Copertina 8

Info

Genere:Power Metal
Anno di uscita:2006
Durata:52 min.
Etichetta:Nuclear Blast
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. THIS WILL NEVER END
  2. OTHERLAND
  3. TURN THE PAGE
  4. FLY
  5. CARRY THE BLESSED HOME
  6. ANOTHER STRANGER ME
  7. STRAIGHT THROUGH THE MIRROR
  8. LIONHEART
  9. SKALDS AND SHADOWS
  10. THE EDGE
  11. THE NEW ORDER

Line up

  • Hansi Kursch: vocals
  • André Olbrich: guitars
  • Marcus Siepen: guitars
  • Oliver Holzwart: bass
  • Frederik Ehmke: drums

Voto medio utenti

All’indomani di “Imaginations from the other side” sembrò davvero che i Blind Guardian avessero realizzato il disco della vita, il capolavoro perfetto al di là di ogni più rosea aspettativa: “Somewhere far beyond” aveva già spinto tre anni prima il power europeo oltre ogni frontiera fino allora conosciuta, ed erano in molti a scommettere che il trono del metal tedesco sarebbe stato loro prima o poi, complici gli Helloween in evidente confusione creativa e i Gamma Ray di un Kai Hansen piuttosto lontano dalle sonorità del passato…
Quando, nella primavera del 1998, uscì “Nightfall in Middle Earth”, ci si rese conto all’improvviso che quanto sentito in precedenza era ancora nulla: Kursch e compagni non avevano avuto nessuna intenzione di fermarsi e avevano spinto ancora più in là quel discorso epico e sinfonico che era ormai diventato non solo il loro marchio di fabbrica, bensì il sound con cui centinaia di migliaia di metallari avevano identificato la definizione stessa di “True metal”.
Il sottoscritto se la ricorda bene la bava che colava dalla bocca sin dalle prime note di “Into the storm”, ma a questo punto nessuno sarebbe più stato colto impreparato, e il conto alla rovescia per un disco ancora più epico, ancora più sinfonico, ancora più complesso del predecessore, era già cominciata.
“A night at the opera” seppe realizzare quelle promesse, ma ad un prezzo che molti, forse troppi fans giudicarono troppo alto: la contaminazione con altri generi musicali, l’allontanamento da quel power style che era rimasto fino ad allora un punto di riferimento. “A night at the opera” è stato un disco ambizioso, per certi versi più ambizioso di “Nightfall…”, ed è a mio parere un lavoro straordinario, che ha avuto come unico difetto proprio quello di spingersi in un territorio che, francamente, nessun altro sarebbe stato in grado anche solo di osservare da lontano. Dopo quel disco i Blind Guardian cessarono di essere il faro del true metal europeo per rimanere soltanto i Blind Guardian: geni assoluti ma anche (come la maggior parte dei geni) fortemente incompresi.

Mi congratulo con voi se siete riusciti ad arrivare fin qui senza spararvi, ma questa premessa era necessaria: per capire com’è “A twist in the myth” bisogna per forza di cose capire cosa è venuto prima e quali fossero le aspettative della vigilia.
Ora, dopo il percorso che ho brevemente delineato, per la band di Krefeld erano essenzialmente due le soluzioni praticabili:

1) Spingere ulteriormente oltre il discorso epico e sinfonico sia negli arrangiamenti che nelle melodie, ma rischiare concretamente di perdere la sanità mentale, oltre che la componente metal del proprio sound…

2) Dare una decisa sterzata all’indietro, giocando la carta del “ritorno alle origini” e producendo in sostanza un “Imaginations…” versione 2006, arricchito e potenziato da tutte le esperienze maturate in dieci anni di attività ai massimi livelli…

