Tutto è partito da una domanda (che per la cronaca ha formulato Arianna, mannaggia a lei): si può condensare un movimento musicale e artistico che ci accompagna da quasi 50 anni in una manciata di canzoni? Difficile…
Ma ci si può provare.
Immaginiamo di concentrare le nostre orecchie per un mese (28 giorni, i festivi non sono considerati tali in quanto il vero progster si impegna 24 ore su 24), ascoltando una canzone al dì senza esagerare (il prog, si sa, non è proprio musica “ad alta digeribilità”) e alla fine avremo una panoramica incompleta, limitata, insoddisfacente, ma comunque utile per farci un’idea dell’evoluzione di uno dei generi più apprezzati di sempre, in particolare dal pubblico italiano.
Ci tengo a precisare che questa rubrica non si intitola “Tutto il Prog Minuto per Minuto”, si tratta di "proposte d'ascolto", per cui perdonate sin d’ora eventuali e inevitabili omissioni (già immagino le vostre facce indignate nel constatare la mancanza di questa o quella band): solo per i sottogeneri (e.g., Scuola di Canterbury, Krautrock, Zeuhl) servirebbero altri dieci articoli…
Ogni settimana verrà dedicata a un’ipotetica decade (la “banale” suddivisione Settanta, Ottanta, Novanta, Duemila) con alcuni aneddoti, pensieri personali, valutazioni totalmente soggettive e discutibili ma vagamente giustificate e chi più ne ha più ne metta.
Ho cercato di scrivere il meno possibile per lasciare spazio alla musica, spero che questo impegno venga apprezzato.
Confidando in tantissime vostre critiche, vi auguro buona lettura e soprattutto buon ascolto!
“I hate Pink Floyd”, ecco cosa c’è scritto sulla maglietta indossata sul palco da
John Lydon (cantante dei Sex Pistols) una sera di dicembre del 1975. Mancano pochi mesi alla rivoluzione punk prima e new wave dopo, anch’essa iniziata in Europa ed “emigrata” con indubbio successo negli USA.
La "mazzata" è forte, ed è la fase più delicata dell’intero movimento progressivo, invecchiato improvvisamente, quella in cui i grandi nomi o si “riciclano” in modo più o meno elegante (penso ai Genesis di
“Duke” o agli Yes di
“90125”) o si fanno completamente, ma momentaneamente, da parte (gli stessi Pink Floyd, in un certo senso, o gli ELP per citarne un paio).
Non mancano però i temerari, alcuni nostalgici e altri più innovativi, a cui è dedicato questo capitolo della saga. Il meglio, come sempre, deve ancora venire…
Marillion – Garden Party
(dall’album “Script For A Jester’s Tear”, EMI, 1983)
I
Marillion sono i primi a riscuotere successo commerciale facendo musica dichiaratamente ispirata alle sonorità dei primi Genesis (i critici lo chiameranno neo-progressive, Arena, Pendragon e IQ ne sono diventati i portabandiera): l’istrionico cantante
Fish, dalla timbrica paragonabile a quella di
Peter Gabriel, è il simbolo indiscusso di questo pop progressivo e al contempo leggero (più Anni Ottanta di così cosa volete?).
Pink Floyd – Sorrow
(dall’album “A Momentary Lapse Of Reason”, EMI, 1987)
I
Pink Floyd che hanno fatto la storia sono quelli della decade precedente, inutile raccontarsi frottole, ma è grazie ai
Pink Floyd degli anni Ottanta che il grande pubblico riscopre il gusto per certe sonorità eteree e dilatate, lontane dalle mere logiche di mercato:
“A Momentary Lapse Of Reason” sarà il pilastro su cui si fonderà buona parte del prog-revival esploso da lì a poco.
Alan Parsons Project – Mammagamma
(dall’album “Eye In The Sky”, Arista Records, 1982)
Alan Parsons è un autore modesto ma un luminare della produzione (il magico equilibrio sonoriale di
“Dark Side Of The Moon” è opera sua):
“Eye In The Sky”, oltre a essere un enorme successo commerciale, contiene la prima traccia della storia del rock eseguita interamente da un computer, interessante anticipazione di un’odierna prassi consolidata.
Rush – Tom Sawyer
(dall’album “Moving Pictures”, Mercury, 1981)
I
Rush non hanno certo bisogno di presentazioni, sono il power-trio per eccellenza, acclamati da pubblico e critica grazie a una carriera invidiabile e per buona parte di altissimo livello:
“Moving Pictures” riprende la lezione dei grandi del passato e getta le basi di quello che a breve verrà chiamato progressive metal, fatto di spettacolarità esecutiva, tematiche criptiche di ispirazione letteraria (ma non solo) e grafiche meno immaginifiche e più moderne.
Queensryche – Suite Sister Mary
(dall’album “Operation: Mindcrime”, EMI, 1988)
“Operation: Mindcrime” è il ponte ideale tra il
“The Wall” pinkfloydiano (non a caso c'è lo zampino di
Michael Kamen) e il più recente
“Scenes Fron A Memory” degli amati/odiati Dream Theater, un concept fantapolitico dalle forti tinte progressive che ha il suo apice nella suite intermedia qui proposta: uno dei più fulgidi esempi di progressive metal maturo.
Crimson Glory – In Dark Places
(dall’album “Transcendence”, Roadrunner, 1988)
I
Crimson Glory, ingiustamente, non hanno mai riscosso il successo che avrebbero meritato, in parte per la “scarna” discografia (appena 4 dischi spalmati in 14 anni) e in parte per l’oggettiva originalità della proposta, progressiva ma smaccatamente americana come non si era mai sentito prima:
“Transcendence” merita l’attenzione di tutti coloro che si ritengono ascoltatori di certa musica.
Savatage – Gutter Ballet
(dall’album “Gutter Ballet”, Atlantic, 1989)
Il buon
Paul O’Neill (produttore dei
Savatage e ideatore della Trans-Siberian Orchestra) in un’intervista ha detto, a ragione, una cosa del tipo “se non ci fosse stata la TSO probabilmente molti ex-componenti dei
Savatage avrebbero fatto la fame”, a dimostrazione di come la reputazione di una band a volte si contri con il suo effettivo successo commerciale: (quasi) tutti conoscono questa band, la loro splendida discografia, il loro sound a cavallo tra heavy metal americano e progressive rock europeo ma non tutti hanno comprato i loro dischi, per cui facciamo un po’ di giustizia e tributiamoli noi in questa rubrica.
E anche gli Anni Ottanta sono finiti (finalmente): pronti per la nuova età dell'oro? Appuntamento alla prossima settimana!