Hell”, “Laid to Rest” o “Redneck” non potrà che risultare ulteriormente rinsaldata.
Chapeau.

SLAYER
Sono le 21.25 quando la playlist a base di AC/DC sparata dalle casse viene bruscamente interrotta dall’ormai consueta introDelusions of Saviour”. Al tempo stesso, di fronte al palco compaiono croci rovesciate, pentacoli, mentre iniziano a vedersi i primi pyros (che si riveleranno una piacevole costante dello show)… ed i nostri beniamini salgono infine sul palco per l’esecuzione di “Repentless”.

Non vi aspetterete mica una disamina analitica dello spettacolo, vero?
Volendo, di spunti se ne potrebbero anche trovare:
- la scaletta ricalca grossomodo quella degli ultimi tour e può essere inquadrata alla stregua di una sorta di “best of” (fatta salva quella “Jihad” che non riesco ad apprezzare nemmeno in un contesto live);
- Tom Araya sembra dimagrito e ringiovanito di dieci anni;
- la chitarra di Gary Holt, a livello di mixing, risulta sempre troppo subalterna a quella di Kerry King (benché in modo meno evidente rispetto ad altre esibizioni cui ho assistito in passato);
- la resa audio è roboante il giusto ma meno nitida di quanto sarebbe lecito attendersi, tanto che, almeno dalle mie parti, durante le fasi più concitate si fatica non poco a distinguere i diversi strumenti (durante “Hell Awaits” il momento di maggior impastoiamento sonoro);
- impianto luci, backdrop e fiamme donano all’esibizione una dimensione più teatrale e meno asciutta del solito.

Tutto ciò concesso… chi se ne impipa?
Ogni secondo di concerto conduce, in modo crudele ed inesorabile, al momento dell’addio, e pur godendo per l’ottima riuscita di pezzi immortali come “Black Magic”, “Dead Skin Mask” o “Chemical Warfare” non si può che vivere l’esperienza con l’amarezza propria di chi sa che la fine è prossima.
Allorquando scende il fondale dedicato al compianto Jeff Hanneman ed il Mediolanum Forum viene pervaso dalle immortali note di “Angel of Death” realizzo definitivamente: la band che ho visto più volte dal vivo dopo Iron ed Elii sta per congedarsi.

Al termine di una grande esibizione, dopo i saluti di rito, i lanci di plettri e bacchette (ne ho mancata una per un pelo, mannaggia…) e l’ovazione dei presenti, si comincia, pian piano e con cuore pesante, a defluire verso l’uscita.
A quel punto Tom Araya torna sul palco, da solo, e bisbiglia al microfono in perfetto italiano:
Mi mancherete”.
Trattenere la lacrimuccia diventa davvero difficile…

Perdere colui che si ama fa schifo, ma almeno è stato un addio memorabile.

[Nota: in caso di reunion, ripensamenti o annunci di nuovi tour ricordarsi di modificare l’articolo sostituendo ogni sentimentalismo con commento cinico]

LAMB OF GOD setlist:
1- Omerta
2- Ruin
3- Walk with Me in Hell
4- Now You’ve Got Something to Die for
5- 512
6- Engage the Fear Machine
7- Blacken the Cursed Sun
8- Laid to Rest
9- Redneck

SLAYER setlist:
1- Delusions of Saviour (intro) / Repentless
2- Blood Red
3- Disciple
4- Mandatory Suicide
5- Hate Worldwide
6- War Ensemble
7- Jihad
8- When the Stillness Comes
9- Postmortem
10- Black Magic
11- Payback
12- Seasons in the Abyss
13- Dittohead
14- Dead Skin Mask
15- Hell Awaits
Encore:
16- South of Heaven
17- Raining Blood
18- Chemical Warfare
19- Angel of Death
Report a cura di Marco Cafo Caforio

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