Copertina 6,5

Info

Genere:Death Metal
Anno di uscita:2002
Durata:60 min.
Etichetta:Silverdust
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. CURSEROW
  2. ENDLESS WINTER
  3. HELPLESS VICTIM
  4. THE PROOF
  5. ONE SINGLE ANSWER
  6. MISJUDGEMENT
  7. WHAT YOU MAY SAY
  8. A PART OF ME
  9. WITHOUT A TRACE
  10. FREEDOM COUNTS
  11. WISHES AND HOPES
  12. THE SLAVE
  13. EARLY AUTUMN

Line up

Non disponibile

Voto medio utenti

Attivo dal 1993, questo three pieces combo proveniente dall’alta Europa, arriva al suo terzo full lenght album sotto le ali della Silverdust Records, giovane ma interessantissima label teutonica, che ha già fatto uscire quest’anno sul mercato diversi lavori di stampo Goth. I Deep Inside Myself si muovono su coordinate di Gothic Rock melodico ed ottimamente arrangiato, miscelato a diverse soluzioni di Classic Metal: emblematiche in questo senso sono ‘Helpless Victim’ e ‘The Slave’, caratterizzate da un tempo sostenuto e da un ottimo, anche se già sentito, intreccio delle due chitarre. Come in ogni Goth Rock band che si rispetti, comunque, la parte del leone la fanno sicuramente le keyboards, a cominciare dalla drum machine programmata con perizia da Marco Bauer, per finire alle atmosfere create dalla sezione di archi artificiali o dal piano che contribuisce ad aumentare la drammaticità e lo spessore delle songs. Positivo anche la sezione ritmica, con le chitarre sempre in primo piano, ora dalle ritmiche rocciose e spezzate, ora più aperte, mentre il basso pulsa, svolgendo diligentemente il proprio lavoro. Nota di plauso anche per la voce, sempre a carico del buon Marco, capace di alternare ottimi growl alla voce guida pulita, caratterizzata da un ottimo timbro. Musicalmente parlando, le songs si susseguono lisce, suggestive ma al contempo ruvide, sicuramente influenzate dai lavori degli ultimi dei Katatonia, dai Type O’ Negative, ma anche dal riffing più “panterato”, e soprattutto dalla wave ’80, cosa che si nota in alcune soluzioni vocali (vedi, tra le altre, ‘What You May Say’, forse il capitolo più sentito dell’intero platter, ed ‘A Part Of Me’). Non tutto però è rose e fiori: la cosa riuscita peggio è la produzione. Purtroppo i suoni risultano fin troppo puliti, poco saturi, mancando di cattiveria, di quella sporcizia e di quella pasta che rende il suono granitico e compatto…il risultato è che spesso, come nelle prime due songs (ma non solo) che aprono il platter, il suono della chitarra quando si sposta su note acute risulta fastidioso…sembra quasi che il lavoro non sia stato missato a dovere o masterizzato con il giusto piglio, e l’effetto globale è che il suono sembra avere livelli diversi, non tutti sullo stesso piano…ed è un vero peccato, perché il songwriting è davvero convincente, la band è preparata e le emozioni non mancano.
Recensione a cura di Massimo 'Whora' Pirazzoli

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