Copertina 6,5

Info

Genere:Black Metal
Anno di uscita:2002
Durata:48 min.
Etichetta:Earache
Distribuzione:Self

Tracklist

  1. PLANESHIFT (INTRODUCTION)
  2. FEAR (WASN'T IN THE DESIGN)
  3. NOLDOR EXODUS
  4. THE DARK HEART OF UURKRUL
  5. OQ'ELEND
  6. PLANESHIFT
  7. GORTHAUR AULENDIL
  8. MOUNTAIN GOD
  9. THE UNQUIET GRAVE
  10. OUTRO

Line up

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Vengono dalla Russia, si chiamano Rakoth e questo è il loro secondo album, primo in assoluto per la major inglese Earache. Il genere da loro proposto è un buon death/black metal abbondantemente influenzato dalla musica folk. Ecco quindi quasi d'obbligo chitarre acustiche e flauti, vocioni puliti alternati a voci screamy e buone parti di tastiera atmosferica. Mi sembra quasi strano che una label come la Earache ora così attenta a gruppi ben più commerciali, abbia guardato a questi giovani russi e abbia dato loro una così grande opportunità. Di sicuro la band dà del suo meglio, ma purtroppo non riesce a raggiungere la media per quanto riguarda la produzione, che pecca soprattutto con i suoni di batteria, troppo "fasulli", per un genere come il folk che richiederebbe autenticità e riproduzioni acustiche. Riesce a fare di meglio con le composizioni però, che risultano molto originali e alquanto interessanti. Si parte con "Fear", ottima song dagli spunti celticheggianti e dalle gustose accelerazioni black, per poi continuare tra i break acustici e le melodie sognanti di "Noldor Exodus" e "The Dark Heart of Urukrul", fino ad imbattersi in "Oq'Elend", canzone gothicheggiante ed oscura che riesce perfettamente nel suo intento di far abbassare la guardia prima della mazzata della titletrack, uno dei momenti più particolari e spiazzanti dell'intero disco. Si va avanti con la bella e quasi commerciale "Gorthaur Aulendil" che si snoda tra parti acustiche ad altre più vicine a gruppi come In Extremo o Subway to Sally. Oscura e violenta si scaglia "Mountain God", bellissima song gothic/black vicina ad alcune cose di "Cruelty and the Beast" dei Cradle of Filth, riempita di stranissime parti di pianoforte che denotano una grandissima influenza proveniente dal folklore russo. Per concludere, arriva "The Unquiet Grave", canzone di ben otto minuti, che parte con le chitare pulite e continua con il solito incedere fatto di accordi stranissimi e parti quasi allucinate. Da notare il fatto che la prima metà del disco è molto influenzata dalla musica folk, portandomi alla mente nomi come Ancient Rites, In Extremo o Skyclad, mentre la seconda parte si fa molto più oscura, allucinante e tremendamente ostica da assimilare. La biografia aggiunge che il concept intero ruota attorno al mondo di J.R.R. Tolkien, quindi varrebbe la pena dare almeno una letta anche ai testi.
In definitiva siamo davanti ad una strana creatura che forse farebbe meglio ad uniformare il proprio stile ma che ha degli spunti geniali e merita di avere un degno seguito e magari la possibilità di migliorare e di riconfermarsi con un altro lavoro. Staremo a vedere!
Recensione a cura di Davide 'Damnagoras' Moras

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