Copertina 9,5

Info

Past
Anno di uscita:1979
Durata:42 min.
Etichetta:Swan Song

Tracklist

  1. IN THE EVENING
  2. SOUTH BOUND SAUREZ
  3. FOOL IN THE RAIN
  4. HOT DOG
  5. CAROUSELAMBRA
  6. ALL MY LOVE
  7. I'M GONNA CRAWL

Line up

  • Robert Plant: vocals, harmonica
  • Jimmy Page: guitar
  • John Paul Jones: bass, organ
  • John Bonham: drums

Voto medio utenti

Sono abbastanza noto fra i miei amici per la testardaggine e per la bonaria convinzione di avere sempre ragione (bonaria in quanto ostentata con finta aggressività e con la consapevolezza di difendere spesso tesi indifendibili, con il tutto che finisce in risata). In particolare, le discussioni sulla musica con il mio Amico di sempre possono durare ore e ore nei nostri dopo-cena (sì gente, sappiamo davvero come divertirci). Da giorni mi frulla nella testa di parlare in questo contesto di un disco considerato minore quasi all'unanimità da fans e critica: “In Through The Outdoor” (1979), ottavo studio album dei Led Zeppelin. Il tutto allo scopo di convincervi che si tratta di un disco bellissimo (tutto sommato con un solo episodio scarso fra le tracce) e che è ingiustamente catalogato come uscita trascurabile di un gruppo che di trascurabile non ha assolutamente niente.
E’ fondamentalmente un disco di John Paul Jones e non del duo Page & Plant? Sì, può anche essere…e allora? Da quando ascolto musica, tanti anni passati letteralmente a divorarla, ho sempre avuto difficoltà a confrontarmi con questi odiosi luoghi comuni: i Beatles sono solo Lennon & McCartney. I Rolling Stones sono solo Jagger & Richards. I Genesis sono niente senza Gabriel (giusto per uscire dall’ambito rock) etc etc. Si potrebbe proseguire in questo elenco di “presunti unici artefici” delle fortune di un gruppo per molte righe ancora, ma la sostanza si può riassumere in quello che per me è sempre stato un credo incrollabile: il nome della band è sempre superiore alla somma dei singoli elementi. Page e Plant per i Led Zeppelin (al pari degli altri mostri sacri citati, per i rispettivi gruppi di appartenenza) sono senza dubbio i maggiori catalizzatori di energia del quartetto. Rappresentano The Queen of Light e The Prince of Peace, incarnano il front man dal petto villoso che fa impazzire le groupies e il magico chitarrista, grande orchestratore di intere armate di sei corde. Ma in una band che si rispetti ogni elemento fornisce il proprio apporto, senza del quale non ci sarebbero i Led Zeppelin, piuttosto che i Beatles, così come li conosciamo e li apprezziamo. L’alchimia fra gli elementi è la vera chiave. La collaborazione. Il talento di uno che interviene e si accende quando nell’altro è spenta l’idea giusta.
E poi, cosa sarebbero stati i Led Zeppelin senza i colpi di Mjölnir di John “Bonzo” Bonham? Che cosa sarebbero stati senza l’arte, il gusto e la compostezza dell’ottimo polistrumentista John “Paul Jones” Baldwin a controbilanciare gli eccessi del resto del gruppo?
Negli anni in cui “In Through The Outdoor” è stato scritto e registrato, per la band non c’è altro da fare che affidarsi alle mani e al cervello del bassista/tastierista, perché le vicende musicali ed umane del quartetto inglese sono notoriamente agitate e funestate da lutti, malattie e gravi dipendenze. Page è inebetito dalla droga: nel folle desiderio di emulare Aleister Crowley abusa di eroina in modo insostenibile per il suo corpo gracile; fisico e testa non reggono l’impatto devastante. Plant è colpito duramente dalla malasorte: la morte del figlio Karac è una tragedia che non so nemmeno commentare adeguatamente. Bonzo è tormentato dall’alcolismo: se da sobrio è l’amabile padre di famiglia che soffre per il distacco dai suoi familiari durante gli estenuanti tour, da sbronzo è “la Bestia” distruttrice