Copertina 7,5

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2006
Durata:29 min.
Etichetta:Regain
Distribuzione:Self

Tracklist

  1. NAILED TO PAIN
  2. MY DISORDER
  3. DO OR DIE
  4. PARASITE
  5. KILL THE LIGHT
  6. THE DAGGER (LIVE)
  7. PARASITE (VIDEOCLIP)

Line up

  • Ralf Gyllenhammar: vocals, guitar
  • Hannes Hansson: guitar
  • Mats Stam Johansson: bass
  • Mats Dojan Hansson: drums

Voto medio utenti

Qui da noi gli svedesi Mustasch sono emeriti sconosciuti, ma in patria e nei paesi limitrofi vengono invece già considerati un gruppo di medio calibro ed in costante ascesa. Nel recente passato sono riusciti infatti a piazzare per tre mesi un album nella top-40 nazionale e ad essere candidati per il miglior disco metal e miglior concerto, sia nel 2002 che l’anno successivo. Ottimi risultati che il quartetto ha ottenuto realizzando finora tre full-lenghts, più alcuni lavori minori ai quali si aggiunge ora il presente mini-cd.
Per la verità anche in Italia c’è stato qualche sussurro sui Mustasch, più che altro nell’ambiente heavy rock/stoner, a conferma di una particolare collocazione già vista per i Bible of the Devil e formazioni simili. In realtà gli svedesi dichiarano orgogliosamente di suonare puro heavy metal, ma il modo d’intendere tale definizione è così mutato rispetto alle origini che la stessa casa discografica pubblicizza il disco come “stoner rock at its very best”.
Nessun problema, basta intendersi. L’importante è avere un’ottica ampia, visto che il primo brano spara un riff che sembra uscito dai primi dischi di Accept o Grave Digger e prosegue con un tiro bello tosto che un tempo si sarebbe definito “da headbanging”. Idem per le cadenze rallentate di scuola Black Sabbath/Blue Oyster Cult, i fulminei assoli alla J.Priest, le tracce di groove Motorhed-iano o la carica di immediatezza rock-radiofonica, tutte cose che saltano fuori nella mezz’ora di questo lavoro. Sinceramente non scorgo la sabbia del deserto né strani fumi nell’aria, ma mi adeguo al fatto che oggi un prodotto del genere non sia considerato “veramente” heavy metal.
Quindi non resta molto da dire, forse l’ovvietà che i Mustasch sono un’ astuta e vincente band di archeologi, ragazzi che hanno fiutato il vento revivalista e costruito il proprio stile pescando qua e là dai classici del passato.
Ma se oggi passa per canzone fresca e brillante perfino un misto scolastico di schitarrate rocciose e vocals anthemiche (“Do or die”), oppure fa vendere migliaia di copie un geniale riciclo d’epoca, botta svelta ed essenziale di sostegno al super-ritornello tanto ruffiano quanto micidiale (“Parasite”), che colpa ne hanno gli svedesi? Non sono certo la prima formazione, né la più famosa, a riadattare temi polverosi fingendo di essere una new-generation della musica heavy.
Come diceva un mio amico: “non buttare mai via nulla, che prima o poi ritorna di moda”. E questo è soltanto del vecchio e sano metal pionieristico, scrostato di tutte le menate cerebrali accumulate nei decenni per imporgli una parvenza di dignità adulta e matura.
Il commovente coro del pubblico nella conclusiva “The dagger”, registrata dal vivo, è lo stesso che facevamo vent’anni fa levando in aria la fiammella dell’accendino. Unica differenza è che oggi i figli dell’era tecnologica sventolano i freddi display dei cellulari. Oltrettutto il brano prosegue dilatandosi in un assolo lisergico che in effetti odora forte di stoner acido, segno che i Mustasch non hanno problemi a flirtare con qualsiasi tipo di pubblico capiti loro a tiro.
Ma se non basta la musica per capire chi siano questi svedesi, in coda al mini-cd c’è un video che spazza via gli ultimi dubbi. Tre giovanotti a metà tra un nerd ed un freak di Woodstock, più un mitico cantante/chitarrista che è il primo esemplare vivente di ibrido tra Lemmy ed Hetfield (vedere per credere..nda), che urla in continuazione il refrein-tormentone di “Parasite”. Però lo sguardo è attirato da ciò che sta intorno al gruppo: un centinaio di modelle seminude che si strusciano tra loro. Un’orgia da strip-bar zeppa di seni e glutei, bondage e fetish, tatuaggi e piercing, che manco gli ultimi pacchiani Monster Magnet avrebbero osato. Scena-cult, la tipa arrapante che si strofina una torcia infuocata prima sul braccio, poi sulla lingua. Il trionfo del sado-maso da casalinga in calore, un must assoluto.
Non ho mai trattato molto bene i lavori brevi, che ritengo poco più che riempitivi in attesa del piatto forte. Stavolta però, un po’ per la furbata di spacciare per novità qualche brandello di heavy d’antiquariato e molto per l’esilarante videoclip da papponi in carriera, i simpatici grezzoni Mustasch guadagnano un punto pieno per i contenuti non-musicali e la qualifica di stoner band ad honorem.

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