Copertina 8,5

Info

Anno di uscita:2006
Durata:60 min.
Etichetta:Psychonaut

Tracklist

  1. SHORTEST DAY
  2. IN BETWEEN
  3. ALONE
  4. WAKING HOUR
  5. FATIGUE
  6. A NOISE SEVERE
  7. FORGOTTEN
  8. SOLACE
  9. YOUR TROUBLES ARE OVER
  10. BOX
  11. THE QUIET ONE
  12. HOME
  13. FORGOTTEN REPRISE

Line up

  • Anneke van Giersbergen: vocals
  • Marjolein Kooijman: bass
  • René Rutten: guitars
  • Frank Boeijen: keyboards, programming
  • Hans Rutten: drums, percussions, loops

Voto medio utenti

Adoro letteralmente i The Gathering e la voce strepitosa di Anneke van Giersbergen.
Amo la loro assoluta incapacità di ripetersi e il coraggio dimostrato dagli esordi death/doom fino alla definizione di un particolare tipo di gothic, e nonostante la fortuna commerciale, la voglia di cambiare ancora una volta, a dispetto delle inevitabili critiche, in quel percorso evolutivo ritenuto fondamentale per la credibilità del gruppo, che ha coinvolto generi come la psichedelia, il trip-hop, il rock e il pop, rappresentando un esempio piuttosto raro in un music business sempre più caratterizzato da immobilismo e razioni considerevoli di formalismo.
Amare non significa però necessariamente non sapere evidenziare, magari in modo costruttivo, certe scelte ritenute discutibili o non avere “divergenze d’opinione” e, infatti, dopo dischi fondamentali come “Mandylion” o “Nighttime birds”, non ero riuscito ad apprezzare completamente la svolta dalle imponenti (e forse un po’ troppo ricche di “autocompiacimento”) dilatazioni “lisergiche” contenute in “How to measure a planet?”, fortunatamente abbandonate nella splendida concretezza rock-oriented di “If then else” e “Souvenirs”, due lavori ancora una volta sorprendenti ed emotivamente coinvolgenti.
Ed eccola la vera e propria arte dei nostri olandesi, l’incredibile capacità di infondere dosi massicce d’autentico sentimento alle loro composizioni, così abilmente trasfuso dalle inesauribili dotazioni tecniche ed interpretative di Anneke, le quali non si riducono mai ad un’ostentazione fine a sé stessa, ma creano quel clima sospeso e magico, in continua alternanza tra fragilità e intensità, che difficilmente troviamo replicato con lo stesso estro nelle sue, magari anche alquanto preparate, innumerevoli seguaci.
Più “progressivi” in senso generale, di molte altre formazioni che vantano tale appartenenza, i The Gathering sanno essere “moderni”, con naturalezza e maturità anche in questo nuovo “Home”, che mescola con grandi facoltà proprie, i Pink Floyd e i Massive Attack, i Radiohead e reminiscenze Cranberries, con un’attitudine che pur nelle sue sfumature inedite, rammenta in alcune situazioni proprio la ricchezza di chiaroscuri che aveva contraddistinto “If then else”.
Davvero arduo, a questo punto, descrivere in modo efficace i contenuti emotivi, le sensazioni evocate da queste melodie o l’atmosfera elegiaca e magnetica in cui si è inevitabilmente trasportati durante l’ascolto di “Home” e neanche un vocabolario nutrito come quello della lingua italiana mi consente di trasmettere, anche probabilmente per una mia imperizia, i marosi di suggestioni che mi travolgono e che vengono arginati con così tanta difficoltà dalle pastoie del supporto ottico.
Ancora una volta il disco deve essere “vissuto” nella sua completezza e sono sicuro che ognuno di Voi riuscirà ad associare alla formidabile spigliatezza e all’apparente semplicità di “Shortest day” e della malinconica “Your troubles are over”, alle deliziose acrobazie vocali esibite in “In between” e nella lieve “Forgotten”, all’aura misteriosa, dall’orientamento quasi wave e alle chitarre incombenti di “Alone”, alla leggiadra e onirica “Waking hour”, all’organo e alle vibrazioni senza tempo emesse da “A noise severe”, alle pulsazioni languide di “Box” o ancora all’incantevole torpore della title-track, le proprie immagini preferite, prelevandole direttamente dall’album dei ricordi, dal bagaglio individuale d’esperienze di vita o, perché no, vederne stimolate altre di completamente nuove.
Abbandonatevi con fiducia nelle braccia dei The Gathering (anche se sarebbe meglio, fuori di metafora, che si trattasse di quelle della bella Anneke, ma non si può avere tutto!), ne ricaverete un’ora di musica capace di rapire i sensi anche senza troppi “frastuoni” (che pure così tanto ci piacciono). La mia personale “storia d’amore” con gli olandesi prosegue con rinnovato vigore, ma si tratta di uno di quei rari casi in cui l’eventuale condivisione della propria “passione”, non stimola affatto gelosia e anzi sarei davvero lieto di poter spartire con il numero maggiore possibile di musicofili tale legame … credetemi, “Home” è pura poesia trascodificata in note.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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