(04 aprile 2018) G3: Joe Satriani, John Petrucci, Uli Jon Roth - 4 Aprile 2018, Milano

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Provincia:MI
Costo:non disponibile
Diciamocelo chiaramente: il G3 ha sempre rappresentato il non plus ultra per qualunque chitarrista ipertecnico che si rispetti. Come non sbavare copiosamente al pensiero di poter vedere tre mostri sacri del nostro amatissimo strumento suonare insieme sullo stesso palco e jammare come dei ragazzini infoiati? Ed è esattamente su questa base che nell’ormai lontano 1997 ho iniziato assiduamente a seguire questo splendido evento musicale messo insieme da quel genio assoluto che risponde al nome di Joe Satriani. Ho visto tutte le date del G3 Tour in Italia negli ultimi 19 anni, macinando chilometri e chilometri pur di poter sbavare sotto il palco mentre Vai, Satch, Morse, Petrucci, Malmsteen, Legg e altre divinità chitarristiche snocciolavano fiumi di note. Come potevo perdermeli proprio in questa data fatta praticamente dietro casa mia, in una bellissima location come quella del Teatro Degli Arcimboldi? Ma andiamo in ordine di apparizione…

Uli Jon Roth: io davvero non mi spiego perché Satch lo abbia nuovamente coinvolto nel progetto G3. Per carità, negli anni ’70 Roth ha registrato dischi stupendi con gli Scorpions e qua e là negli anni successivi ha sfornato qualcosa di interessante. Ma ormai è solo un vecchietto bolso (pur avendo solo due anni in più rispetto a Satch sembra suo bisnonno…) che suona sporchissimo e ha davvero poco (anzi pochissimo) da dire in questa sede. Già si presenta sul palco con una band numerosissima composta da altri due chitarristi, una scelta che trovo completamente senza senso. Fin dalle prime note appare decisamente fuori forma, le stecche non si contano, la chitarra usata nel primo pezzo era addirittura leggermente stonata, male male, anzi malissimo. Quando vuol fare l’ipertecnico non ci riesce, quando vuol fare l’Hendrix della situazione non ci riesce (il nostrano Tolo Marton lo massacrerebbe letteralmente), insomma davvero una disfatta sotto ogni punto di vista. In più, vi prego, toglietegli quelle maledette Sky Guitars a 30 e più tasti. Davvero Uli, te lo dico con affetto: non servono a niente e risultano solo maledettamente fastidiose. Bocciato senza appello, mi spiace.

John Petrucci: e qui amici si inizia a fare sul serio, basta scherzi. Sale sul palco accompagnato da Dave LaRue al basso (e scusate….) e Mike Mangini alla batteria. Tira le prime note e pettina letteralmente l’intero Teatro Degli Arcimboldi. Un suono MASTODONTICO e a dir poco esagerato, netto, chiaro, definitissimo anche se estremamente saturo e spinto. Petrucci sui suoni è sempre una garanzia di altissima qualità. Sfodera una “Jaws of Life” travolgente durante la quale impartisce lezioni di classe un po’ a tutti, ma è col pezzo seguente che riesce a lasciare a bocca aperta persino me che tra sue date coi Dream Theater e altre serate sparse l’ho visto una ventina di volte. Annuncia una nuova canzone, una tale “The Happy Song”. Signori, devastante. Divertente, trascinante, un riff portante che puoi canticchiare allegramente mentre rolli una sigaretta….ma tutto condito da fraseggi di una complessità INCREDIBILE, non ho mai visto un essere umano suonare cose così complesse dal vivo (tolto Vai, ma appunto dicevo di non aver mai visto un ESSERE UMANO e lui non rientra in categoria). Un brano bellissimo, divertentissimo e che darà sicuramente filo da torcere per mesi a qualunque appassionato di chitarra che si rispetti. Chiude il set con una “Glasgow Kiss” sempre stupenda e travolgente. Petrucci si riconferma come uno dei chitarristi migliori nella storia della chitarra rock tecnica. Un suono sopraffino, un tocco emozionante, tecnica sempre dosata e mai fine a sé stessa, insomma un concerto davvero bellissimo. Unica nota stonata: Petrù, hai un repertorio che fa invidia a chiunque….ma perché in questi contesti scegli sempre pezzi diciamo “mediocri” se paragonati ad altri tuoi capolavori assoluti? Non me lo spiegherò mai….

