Nel 1992 il fenomeno death metal era già esploso da qualche anno, ma se fino al 1990 il genere si era praticamente retto sulle uscite dei
big four, ovvero
Morbid Angel,
Death,
Obituary e
Deicide, con l’aggiunta dei
Cannibal Corpse e dei
Suffocation per il lato più brutale ed estremo, è il biennio 91/92 a regalare la definitiva esplosione al genere che si afferma con una serie di nuove leve che, avendo ascoltato e imparato la lezione delle band succitate, portano il genere verso nuovi orizzonti e confini, alzando l’asticella in maniera paurosa.
Dopo
Immolation,
Malevolent Creation,
Broken Hope e
Incantation, arriva il momento di un’altra band incredibile con un disco che diverrà pietra miliare del genere, i
Monstrosity con il qui presente “
Imperial Doom”.
Quando parliamo di pietre miliari intendiamo dischi seminali, che hanno poi influenzato l’intero movimento, magari non dischi perfetti al 100%, non prodotti o suonati alla perfezione, ma dischi viscerali, innovativi, frutto di un’epoca irripetibile. E tale doveva essere la scena death metal di inizio anni ’90, una fucina di talenti e di bands ineguagliata ed ineguagliabile.
Il paradosso è che se la seconda ondata di bands non avesse seguito i
big four di cui sopra, il death metal non avrebbe potuto affermarsi e proliferare.
I
Monstrosity hanno nel loro arco alcune frecce decisive. Un cantante brutalissimo, quel
George “Corpsegrinder” Fisher che poi sarà ‘rubato’, dai
Cannibal Corpse, un batterista,
Lee Harrison, che all’epoca forse era il più veloce
blast beaters in circolazione, e ascoltate “
Definitive Inquisition” o la successiva “
Ceremonial Void” se non ci credete, e, dulcis in fundo, le chitarre,
Jon Rubin, che aveva in precedenza militato nei
Malevolent Creation per i quali aveva collaborato nel comporre il
guitar working per l’incredibile debutto “
The Ten Commandments”, prima di separarsene, al punto che su quel disco le chitarre sono sì opera del nuovo chitarrista
Jeff Juszkiewicz, il quale, tuttavia, si limitò e ‘copiare’ il lavoro di
Rubin, e
Jason Gobel, che l’anno successivo pubblicherà un altro capolavoro, “
Focus”, con i
Cynic.
Con queste premesse il disco non poteva che essere una vera bomba per ferocia, velocità, brutalità, tecnica ed acume compositivo.
La foga della band si esprime sin dalle prime note della title-track che entra senza chiedere il permesso, anzi sfondando le porte dei nostri padiglioni auricolari con un bazooka.
Non mancano episodi più ragionati, con un mood sulfureo, come nel caso di “
Horror Infinity”, ma senza mai far mancare la carica selvaggia del percussivo drumming di
Harrison, carica che diventa terremotante in pezzi come “
Vicious Mental Thirst”.
Negli assoli di “
Imperial Doom” si rinviene talvolta la stessa allucinazione dei soli di
Bob Vigna degli
Immolation, usciti l’anno prima con l’altrettanto incredibile “
Dawn Of Possession”.
Cosa altro aggiungere su questo vero e proprio capolavoro? Una considerazione che vale per tutti i capolavori usciti in quel periodo, i quali trovano la propria ragion d’essere nel fatto che hanno saputo trovare la perfetta alchimia tra forza bruta e ragione, tra impatto e tecnica compositiva, giovandosi di un nugolo di musicisti ispirati e in stato di grazia. Un’alchimia irripetibile.