Copertina 6

Info

Genere:Prog Rock
Anno di uscita:2005
Durata:46 min.
Etichetta:Inside Out
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. PRELUDE: TIME AND PRESSURE
  2. A FLIGHT ON ANGELS WINGS
  3. TO MY BELOVED
  4. DON'T YOU EVER HURT?
  5. SOME SANE ADVICE
  6. LET THE HAMMER FALL
  7. WAITING IN LINE
  8. SOMEDAY
  9. MY DYING WISH
  10. A FISTFUL OF BENDED NAILS
  11. THE LONG RIDE HOME

Line up

  • Deavon Graves: lead vocals, guitars, flute
  • Adel Mustafa: drums
  • Roland Venz: bass
  • Rollz Kerschbaumer: guitars

Voto medio utenti

Più che una band vera e propria i Dead Soul Tribe si identificano nella figura enigmatica e poliedrica dell'ex Psychotic Waltz Devon Graves (all'anagrafe Buddy Lackey, californiano trasferitosi a Vienna 7 anni fa per motivi sentimentali), che in tempo record prima registra le parti strumentali (aiutato solo dal fido drummer Adel Mustafa), poi lavora ai testi e combina il tutto nel suo studio professionale per questo quarto lavoro che non sfugge ai canoni tipici impostati in precedenza, a parte un più consistente apporto sonoro per quanto riguarda il drumming (doppie percussioni, ritmiche tribali ed etniche per le quali si è ricorso anche all'uso di strumenti tradizionali), qualche concessione all'elettronica inserita nel contesto metal (come in "My dying wish"), i soliti sottili strati di tastiere ed il flauto traverso (strumento suonato da Graves già negli Psichotic Waltz e qui presente nell'heavy sostenuto di "The long way home" dove si ritaglia un interludio con basso e batteria degno delle migliori cose dei Jethro Tull ed in "Waiting in line", altro grande tributo alla band di Anderson inserito in strutture più moderne). Malinconia, tristezza, ritmi ipnotici e rabbiosi, un sound che attinge sia dal rock anni '70 dei Doors, Black Sabbath e Jethro Tull che dai più moderni Tool passando per il dark, l'ambient, l'industrial, l'etno rock ed il minimalismo, grande ricerca ed originalità di stile tradita da due brevi plagi (uno dei quali Graves giura di non aver mai ascoltato), il primo riprende con toni più lenti un passaggio di "Bridge" dei Queensryche ("To my beloved"), il secondo, più evidente, copia un po' il riff di chitarre di "Wasted years" dei Maiden facendolo con violini e percussioni mentre la chitarra segue un altro ritmo ("A fistful of bended nails"), a parte questo nei brani prevale il forte contrasto tra le atmosfere più cupe e gli sfoghi aggressivo-rabbiosi in cui si inseriscono massicciamente la batteria ed il basso che trovano la massima espressione in "A flight on an angel wings" (dove il cantato di Graves alterna tonalità molto vicine a Ian Anderson ad altre più urlate ed angoscianti), fanno eccezione la dolce ballad "Some sane advice" in cui il refrain corale sorretto da chitarre elettriche spezza l'atmosfera acustica e la breve malinconica "Someday" (voce e piano con sottile orchestrazione). Il lavoro di Graves alla ricerca di sonorità sempre più complesse ed atipiche ha compiuto un ulteriore passo avanti, ma in questo campo credo siamo ancora lontani dai risultati ottenuti circa 10 anni fa dai primi due dischi dei Saviour Machine in cui la combinazione di elementi dark, gotici, progressive e metal aveva raggiunto vette ancora adesso inviolate, per cui consiglio il disco ai soli fans della band, che dagli inizi del prossimo anno dividerà il palco nel tour europeo con i Sieges Even (Italia? Neanche per sogno, a meno di qualche miracolo).
Recensione a cura di Carlo Viano

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