Purtroppo "Screenslaves" marca un nuovo passo falso per i Paragon, come già successo con il precedente "Forgotten Prophecies", sempre più legati al Metal Teutonico, con il frontman Andreas Babuschkin ancora sulle corde di Chris Boltendahl ed Udo Dirkschneider e le chitarre affilate e trasheggianti di Martin Christian e Gunny Kruse.
Ma qui finiscono gli aspetti positivi. L'eccessivo citazionismo, tra gli ormai assodati Accept e Grave Digger ("Entombed", "Screenslaves" e "The Killing Hand"), ma pure il Dickinson solista (il refrain di "Hellgore" è pari pari quello di "Accident at Birth") o i Manowar (che affiorano nella cadenzata "Bloodfeast"), non è bilanciato da spunti particolarmente avvincenti, e nemmeno da una produzione incisiva, lasciando tristemente scivolare "Screenslaves" nella schiera dei non eletti. Inoltre, se i due chitarristi scorrazzano taglienti e con la necessaria energia tra le varie canzoni, Andreas Babuschkin non risulta particolarmente in forma, in difficoltà ad esempio su "The Blade in the Dark", sulla spedita "Death Next Door" e sopratutto sui passaggi più alti di "Waxworks".
Neppure gli ultimi due brani, la cover di "Larger Than Life" dei Backstreet Boys ed una versione di "The Legacy" (dall'album "The Dark Legacy", del 2003) sorprendentemente cantata in italiano (e nemmeno tanto male), riescono a cambiare la situazione.
Ed è un vero peccato perchè dagli autori di "The Dark Legacy" e di "Revenge", era lecito aspettarsi molto di più.