Copertina 8

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:1999
Durata:53 min.
Etichetta:G.U.N. Records

Tracklist

  1. THE SECRETS OF MERLIN
  2. PENDRAGON
  3. EXCALIBUR
  4. THE ROUND TABLE (FOREVER)
  5. MORGANE LE FAY
  6. THE SPELL
  7. TRISTAN'S FATE
  8. LANCELOT
  9. MORDRED'S SONG
  10. THE FINAL WAR
  11. EMERALD EYES
  12. AVALON
  13. PARCIVAL

Line up

  • Chris Boltendahl: vocals
  • Uwe Lulis: guitar
  • Jens Becker: bass
  • Stefan Arnold: drums
  • Hans Peter Katzenburg: keyboards

Voto medio utenti

Cazzuti e irrimediabilmente tamarri. È così che mi piace ricordare i Grave Digger nel loro miglior periodo compositivo, che a mio parere è fra “The Reaper” e “Rheingold”, rispettivamente del 1993 e 2003. Un decennio fatto di riff serrati, batteria schiacciasassi, e la voce roca e cavernosa del frontman Chris Boltendahl.

Nello specifico, oggi affronteremo il terzo disco della cosiddetta trilogia medioevale, ovvero “Excalibur”. Pubblicato nel Settembre del 1999, “Excalibur” si portava dietro il fardello di dover confermare la qualità presente nei dischi precedenti, fatica non da poco. In un periodo dove il Power Metal, non solo quello più melodico ma anche quello con influenze più Heavy, stava vivendo letteralmente una seconda giovinezza e dove ogni disco di una band affermata era sotto gli occhi di tutti, e soprattutto della critica che poteva smontare la carriera di una band o portarla all’apice, “Excalibur” aveva, rispetto ai precedenti dischi, una grande responsabilità.

Togliamoci subito il dente, “Excalibur” non riesce a stare propriamente al passo dei suoi predecessori. Troviamo canzoni più orientate alla melodia mista a pezzi in your face stile “Tunes Of War”, togliendo perciò per un attimo quei ritornelli più catchy presenti nel precedente “Knights Of The Cross”. Chiunque abbia un minimo di conoscenza sulla musica dei Grave Digger sa che raramente i becchini tedeschi sono scesi a compromessi (chi ha detto “Stronger Than Ever”?), e che nel bene e nel male, hanno sempre puntato su un solo tipo di musica, fino ai giorni nostri. Sentire sonorità più melodiche invece, è un buon fattore che porta chi ascolta a non trovarsi per forza sempre davanti la stessa minestra riscaldata, ma senza neanche rimanere propriamente deluso.

Non che manchi l’aggressività, intendiamoci. “Pendragon” e la Titletrack sono pezzi tiratissimi che mettono in evidenza i riff di Uwe Lulis, il quale lascerà la band alla fine del tour di supporto al disco. Seppur come detto, reputi i due dischi successivi dei Digger ancora ottimi, la mancanza di Lulis sarà uno dei fattori centrali nel decadimento di un certo sound della band tedesca, arrivando al riciclo di riff nei quali è caduta da una buona quindicina di anni. “Morgan Le Fay” rientra nell’ambito melodico di cui parlavo, con la sua intro quasi sognante, per poi esplodere in un riff che sembra debba spaccare tutto, trovandosi poi davanti a un ritornello atipico, quasi strano al primo ascolto. Boltendahl riesce a mostrarsi a suo agio anche in parti cantate in pulito, come anche in “Emerald Eyes”, ballad dove seppur il tono roco del cantante non sia proprio perfettamente splendido, si lascia ascoltare. “The Round Table (Forever)” ha al centro un ritornello da stadio perfetto da cantare assieme ai fan, mentre su “Avalon” si sentono chiaramente influenze in alcuni passaggi dei cugini Blind Guardian. “The Spell” e soprattutto “Lancelot” sono canzoni con un’impostazione più massiccia, ma dove si sente comunque una preferenza per dei ritornelli molto più orecchiabili. Con “The Final War” invece, si ritorna a sonorità più heavy. Per tutto l’ascolto si ha a tutti gli effetti la sensazione di essere catapultati proprio in un ambiente medioevale, con atmosfere molto oscure in alcuni frangenti e riff sempre azzeccati.

“Excalibur” per molti sarà il canto del cigno dei beccamorti, e diciamo che riesco a condividerne il punto di vista. La mancanza di Lulis come detto si farà sentire, e il songwriting dei Digger andrà sempre più scemando negli anni, fatta eccezione per pezzi sporadici. Non pensate però che questo disco sia il classico compitino, perché sareste completamente fuoristrada. “Excalibur” è un disco compatto, leggermente più “arioso”, ma non per questo mancante di irruenza e compattezza. Risulta fresco anche a distanza di anni dalla sua pubblicazione, e direi che questo non è poco per gente che si chiama Grave Digger…no?


Recensione a cura di Francesco Metelli

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