Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2018
Durata:56 min.
Etichetta:Rockshots Records

Tracklist

  1. AMON
  2. MARCH OF DEMISE
  3. SACRA NOX
  4. THE GODDESS' SONG
  5. THE HERMIT
  6. FAERENUS
  7. PATIENT N° X
  8. JULY 5TH
  9. ETEREA EL

Line up

  • Zaira de Candia: vocals
  • Alessandro Dionisio: guitar
  • Alessio Intini: guitar
  • Francesco Loconte: bass
  • Dario Stella: drums

Voto medio utenti

La mia storia d'amore con i Kormak, formazione barese al debutto con "Faerenus" grazie alla Rockshots Records, non è iniziata propriamente nel migliore dei modi.

E' risaputo che chi vi scrive non nutra una particolare simpatia per le frontwoman che tentano di distogliere l'attenzione dell'ascoltatore (metallaro medio di sesso maschile e con ahimè ben poca materia grigia all'interno della scatola cranica, svuotata dal flusso sanguigno tutto impegnato molto più in basso) con i mezzi di cui la natura le ha dotate, e dove non arriva la natura arriva qualche altro mezzo o direttamente Photoshop.
La cantante, nonchè fondatrice, leader e dea ex machina dei Kormak, Zaira De Candia si era quindi presa i miei strali qualche mese fa per aver posato in maniera fin troppo generosa per le foto promozionali, per la precisione questa qui sotto:

Immagine


Dato atto dell'avvenenza e della sensualità della ragazza, rimane il fatto che a mio avviso questa foto non sia un buon biglietto da visita, peraltro offuscante totalmente il resto della band confinato dietro il decoltè.
Ma al contrario di molte sue colleghe che posseggono la stessa densità cerebrale del metallaro medio sopracitato, la signorina in questione invece di lamentarsi sui social ha cercato il mio contatto, mi ha scritto con educazione ma risolutezza, ha spiegato le sue ragioni in maniera ferma, invitandomi ad un ascolto non condizionato ed è quello che mi sono apprestato a fare in occasione dell'arrivo del promo di "Faerenus", in ogni caso rimanendo decisamente sorpreso e lietamente soddisfatto per l'atteggiamento serio e propositivo della De Candia.

E, alla luce di numerosi ascolti della loro opera prima, direi che di "tutta forma senza sostanza" nei Kormak non ve n'è traccia, anzi casomai tutto l'opposto. Rimane a mio avviso una foto che non rende merito alla serietà della proposta dei Kormak ed anzi rischia di gettare discredito aprioristico sulla loro musica, ma di certo "Faerenus" non è un disco dal facile ascolto, al contrario richiede numerosi attenti ascolti per non inciampare facilmente nei numerosi scalini dettati dai comprensibili difetti e dalle scelte coraggiose ma talvolta azzardate della band barese, nonchè dalla sua intrinseca natura non propriamente di palese accessibilità data dal concept album.

Il folk metal dipinto nei 55 minuti a loro disposizione è piuttosto variegato, alternandosi in momenti dal sapore celtico, altre volte più direzionato verso il gothic, od ancora talvolta di fronte un'epica medievaleggiante o momenti più gravi, dettati da un growl certamente non convincente (sapete tutti della mia idiosincrasia per le vocals estreme femminili) come quando usa in maniera più che adeguata la sua voce da soprano.

Detto questo, "Faerenus" è un album altalenante, che presenta sprazzi decisamente convincenti ad altri in cui il nostro sguardo fissa in maniera vacua un muro bianco, in attesa di una spiegazione che non arriverà mai.

I famigerati 17 minuti di vuoto all'interno del brano "The Hermit" (su una durata totale di 22) su cui la band sta incoraggiando tramite social gli ascoltatori alla ricerca del significato - di cui sono certo dell'esistenza - sono probabilmente il punto più alto dell'esagerata presunzione che accompagna "Faerenus"; sono il primo ad esaltare la ricercatezza di un'opera metal ed a scoraggiare gli album usa-e-getta di matrice pop che purtroppo infestano sempre più la nostra musica, ma arrivare a tanto - peraltro senza possedere lyrics o altro nel nostro caso - è decisamente troppo ed in ogni caso qualsiasi motivazione profonda non giustificherebbe quasi 20 minuti di silenzio piazzato a metà su un disco che arriva globalmente a 56.

Al netto di ciò, il rovescio della medaglia è che i Kormak questo disco l'hanno pensato, scritto, valutato e rivalutato un migliaio di volte, e si sente. Fin dall'iniziale "March of Demise" (escludendo l'inquietante bisbiglio di "Amon") si avverte una gran cura ed un rispetto per la musica superiore a quello di tanti colleghi, e questa sensibilità sinceramente me la aspettavo da chi si cimenta anche in arte teatrali ed altre attività.
Sebbene a volte gli intermezzi acustici spezzino troppo il ritmo, l'incedere rabbioso del brano, misto ai vocalizzi lirici della De Candia, restituiscono un mix valevole che diventa ottimo nella seconda parte con una bella accelerazione, purtroppo nuovamente svilita dall'ennesimo arpeggio, limitazione più grande (a mio avviso) del folk metal.

Si fa meglio con la successiva "Sacra Nox", introdotta da suoni di flauto - anch'esso suonato dalla cantante - per poi deflagrare in un brano dalle connotazioni poweristiche che come maggior pregio presenta delle linee vocali inaspettate ma convincenti, specie nel chorus riverberato e se vogliamo anche molto ottantiano sia come stile sia come effetto, nonchè da un finale e da un assolo più classico in cui i Kormak dimostrano che potrebbero dire la loro anche come band simil-Kamelot (degli esordi).

"The Goddess Song", il brano presentato su Youtube lo scorso marzo, ha il solo difetto di presentare il growl di cui abbiamo già parlato, per alcuni sarà gradevole, personalmente lo trovo detestabile e va a rovinare quello che c'è di buono e di maestoso nel resto della traccia (basata su un'idea semplice ma efficace) ma d'altronde lo stesso accade per la già citata "The Hermit", brano acustico gradevole trasformato in un interminabile silenzio, spezzato da sirene aeree o rumori di sottofondo, incomprensibili per i normodotati.

"Faerenus" scorre via in questo modo per altri sedici minuti, a volte apprezzabili, a volte noiosetti, talvolta illuminati, talvolta oscuri e zoppicanti, passando dalla furia quasi death metal della titletrack e di "Patient n° X" (la prima decisamente sopra le righe se non fosse per quel...ok lo avete capito), alla delicatezza di "July 5th", già sentita ma assai intensa, in cui la De Candia in un trionfo di epicità porta al limite la propria ugola in un tripudio di doppia cassa e assoli sempre gradevoli.

Quindi che cosa auguriamo o raccomandiamo ai Kormak?
Proprio nulla, se non di continuare a considerare la musica (metal nel nostro caso, ma non solo) come arte, come già stanno facendo. Per una volta, il risultato non è l'unica cosa che conta ed in questa danza di pregi e difetti sta all'ascoltatore guadagnarsi il proprio posto.

Recensione a cura di Gianluca 'Graz' Grazioli

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