Taint - The ruin of Nova Roma

Copertina 8

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2005
Durata:57 min.
Etichetta:Rise Above
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. THE SOUND-OUT COMPETITION
  2. ZEALOTS & WHORES
  3. HE GOT COP EYES
  4. DRUNKEN MARKSMAN
  5. THE IDOL / THE MEMORY
  6. THE RUIN OF NOVA ROMA
  7. AMARANTHINE
  8. I’M GOING TO KILL HENRY FORD
  9. POISON PEN ATTACK!
  10. COURS ET CONQUISTADORS

Line up

  • James “Jimbob” Isaac: guitar, vocals
  • Chris West: bass
  • Alex Harries: drums

Voto medio utenti

Insieme ai Capricorns, questa è un’altra produzione Rise Above che sotto certi aspetti si allontana dalla direttrice stoner/doom seguita fino ad oggi dalla label inglese. I Taint sono un trio gallese attivo fin dai primi anni ’90, ma è soltanto negli ultimi tempi che il terzetto ha trovato il modo di focalizzare bene la propria attitudine. Merito principalmente dei proficui contatti con quell’area heavy vitale e magmatica costituita da gruppi di svariata impostazione quali Converge, Cathedral, Acrimony, Iron Monkey, Spirit Caravan, e molti altri ancora in circolazione o meno.
I Taint si sono messi al lavoro per coniugare in ottica personale i nuovi spunti captati dai colleghi con le precedenti coordinate stilistiche, ed il risultato ottenuto è quello che emerge dal presente, sorprendente album.
Uno stile elaborato e corposo, ricco di trame articolate che in alcuni momenti possono ricordare qualcuno dei nomi con cui la band è venuta in contatto, ma nell’insieme risultano autonome, decise, forti di uno sviluppo poderoso e incalzante. Infiniti incastri di tasselli metal-core, sludge, doom, heavy stoner, rabbiosi strappi post-metallici combinati con ariose pause di tensione drammatica, ma ciò che più colpisce in positivo è l’eccitante corrente di cupo e fangoso groove che alimenta tutto il lavoro, agganciandosi alle teorie dei capiscuola Mastodon.
Non è difficile collocare i Taint sullo stesso piano di entità in crescita come Pelican, Kylesa o Mistress, ma anche nella scia di calibri ben più grossi ed affermati quali Tool, Isis o Neurosis. Proprio questi ultimi riconosceranno facilmente alcune loro intuizioni rielaborate in modo affascinante nello sviluppo avvolgente della strepitosa “Amaranthine”, maestoso percorso d’atmosfera capace di creare un crescendo emotivo quasi insostenibile, ed impreziosito da eleganti pennellate retrò-rock dalle tinte fosche e da un cameo vocale femminile degno di antichi ed illustri maestri.
Non meno interessanti e riusciti i brani dal tiro assai più violento ed ossessivo, vedi gli urticanti “The sound-out competition” e “I’m going to kill Henry Ford”, spezzettati da turbinose giravolte ritmiche, metalliche impennate tecniciste, vocals feroci, interludi fumosi e stonati, una miscela di contaminazioni assolutamente non lineari che mi azzarderei a definire metal-core progressivo, semmai esista qualcosa del genere.
Questo uso disinvolto delle influenze rende difficile contenere l’opera dei Taint entro confini precisi, il trio si diverte a cambiare spesso le carte in tavola ma giocando con consapevole astuzia. Una sfilza di variazioni di rotta, piccoli sussulti che non snaturano il contesto principale, facendo invece sembrare del tutto logico e coerente percorrere un tracciato che passa da un tempestoso heavy stoner alla Red Giant come “Zealots & whores” al massacrante, furibondo, annichilente ultra-metal di “Drunken marksman”, per tuffarsi poi nell’incanto delle nere spirali mantriche di “The idol / the memory”, macigno ipnotico che trasuda una disperazione da brividi, e finire per farsi catturare dalla raffinata trappola di una title-track che per nove minuti tesse la sua vischiosa ragnatela di criptiche vibrazioni dark, languidi cenni di melodie post-rock, rarefazioni cariche di mestizia e solenne pathos doom, canzone che può servire da comparazione per chi vuole suonare musica che trasmetta immagini e sensazioni realmente oscure.
Era un po’di tempo che non m’imbattevo in un disco di tale ridondante spessore, interamente composto da episodi che si colgono in tutti i loro dettagli solo con l’accumulo degli ascolti ma che allo stesso tempo possiedono una fluida struttura centrale accessibile in modo epidermico fin da una prima lettura superficiale. Un doppio livello di profondità estremamente difficile da ottenere, una semplicità nella complessità che tanti musicisti inseguono per una vita senza mai raggiungere, mentre i Taint hanno saputo catturare appena si sono messi a fare musica sul serio
Per quanto mi riguarda è già abbastanza per inserire “The ruin of Nova Roma” tra le cose più riuscite e stimolanti del periodo, oltre che per pronosticare al trio gallese un futuro da protagonisti della nuova generazione heavy.

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