Com’era logico supporre, ancora una volta i nostri ci hanno stupito, e si sono inventati una terza via che francamente nessuno (sicuramente non il sottoscritto!) si sarebbe potuto aspettare alla vigilia: sfoltire notevolmente le varie orchestrazioni di chitarra, voce e tastiere, rendendo il sound complessivo e l’impatto dei vari brani maggiormente diretto, ma dall’altra parte continuare a sperimentare nella ricerca melodica, allontanandosi ulteriormente dal power metal dei grandi successi.
E’ un disco strano questo “A twist in the myth”: “This will never end” ti accoglie con uno dei riffs più aggressivi e potenti che i nostri abbiano mai prodotto, fai appena in tempo a far partire un headbanging, ed ecco che devi stare dietro alle contorsioni vocali di Hansi, che pur non avendo le massicce dosi di cori ed overdubs del passato a supportarlo, non ha assolutamente intenzione di prodursi in qualcosa che sia anche lontanamente appetibile al primo ascolto. In questo brano è racchiusa a mio parere la vera essenza di questo nuovo disco: la voglia di suonare più autentici, più autenticamente heavy, più “live” se vogliamo, unitamente alla consapevolezza di essere cresciuti, di essere continuamente in movimento, e di non potersi fermare dunque in facili discorsi autocelebrativi. Chiarito questo, allora possiamo definire semplice e diretto un brano come “Another stranger me”, che ha un suono persino vagamente seventies ed un’attitudine rock certo inusuale per la band. E stupisce anche la cavalcata di “Straight through the mirror”, con quel lead guitar maideniano in apertura e il suo ritornello irresistibile. Riletto all’interno del contesto che gli è proprio, anche “Fly”, il singolo apripista, acquista un senso maggiore e adesso, al centesimo ascolto, ne capisco finalmente l’enorme potenziale (è tra le altre cose il brano in cui le influenze prog di Frederik Ehmke vengono fuori di più).
C’è pane anche per chi fosse preda della nostalgia più cupa: “Otherland” e, soprattutto, “Turn the page”, sono epiche, ariose ed eroiche come da tempo i Guardian non ne scrivevano, e per l’occasione ritornano anche i cori in grande stile! “Mordred’song” e “Script for my requiem” sono i due punti di riferimento principali e, così come avevo già scritto in occasione del preascolto, rimangono i due episodi di più facile assimilazione all’interno di un disco, ripeto, solo apparentemente agevole. Non è un completo ritorno al passato (questo non potrebbe mai accadere, ormai lo sappiamo!), ma ci siamo abbastanza vicini…
E il resto? Beh, “Lionheart” sembra straordinaria nella sua drammatica solennità, ma la sensazione è che forse l’anno prossimo non l’avremo ancora decifrata… e poi c’è “The edge”, durissima, con un vago sapore orientale nelle linee vocali e un feeling oscuro che piace parecchio anche se, come la precedente, dobbiamo ancora capirlo. Chiude il tutto una “New world order” che sembra riconciliarci con la normalità, se non altro per quel ritornello che solo uno come Hansi Kursch poteva scrivere e cantare.
A conti fatti, le cose più deludenti sono le ballate: “Carry the blessed home” si fa ascoltare soprattutto per il tappeto di cornamuse che la rende suggestiva, ma un po’ troppo tronfia nelle melodie, mentre di “Skalds and shadows” si era già detto: “Bard’s song” è già fin troppo esauriente della vena acustica e medievale dei nostri…
Alla fine del primo ascolto sarete esausti, stremati, e probabilmente parecchio confusi: lo dice il titolo stesso, questo è un disco contorto, ostico proprio perché semplice in apparenza, per cui perseverate senza scoraggiarvi!
A tutt’oggi, dopo mesi abbondanti di ascolto, queste mie parole sono solamente impressioni, nulla di più, per cui anche il voto che vedete qui sotto è indicativo del momento in cui scrivo, ma potrebbe tranquillamente cambiare, perché questo, ancora più che tutti gli altri lavori dei Blind Guardian, è un disco da farsi crescere addosso, da affrontare ed esplorare giorno dopo giorno, senza avere paura di quello che potrebbe rivelare…
Perdonatemi sinceramente per la lunghezza, ma tanto mica eravate obbligati a leggermi, no?
Recensione a cura di Luca Franceschini

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 13 apr 2009 alle 19:32

da dire ke nn e male questo album.anke se nn e quello ke piu rappresenta i blind

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