Copertina 7

Info

Anno di uscita:2018
Durata:54 min.
Etichetta:Nuclear Blast Records
Distribuzione:Warner

Tracklist

  1. HEART AND SOUL
  2. WARRIOR
  3. TAKE ME TO THE CHURCH
  4. NIGHT MOODS
  5. THE GIRL WITH THE STARS IN THEIR EYES
  6. EVEREST
  7. MESSIN' AROUND
  8. TIME KNOWS WHEN IT'S TIME
  9. ANCHORS AWAY
  10. SALVATION
  11. LIVIN' A LIFE WORTH LIVIN'
  12. THE LAST SUPPER

Line up

  • Michael Schenker: lead and rythm guitars
  • Gary Barden: vocals
  • Graham Bonnet: vocals
  • Robin McAuley: vocals
  • Doogie White: vocals
  • Steve Mann: guitar, keyboards
  • Chris Glen: bass
  • Ted McKenna: drums

Voto medio utenti

Che Michael Schenker sia un tipo particolarmente estroso, se vogliamo definirlo così, è cosa nota, così come altrettanto noto è il suo caratterino difficile che lo ha portato negli anni a cambiare membri in line up con una semplicità e una velocità disarmante. Altro lato del suo essere che lo ha da sempre caratterizzato è l’insofferenza con la quale il nostro ha negli anni affrontato la vita, e che lo ha portato ad alternare periodi di grande prolificità compositiva ad altri di stanca, oltre che a lunghi periodi di incertezza nei quali neanche lui sapeva bene cosa fare della propria carriera. Tra rifiuti eclatanti (Ozzy Osbourne, Aerosmith, Deep Purple) e riproposizioni dei suoi M.S.G., negli ultimi anni è arrivato a produrre dischi con i moniker più disparati, quando sarebbe bastato semplicemente licenziarli a nome Michael Schenker. Non ultimo questo Michael Schenker Fest, che ha seguito di poco Michael Schenker’s Temple Of Rock e che inizialmente doveva essere soltanto il nome di una tournee, ma che è evoluto in un vero e proprio album in studio.

Al di là di queste considerazioni frivole, questa volta il biondo axeman ha fatto le cose veramente in grande. Così come prevedeva la tournee, anche su disco ha deciso di farsi accompagnare dai tre singer storici del M.S.G., e cioè Graham Bonnet, Robin McAuley e Gary Barden, nonché dall’ultimo cantante che lo aveva affiancato nel progetto Temple Of Rock, e cioè Mr. Doogie White. Mica pizza e fichi, come direbbe il saggio… Non lasciatevi distrarre però da questo particolare, il disco merita di essere ascoltato al di là della grandezza dei quattro cantanti, in quanto Michael Schenker ha dato di nuovo sfoggio delle sue capacità, infilando una serie di brani che convincono dall’inizio alla fine, e il titolo “Resurrection” non credo proprio sia stato scelto a caso…

Le coordinate lungo le quali si muove il disco sono le solite alle quali ci ha abituato l’estroso chitarrista, quindi un hard rock di estrema classe e marcatamente teutonico, alternato a momenti leggermente più A.O.R. ed altri più vicini al class metal. In ogni caso il risultato convince appieno, e se l’album non fa di certo gridare al miracolo (siamo comunque lontani dai fasti dei vecchi tempi), la sufficienza è abbondante e meritata, e il lavoro di Schenker alla sei corde è come sempre impeccabile!

Come ha sfruttato Michael le potenzialità dei quattro marpioni dietro il microfono? Lasciando ad ognuno la libertà di esprimersi nei brani che più si adattavano alle proprie corde vocali. Ecco quindi che a Bonnet vengono lasciati gli episodi più melodici, a White quelli più heavy e tirati, a McAuley quelli più grintosi, e a Barden quelli più rockeggianti. Ognuno di loro, naturalmente, viene accompagnato dagli altri nei cori, mentre se volete ascoltarli tutti insieme non vi resta che premere play e far partire “Warrior” e “The last supper” e godere delle loro ugole d’oro…

Detto di una produzione assolutamente all’altezza ad opera del solito Michael Voss e del buon lavoro dei comprimari (Steve Mann alla chitarra ritmica e alle tastiere, Chris Glen al basso e Ted McKenna alla batteria), non mi resta da segnalare che la presenza di Kirk Hammett, da sempre fan di Schenker, che sciorina un bell’assolo nell’opener “Heart and soul”, come ciliegina sulla torta di un disco che farà la felicità degli amanti di certe sonorità di classe, grazie a brani di sicuro valore come la rocciosa “Everest”, le già citate “Warrior” e la ruffiana “The last supper”, “The girl with the stars in her eyes”, la magniloquente “Anchors away”, la micidiale strumentale “Salvation”.

In definitiva, come già detto, “Resurrection” è un signor disco, concepito da un signor chitarrista, che al netto dei suoi capricci e dei suoi chiari di luna è ancora in grado di dare lezioni alle nuove leve, nonché di confezionare una serie di brani che dimostrano, se ancora ce ne fosse bisogno, la sua immensa classe e il suo innato gusto chitarristico…
Recensione a cura di Roberto Alfieri

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