Copertina 7

Info

Anno di uscita:2018
Durata:47 min.
Etichetta:Malpermesita Records

Tracklist

  1. OCEAN
  2. MOUNTAIN
  3. A FOREST (THE CURE COVER)
  4. DESERT

Line up

  • Steph: Guitars
  • Arnaud: Bass
  • Michel: Drums
  • Kaz :Guitars
  • Mélanie: Vocals
  • Dahl: Vocals
  • Venema Amenev :Keyboards

Voto medio utenti

Tristezza mia dolce e sola compagna!
Questo era il leitmotiv del filone death/doom decadente dei primi anni 90 la cui nascita aveva fatto conoscere al mondo la musica penetrante di Paradise Lost, Anathema, My Dying Bride e Theater of Tragedy, musica la cui impronta è ancora fresca nella memoria collettiva tant’è che ancora oggi dopo 20 anni troviamo band che si rifanno allo stile ed alle sensazioni di quel periodo.

Quest’anno ci è già capitato di ascoltare il sublime lavoro dei greci On Thorns I Lay che con “Aegean sorrow” sono riusciti a dare una boccata d’aria fresca ad un genere fin troppo autocelebrativo, ora invece è il turno dei belgi Fading Bliss cercare di far vibrare le corde del nostro cuore metallico con “Journeys in solitude”, successore di “From illusion to despair” uscito nel 2013.

Quattro canzoni, ciascuna della durata molto importante (la più breve, “Mountain” sfiora i nove minuti e la conclusiva “Desert” va oltre i sedici per intenderci) di cui la terza traccia è l’elettrica, doomeggiante ed allungatissima cover dei Cure Forest” (l’originale dura poco più della metà), ed in cui il settetto ci fa capire di aver appreso diligentemente la lezione impartita dai maestri del genere cristallizzandone la dottrina musicale fatta di alternanza fra voce maschile e femminile (Dahl e Melanie), melodie decadenti e malinconiche linee di tastiera.

Se già siete habitué del genere avrete già intuito che la band non esce dalla propria zona di comfort manco con le cannonante, eppure schiacciare il tasto stop del proprio lettore diventa estremamente difficile, perché i Fading Bliss hanno l’abilità di ipnotizzare con la forza di semplici melodie suadenti

Desert”, l’ultima traccia del cd, è quella più influenzata dai Tiamat più onirici e, probabilmente, quella meglio riuscita di “Journeys in solitude” e in cui l’alternanza fra il cantato growl e quello etereo si equilibrano al meglio.
Niente di nuovo sotto il sole (estivo) ma fatto con genuina sincerità, non ci resta che aspettare le giornate uggiose per poterlo apprezzare nella sua pienezza.

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