Copertina 5,5

Info

Genere:Power Metal
Anno di uscita:2019
Durata:47 min.
Etichetta:Pitch Black Records

Tracklist

  1. CAPTORS OF INSANITY
  2. GODDESS OF RAIN
  3. THE CHEROKEE
  4. THE EARTHER
  5. ANIMAL REIGN
  6. FOREVERMORE
  7. PRECIPICE TO HELL
  8. RESISTANCE
  9. STAINLESS

Line up

  • Seb "Cazu" Casula: guitars
  • Franck "Kanon" Ghirardi: vocals
  • Lionel "Beev" Antonorsi: bass
  • Bob "Flying" Saliba: guitars

Voto medio utenti

Giunti al loro terzo album in studio, i francesi STONECAST, provenienti esattamente da Marsiglia, tentano con “I Earther” (questo il titolo del nuovo nuovo full-length) un ulteriore balzo qualitativo in avanti rispetto ai precedenti lavori, ossia l’acerbo disco d’esordio del 2009 intitolato “Inherited Hell” , ma soprattutto il gradevole “Heroikos” del 2013. In questi due dischi (soprattutto nel secondo) il sound del combo transalpino, si era basato su un heavy metal di stampo tradizionale, quindi influenzato da un lato dalla “old school” della New Wave Of British Heavy Metal, ma dall’altra parte presentava fortissime contaminazioni provenienti da altre correnti che spaziavano dal power-trash (di matrice “Iced Earth” per intenderci), al power teutonico (quindi “Helloween”, “Gamma Ray”, “Blind Guardian”, “Rage”), attraversando poi alcune atmosfere epic (e qui si possono riscontrare richiami ai vari “Manowar”, “Manilla Road” o “Virgin Steele”), fino a sfociare, a volte in lidi prettamente prog-sinfonico-orchestrali, come sapevano fare sapientemente i gloriosi “Savatage” ad esempio. Ovviamente, i suddetti confronti con tutte le band citate sono da prendere con le dovute distanze, altrimenti risulterebbero impietosi in quanto, come si può facilmente intuire, il risultato non è assolutamente il medesimo ottenuto dai grandi del passato, pertanto tali paragoni sono stati creati semplicemente per dare una vaga idea dello stile degli Stonecast.
Ma torniamo ad “I Earther”, il cui obiettivo principale probabilmente, è quello di risultare sin dall’inizio più graffiante e “power-oriented” rispetto ai precedenti album, come dimostra la opener , tutto sommato ben riuscita, “Captors Of Insanity” che sembra essere uscita direttamente da uno degli ultimi lavori degli Accept per il suo sound particolarmente solido e veloce. Tuttavia, il vero e proprio “tallone d’Achille” della band marsigliese, è la voce del frontman (non ce ne voglia) Franck “Kanon” Ghirardi , che spesso appare troppo debole e dotata di un’estensione vocale non eccelsa, i cui limiti emergono in maniera lampante in alcune tracce come “Goddess Of Rain” (dove il vocalist sembra tentare di “scimmiottare” addirittura Hansi Kursch dei Blind Guardian, con risultati alquanto imbarazzanti) o la successiva “The Cherokee”, entrambi pezzi musicalmente gradevoli che si reggono soprattutto sulle chitarre di Bob “Fliyng” Saliba e Seb “Cazu”Casula, autori di una buona prova, rovinati tuttavia parzialmente dalla prova del singer che spesso sembra soffrire sulle tonalità più alte o laddove dovrebbe maggiormente osare. In “The Earther” c’è da segnalare la presenza, come special guest, di Roy Z (chitarrista nei lavori solisti di “sua maestà” Bruce Dickinson) che dà vita ad un assolo davvero degno della sua fama, all’interno di una traccia caratterizzata da una sezione ritmica e melodica tipicamente “maideniana” (non potrebbe essere altrimenti considerato l’ospite presente). Nelle canzoni successive si torna su territori decisamente più power, come in “Animal Reign” che ricorda alcuni lavori dei tedeschi “Iron Savior”, mentre l’aggressività di pezzi come “Precipice To Hell” o “Resistence”, per quanto a tratti possano risultare anche brani piacevoli, non lascia il segno, come ad esempio era avvenuto per la opener. Probabilmente è la conclusiva “Stainless” l’episodio più riuscito dell’intero album, grazie alle sue melodie accattivanti ed alle ritmiche irregolari che alternano momenti più lenti ed altri più spediti, peccato come sempre per la voce che, anche in questo caso, manca di intensità ed espressività, musicalmente invece, il pezzo si fa apprezzare, grazie all’ottimo lavoro delle due chitarre.
In conclusione, si ha la sensazione che la band transalpina, rispetto al precedente “Heroikos” che, se da un lato non aveva inventato nulla di particolare, dall’altra parte si era fatto apprezzare per la varietà della sua proposta, in questo nuovo album, abbia fatto un netto passo indietro, puntando forse eccessivamente e soprattutto forzatamente su un sound più pesante, senza tuttavia avere i requisiti fondamentali (la voce in primis) per poter ottenere il risultato sperato, peccato davvero perchè, a tratti, il disco sembrerebbe anche funzionare, senza mai tuttavia decollare del tutto.


Recensione a cura di Ettore Familiari

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