Copertina 7

Info

Anno di uscita:2017
Durata:39 min.
Etichetta:Minotauro Records

Tracklist

  1. JUST REVOLUTION
  2. MANGROVE BLUES
  3. TRAIL OF THE SEVEN SCORPIONS
  4. IMPERATOR
  5. INFINITE
  6. GHOST OF THE WIDOW MCCAIN

Line up

  • Magnus Rehnman: drums, backing vocals
  • Per Clevfors: guitars, backing vocals
  • Mikael Olsson: bass, keyboards
  • Björn Wahlberg: vocals, guitars

Voto medio utenti

Arriva dalla Svezia (dalla città di Umeå, per la precisione …) l’ennesima “sorpresa” in ambito heavy rock/doom metal, prende il nome di Grand Delusion e con questo “Supreme machine”, edito dalla nostrana Minotauro Records, offre un’immagine di sé piuttosto potente ed evocativa, in un clima di tetra, epica e visionaria battaglia sonica tra i fiordi.
La ferale ascia vichinga, in realtà attiva dal 2011, colpisce istigata da “antichi” sovrani quali Black Sabbath, Budgie e Candlemass, ma non dimentica al contempo Grand Magus (soprattutto i primi, …), The Sword e Horisont, mescolando con una certa personalità “passato” e “presente” del genere e districandosi con abilità e temperamento tra melodie sulfuree e mordaci, distorsioni hard-blues e riverberi psichedelici.
I brani sono sufficientemente elaborati e gli egemoni toni gravi e tenebrosi su cui sono costruiti non disdegnano di attingere alla NWOBHM e al power/epic metal allo scopo di ottenere piccole interessanti diversioni, non spiccatamente “originali”, se vogliamo, eppure capaci di procurare un notevole impatto emotivo.
Si comincia con il riff magnetico e il cantato a due voci di “Just revolution”, per poi passare al groove denso e colloidale di “Mangrove blues”, seguito dalla struttura articolata ed enfatica di “Trail of the seven scorpions”, dove, immerse tra i copiosi flutti Sabbath-iani, si riescono a scorgere le effigi di Maiden e Pink Floyd.
L’epos guerriero e le intonazioni eroiche di “Imperator” si schiudono ai sinistri impulsi “cosmici” concessi a “Infinite”, mentre con la conclusiva “Ghost of the widow McCain” si assiste a un intrigante esperimento di southern/stoner, quasi si trattasse di un pezzo suonato dai Monster Magnet dopo una scorpacciata di pollo fritto, pannocchie e carne alla griglia, ospiti di qualche generoso moonshiner del Tennessee.
L’inesauribile fucina scandinava esibisce un altro valoroso interprete della “scena”, che piace per la sua sanguigna consistenza artistica e per la tensione espressiva che riesce a elargire nonostante il “rigore” dell’appartenenza stilistica. Bravi.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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