e stupratrice, un bambinone con una forza incontrollata ed ingestibile. E sappiamo bene dove il demone dell’alcool lo porterà nel giro di pochi mesi. Su tutti grava la tensione dell’esilio obbligato dall’Inghilterra, per ragioni fiscali, che trasforma il gruppo in un branco di lupi in gabbia, irascibili, ma anche immalinconiti. Tutti tranne John Paul Jones, l’unico che nei momenti di tensione resta calmo. L’unico che non partecipa a bravate e festini. L’unico che non subisce perdite e che non è vittima di alcun incidente. L’unico, si vocifera con insistenza, che non abbia firmato il patto col diavolo e che per questo è libero da dazi da pagare per fama e successo ottenuti.
“In Through The Outdoor” non è un disco di hard rock, ma “semplicemente” un disco di grande musica. Se cercate i bombardamenti di “Led Zeppelin II” potete tranquillamente evitare questa esperienza di ascolto, ma a mio modesto parere perdereste qualcosa di significativo. E’ il disco che mi ha fatto percepire definitivamente la trasversalità e l’universalità dei Led Zeppelin, ai quali sta strettissimo lo status di “gruppo rock”, sia pure nella collocazione Olimpica che gli attribuisco da fan indefesso. Persino Eddie Van Halen, in un’intervista dell’epoca, lo ha bollato come il disco che “aveva seppellito Jimmy Page sotto un mare di tastiere”: forse il chitarrista olandese, deluso dall’abdicazione della centralità all’interno della band del suo eroe, non riesce in quel momento a cogliere l’essenza di un disco che chiude un’era (la fine dei ’70) e con gli stereotipi ad essa legati, per seminare soluzioni che si sarebbero sentite in molte produzioni degli anni a venire. “In Through The Outdoor” è una festa di suoni, di colori e di ritmi, un festa dalla quale ci si deve solo lasciar coinvolgere, abbandonando ogni preconcetto nel corso dei suoi quarantadue minuti di durata.
Per la cronaca, il disco esce come sempre per Swan Song, la casa discografica di proprietà dei Led Zeppelin, con ben sei copertine differenti: ognuna rappresenta il punto di vista di ciascun avventore presente in un bar, scena dello scatto del grafico Storm Thorgerson. Il mio vinile, poi, è confezionato in una busta anonima tipo pacco postale, con tanto di timbro, che in realtà riporta nome del gruppo e titolo del disco.
Come letto in tante interviste e come raccontato ne “Il Martello degli Dei” (S. Davies – Arcana Editore), mio costante riferimento per tutto l’universo zeppeliniano, il sound del disco è fortemente condizionato dal desiderio di J.P. Jones di testare tutte le possibilità del suo synth Yamaha (“il mio nuovo giocattolo” cit.). Il resto del gruppo incide le proprie parti sulle idee e sulle basi elaborate da Jonesy, intervenendo in una seconda fase. Eppure i riflettori puntano subito, tutto sommato giustamente, su Jimmy Page (produttore del disco), che apre “In the Evening” con i sinistri effetti sonori da tempo elaborati e sperimentati per la colonna sonora di “Lucifer Rising” di Kenneth Anger. Un’intro oscura e malsana, alla quale segue la solare esplosione di chitarra (bello il gioco di leva su un’inusuale Stratocaster), sostenuta dall’orchestrazione della tastiera: un suono corposo, che si arricchisce delle randellate di Bonham sulle pelli e della voce compressa e feroce di Plant. Pur essendo un brano molto incentrato sulla tastiera, gli interventi di chitarra sono da applausi, dirompenti nella parte iniziale dell’assolo e poi morbidi sull’arpeggio limpido e ricco di chorus. Sarà anche fuori di testa e tossico, ma Page resta sempre uno dei numeri uno nella capacità di scegliere e creare suoni per le sue chitarre, non c’è storia.
