Copertina 7

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2006
Durata:44 min.
Etichetta:My Graveyard Productions
Distribuzione:Masterpiece

Tracklist

  1. THE GOOD
  2. DREAMHUNTER
  3. HOPE
  4. THUNDER
  5. CAN'T GET IT OUT
  6. SLAVE TO THE PISTON
  7. RIDE INTO MY MIND
  8. VANITY

Line up

  • Michele Gusmeri: vocals
  • Andrea Gusmeri: guitars
  • Andrea Verginella: bass
  • Emanuele Bresciani: guitars
  • Marco Botta: drums

Voto medio utenti

Leggi Dreamhunter e pensi subito agli scandinavi di “Kingdom come”, mirabile esempio di equilibrismo sonoro tra rock duro di matrice yankee e AOR, ma qui abbiamo a che fare con un gruppo italianissimo, nato dalle ceneri della cover band Vladimir e mediamente più grintoso e possente dell’omonimo act nordico.
La prima cosa da rilevare durante l’ascolto di “The hunt is on” è la devozione esibita dal singer Michele Gusmeri nei confronti di uno dei maggiormente seminali cantanti dell’intera scena hard ‘n’ heavy, il cui cognome (d’arte) sembra quasi giustificare una “venerazione” tanto diffusa.
Stiamo ovviamente parlando del mitico Ronnie James Dio e Michele si dimostra un suo discepolo dotato di buona personalità, capace di affiancarsi per bravura a colleghi quali Tony Martin, il Ted Pilot dei primi Fifth Angel o ai meno noti e apparentemente “scomparsi” Dave Fefolt (collaborò con Masi e con gli Hawk di Doug Marks) e Robert Antony degli Z (qualcuno si ricorda di “Keepers of the sign”?), soprattutto quando si mantiene su registri vocali medio bassi.
Dal punto di vista musicale i Dreamhunter rivolgono il loro sguardo all’heavy metal classico degli eighties e all’hard rock del decennio precedente, condendo il tutto con un pizzico di class metal e le sagome di Rainbow, Dio, Iron Maiden, Whitesnake e, in misura minore, Black Sabbath, si riescono a scorgere abbastanza agevolmente durante i quarantacinque minuti scarsi di durata dell’album.
Sarebbe tuttavia ingeneroso parlare di un semplice atto di clonazione, il quintetto nostrano ce la mette davvero tutta nel cercare di conquistare una propria credibilità pur mantenendo saldi i principi musicali a cui s’ispira e diciamo che l’operazione riesce abbastanza spesso e quando non lo fa appieno mette in campo in ogni caso spunti interessanti, che con piccoli perfezionamenti in fase d’arrangiamento (ci vedrei bene qualche saltuaria intelaiatura tastieristica, ad esempio!) e con un po’ di compattezza in più potrebbero anche loro centrare il bersaglio.
Molto buona la partenza con un’enfatica “The good”, dal flavour vagamente oscuro e un’ottima capacità traente, “Dreamhunter” è una celebrazione dell’Arcobaleno anch’essa piuttosto efficace, ma è con “Hope” che i nostri piazzano un colpo veramente di grande effetto: il reboante feeling eroico che avvolge il brano catturerà senza possibilità di scampo tutti gli aficionados dell’epic-power metal americano avidi del “nettare degli Dei”, e rappresenta un’autentica prova di forza dei Dreamhunter nel loro complesso.
L’hard number denominato “Thunder” mostra qualche segno d’anonimato compositivo, mentre in “Can’t get it out” il vocalist Gusmeri si traveste da David Coverdale in una traccia che sa coinvolgere con una melodia vincente e un bel refrain che avrebbe potuto essere ancora migliore se il coordinamento delle voci fosse stato leggermente più preciso.
L’arrembante “Slave to the piston” non mi convince pienamente, “Ride into my mind” ripropone con pregevole qualità le tipiche sonorità dell’hard rock de-luxe e il riffone di “Vanity” riporta il disco su tracciati di massiccio e “primordiale” heavy metal, contraddistinto da intriganti variazioni strumentali e da piacevoli, per quanto piuttosto “familiari”, costruzioni evocative e cadenzate.
Avendo già descritto le doti di colui che gestisce il microfono (a cui mi permetto di consigliare un incremento nel controllo sulle note alte, non sempre impeccabile) non mi rimane che esaminare la prova degli altri componenti del gruppo, i quali si dimostrano preparati ed affiatati, con una segnalazione particolare per i due chitarristi, non troppo preoccupati di ostentare la loro tecnica specifica e orientati soprattutto alla consistenza del risultato finale.
Il talento dei Dreamhunter è evidente e considerando che, nonostante il discreto bagaglio d’esperienza maturato, stiamo comunque parlando di una band al suo esordio discografico, è presumibile che le incertezze e le ingenuità attuali potranno facilmente sparire con il prossimo lavoro, magari anche ottimizzato nella resa sonora e nella produzione, già di livello più che accettabile, ma assolutamente perfettibile nei settori potenza ed equilibrio.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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