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Info

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Anno di uscita:1984
Durata:35 min.
Etichetta:SST

Tracklist

  1. SAINT VITUS
  2. WHITE MAGIC/BLACK MAGIC
  3. ZOMBIE HUNGER
  4. THE PSYCHOPATH
  5. BURIAL AT SEA

Line up

  • Scott Reagers: vocals
  • David Chandler: guitars
  • Mark Adams: bass
  • Armando Acosta: drums

Voto medio utenti

Senza dubbio alcuno i Saint Vitus sono state tra le più fondamentali doom metal band degli esordi, un nome che con sempre maggior frequenza ritorna tra le ispirazioni o i riferimenti artistici di una foltissima schiera di doom metal band che a partire dalla metà degli anni ottanta hanno contribuito alla popolarità di questo genere musicale.
Sorti a Los Angeles nel 1979 e originariamente conosciuti col nome di Tyrant, i Saint Vitus devono la loro oramai leggendaria fama anche al passaggio di personalità del calibro di Scott “Wino” Weinrich e Christian Linderson (aka Lord Chritus, proprio sostituto di Wino agli inizi degli anni 90, già frontman dei Count Raven), senza contare il valore dell’intera discografia che questa band ha collezionato nel corso della propria carriera. Dopo un primo demo col monicker Tyrant, i Saint Vitus fanno il proprio esordio ufficiale nel 1984 per SST Records, etichetta di Greg Gin dei Black Flag, per la quale la band pubblicherà anche i tre album successivi (più i due EP Walking Dead e Thirsty And Miserabile) fino al passaggio per la gloriosa Hellhound con la quale la collaborazione dura fino a C.O.D. (1992).
Il nucleo originario della band, e quindi quello immortalato in questo episodio, vede la presenza al microfono di Scott Reagers, uno dei due storici volti e voci, assieme a Wino, dei Saint Vitus, due interpreti per certi aspetti molto distanti ma entrambi insostituibili per dare vita a quel sound oramai leggendario e tanto influente della band americana. L’omonimo disco di esordio, con i suoi soli 5 episodi e 35 minuti di durata complessiva, rappresenta oramai un oggetto di culto per quello che comunemente viene definito “traditional doom” o “old school doom”.
Ritmiche dilatate e tempi rallentati si accompagnano ad un riffing primitivo ed essenziale, interrotto da dilaniati assoli di chitarra e lunghe divagazioni solipsistiche, avvolte da atmosfere ora oscure e drammatiche ora più rockeggianti e immediate. È su questi ultimi registri che si apre l’album con l’omonima traccia “Saint Vitus” dall’incedere sostenuto e il refrain corale nel quale la band mostra il proprio approccio più diretto e frontale, figlio delle radici più prettamente hard rock di fine anni settanta e che non a caso appartiene alla prima fase di produzione della band, quella ancora segnata dal nome Tyrant.Gradualmente i toni cambiano, cominciano ad incupirsi, a farsi lenti e minacciosi e immancabilmente emergono più forti le influenze sabbathiane, delle quali i Saint Vitus non intendono fare segreto alcuno, in un periodo storico in cui la cosa non era per nulla scontata e sospetta come accadrà in seguito. Anzi, è proprio grazie a band quali Saint Vitus o The Obsessed che l’insegnamento dei maestri Black Sabbath ha potuto evolvere e tramutarsi effettivamente in doom metal come viene inteso nell’accezione più moderna. Dei Sabbath i Saint Vitus hanno colto in particolare l’aspetto più ossessivo, cadenzato e maniacale che caratterizza lo slow motion style di ogni singola release della band californiana. Così da “White Magic/Black Magic” e il suo finale ultra slow, fino alla conclusiva “Burial At Sea”, i Saint Vitus in questo esordio collezionano 5 episodi unici dal potenziale talmente elevato da influenzare con ciascun brano decine e decine di band a venire negli anni. L’aurea mistica e visionaria di brani quali “Zombie Hunger” e la splendida “The Psychopath” è esaltata dal cantato teatrale ed evocativo di Reagers e in particolare dalla produzione rudimentale e approssimativa, opera dei Total Access Studio di Redondo Beach, che dona quel tocco così caldo e vibrante a delle composizioni disarmanti nella loro semplicità.
Un album basilare posto alle radici di una band e di un sound che ha fatto storia nel corso degli anni e che ancora oggi può essere considerato tra i capolavori del doom metal.
Recensione a cura di Marco 'Mark' Negonda
Suono Senza Tempo

questo disco sarebbe potuto uscire nel 1970 o nel 2007, non fa differenza...un lungo viaggio nell'ombra e nella luce, incredibile nella profondità di quello che vuole esprimere, sebbene la produzione sia scarna e senza fronzoli...ma è solo apparenza, dientro ogni nota rallentata e riff pachidermico si nasconde un baratro. Assolutamente da avere e da tramandare ai posteri! Maestri.

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