Le successive “South Bound Saurez” e “Fool in the Rain” sono canzoni ritmatissime con piano e tastiere in evidenza, che richiamano lo stile vario e scanzonato di alcuni brani di “Houses of the Holy”. La prima ha l’inconfondibile marchio Led Zeppelin, con maggior equilibrio nell’uso degli strumenti e una chitarra più presente, mentre nella seconda impazza Jones, che si avventura fino ad un intermezzo di samba scatenato, lasciando a Page giusto lo spazio per un assolo quasi fusion (passatemela senza troppa severità).
“Hot Dog” (autori gli “infallibili” Page e Plant) è l’unica, dico l’unica, canzone dei Led Zeppelin che non mi piace. Il tentativo di omaggiare Elvis naufraga su un giro di chitarra country-rock, mal eseguito, mal concepito e tutto sommato abbastanza banale. Con uno dei peggiori assoli di Page. Insensato persino se interpretato in chiave ironica. Stop.
Veniamo al capolavoro del disco, “Carouselambra”, dieci minuti e trentaquattro secondi di fuochi d’artificio. Se i Led Zeppelin fossero sopravvissuti alle loro tragedie e avessero continuato in questa direzione ne sarei stato estasiato: i synth saltano e ballano nelle casse dello stereo, Bonzo pesta più che mai e Page dipinge con la sua chitarra archi e curve soniche in un miracolo di struttura musicale che, dal minuto quattro in poi, si impreziosisce di cambi di tempo e arpeggi che influenzeranno la musica di altri grandi. I Genesis di “Duke” devono sicuramente qualcosa alla magia di questo brano articolato ed ispiratissimo (insisto, in anticipo sui tempi, altro che disco del declino).
Altro mare (stavolta malinconico) di tastiere ci attende in “All My Love”: Plant canta in un testo struggente il dolore della perdita del figlio. Lo farà una volta sola, perché gli sarà impossibile emotivamente ripetere quelle parole in un’altra sessione di registrazione. Una “take” unica in tutti i sensi. John Paul Jones omaggia l’amico con una lieve stonatura su una nota del solo di tastiera, a simbolo del dolore condiviso, mentre Page esegue un solo con chitarra classica, contenuto e rispettoso.
Classe a profusione nella conclusiva “I'm Gonna Crawl”, un blues raffinatissimo e tirato, come da tradizione zeppeliniana, che sfuma con eleganza su un Plant strepitante e disperato.
Un disco che forse avrebbe aperto una fase nuova, in cui i quattro musicisti avrebbero proiettato nuove generazioni verso nuove sonorità. Oppure che avrebbe accompagnato i vecchi fans in un percorso tutto nuovo fatto di magie e sperimentazione di grande musica, non possiamo dirlo, ma solo immaginarlo con gran rimpianto.
Un anno, un mese e dieci giorni dopo la pubblicazione di “In Through The Outdoor”, nel giorno del mio nono compleanno, John Bonham moriva dopo aver consumato quaranta drink alla vodka nell’arco di una giornata. Con lui morivano formalmente i Led Zeppelin. Una morte che li avrebbe consegnati definitivamente alla leggenda e alla storia della musica.

A cura di Ennio “Ennio” Colaninno

Recensione a cura di Ghost Writer

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 03 feb 2015 alle 14:44

Bravissimo!

Inserito il 03 feb 2015 alle 10:59

Recensione bellissima e appassionante come sempre. Bravo Ennio. A quando quella dell'album "Presence"? (piccola personale richiesta :P) Bellissima recensione: complimenti Ennio. Davvero. Mi associo alla richiesta di una recensione (certamente di pari livello) del controverso (e per me bellissimo) Presence. Un caro saluto. AMV

Inserito il 03 feb 2015 alle 10:03

Recensione bellissima e appassionante come sempre. Bravo Ennio. A quando quella dell'album "Presence"? (piccola personale richiesta :P) Tu mi leggi nel pensiero, caro Marco. Ho una serie di bozze, che non riesco mai a trasformare in uno scritto compiuto che sia decente. E "Presence" è lì che mi guarda da un po'... Ciao e grazie!

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