Copertina SV

Info

Anno di uscita:2017
Durata:47 min.
Etichetta:Self-Produced

Tracklist

  1. RUSHLIGHT
  2. LADY OF THE LAKE
  3. NEVER AGAIN
  4. NOT FOR THE FIRST TIME
  5. MOLEHILL
  6. WHAT DO YOU SAY
  7. OPHELIA
  8. WALK AWAY
  9. OBEY ME
  10. UNPOLISHED PEARL
  11. HIGH HEEL SHOES
  12. ALL THAT THINKING
  13. ROSES

Line up

  • Jess Kennedy: piano, flute, backing vocals, extra parts, soundscapes
  • Amy Birks: lead and backing vocals
  • Amanda Alvarez: cello
  • Robyn Hemmings: double bass
  • Anna Jenkins: violin, viola

Voto medio utenti

Sono determinate e vengono da Londra le Beatrix Players, trio di estrazione classica dedito alla composizione di canzoni a cavallo tra folk, cantautorato, prog, pop e musica barocca. L'impegno ce lo mettono, non c'è che dire (e la produzione cristallina ne è la dimostrazione) ma il risultato, oggettivamente, non è sempre all'altezza delle aspettative...

L'introduttiva "Rushlight" ricorda Tori Amos in versione dark: le armonie non reggono il confronto con la cantante statunitense ma gli arrangiamenti denotano indubbio buon gusto. "Lady Of The Lake" è elegante, e spicca per il pianoforte ipnotico di scuola Nyman, prima della più propriamente pop "Never Again". "Not For The First Time" si muove sulla stessa lunghezza d'onda, privilegiando intrecci vocali più elaborati, e prelude alla bella e riuscita "Molehill", terzinato equilibrato e avvolgente vicino alla musica per il cinema. "What Do You Say", ispirata dall'opera di Philip Glass, ruota attorno all'ostinato del contrabbasso, mentre la successiva "Ophelia", nonostante il rullante marziale, tributa a suo modo Enya e il suo sound. "Walk Away" è ripetitiva e poco interessante, e fa il paio con "Obey Me", più folkeggiante ma comunque troppo prolissa. "Unpolished Pearl" aggiunge al mix qualche (timida) timbrica di derivazione sintetica scontrandosi con la monotonia della breve "High Heel Shoes". Va decisamente meglio con "All That Thinking", tanto semplice quanto struggente, in contrasto con la conclusiva "Roses", dove la dinamicità della scrittura vince sulla pochezza della sostanza.

Sarà la strumentazione ridotta - o la precisa volontà del combo - fatto sta che questo disco è sì rilassante ma spesso ai limiti del soporifero. "Magnified" è eccessivamente borderline per poter dare un voto, ma sono certo che il messaggio che volevo mandare sia passato forte e chiaro...

Recensione a cura di Gabriele Marangoni

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