Joe Satriani: amici miei, chiudete tutto, basta. Joe, la mente che sta dietro la creazione del G3, si rivela sempre il migliore in assoluto in questo contesto musicale. Come dicevo in apertura ho visto tutti i G3 con tutti i chitarristi possibili, lui resta sempre il TOP indiscusso. Sarà perché i suoi brani sono prima di tutto canzoni e solo poi brani strumentali, sarà perché è dannatamente simpatico, sarà perché Joe pur avendo ormai quasi 62 anni (sigh…solo a scriverlo mi viene il magone) si diverte ancora come un ragazzino che sta salendo per la prima volta sul palco, sarà perché…..non è importante. Quello che conta è solo che Joe ci regala 45 minuti di musica eccezionale, preziosa, ogni nota è una perla da custodire gelosamente nel proprio cuore per gli anni a venire. Una classe immensa, un gusto e un tocco spaziali, tecnica a palate, cuore e cranio pelato che trasudano divertimento e passione. Questo ragazzo è stato talmente tanto importante nella formazione del concetto stesso di “chitarra” che probabilmente manco se ne rende conto lui stesso fino in fondo e qualunque chitarrista DEVE tributargli il giusto onore. La scaletta non è importante, quello che conta è che ha letteralmente pettinato chiunque come sempre. Dai grandi(ssimi) classici come “Summer Song” alle cose più recenti come “Super Funky Badass”, Joe sa sempre regalare emozioni gigantesche che richiedono qualche giorno per essere metabolizzate davvero fino in fondo. Non ha rivali, nel vero senso del termine. Quando suona lui tutti zitti e sull’attenti perché c’è solo da imparare. E questo non vale solo per noi miseri appassionati e pallidi emuli, parlo proprio di TUTTI zitti e sull’attenti, perché anche i Grandi hanno ancora tanto da imparare da questo ragazzo italoamericano che sfoggia chitarre cromate come se non ci fosse un domani in cui sperare. Grazie Joe, perché se ci siamo innamorati di questo bellissimo strumento è fondamentalmente per merito tuo. Grazie davvero per tutto quello che ci hai regalato.

G3: e si arriva alla conclusione della serata, quando gli altri due cavalieri si uniscono a Satch per fare la classica jam G3. Arrivano Roth (purtroppo) e Petrucci per lanciarsi in tre grandi classici del rock mondiale. Quest’anno è il turno di “Highway Star”, di “All Along The Watchtower” e “Immigrant Song”. Qui i tre axeman danno veramente fondo a tutto quello che hanno in repertorio che per Roth vuol dire tra il poco e il pochissimo (anche se in questo contesto devo ammettere che risalta maggiormente), mentre Petrucci e Satch sfogano tutta la loro tecnica e preparazione senza risparmiare assolutamente niente. Sempre divertente vedere tre musicisti di questa caratura (beh, diciamo due più uno così così…) “sfidarsi” a colpi di legati, sweep e pennata alternata senza esclusione di colpi. Insomma, il bilancio complessivo è come sempre estremamente positivo. Esco dal teatro più che soddisfatto, felice e con la testa piena di spunti e idee da studiare, non vedo l’ora di tornare a casa per prendere la chitarra e mettermi a suonare.

Perché in fondo il vero regalo che questi ragazzi ci fanno è proprio questo: infonderci la passione e la voglia di studiare e suonare questo meraviglioso strumento che è la Chitarra Elettrica.

Claudio Di Stefano
Report a cura di Ghost Writer

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