Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2017
Durata:52 min.
Etichetta:Season Of Mist

Tracklist

  1. STAY
  2. SURRENDER
  3. BUBBLES
  4. TOMORROW
  5. TETHER
  6. SLEEPING IVY
  7. DOES IT MATTER HOW FAR?
  8. FOREWORD
  9. NEON
  10. GABRIEL
  11. KITES

Line up

  • Rafał Biernacki: vocals, keyboards
  • Jakub Żytecki: guitars
  • Bartosz Wilk: bass
  • Mike Malyan: drums

Voto medio utenti

Ai Disperse la personalità non manca di certo: fanno progressive metal ma prediligono le tracce brevi; sanno indubbiamente padroneggiare i propri strumenti ma evitano (quasi) sempre di strafare. Eppure si percepisce in modo chiaro e inequivocabile questa "voglia di piacere a tutti i costi" che alla lunga sembra più un'arma a doppio taglio che un plus...

Sarà il corposo (talvolta invadente) substrato di campionamenti di scuola wilsoniana, la vena melodica pronunciata che mi ha ricordato i Frost*, ma questo "Foreword", nonostante sia un buon disco, non mi ha fatto pensare "oh, ecco il futuro della mia musica preferita!".

Già "Stay", poco spigolosa ma ben arrangiata, suona come se avesse "il freno a mano tirato", con i musicisti liberi di sfogarsi solo in fase solistica. Gli echi di Pain Of Salvation e Dream Theater di "Surrender" anticipano la convincente "Bubbles", minimal e moderna allo stesso tempo. "Tomorrow" è lineare nella struttura, ma dinamica e ansiogena nell'esecuzione, e contrasta con la groveggiante "Tether", dal sapore Eighties. "Sleeping Ivy", con i suoi tratti fusion, è più elaborata, e si caratterizza per il pregevole chitarrismo di Żytecki e per gli eleganti timbri tastieristici di Biernacki. La lunga e sospesa "Does It Matter How Far?" riporta ai King Crimson degli Anni Ottanta, prima del breve interludio "Foreword" che sfocia in un'altra traccia groovy dalle buone aperture elettriche ("Neon"). "Gabriel" prosegue sulla stessa lunghezza d'onda, tra tentazioni heavy e compromessi mainstream, portandoci alla conclusiva "Kites", dove in pochi minuti ricompaiono tutti gli elementi costitutivi del full-length.

Per carità, i brutti dischi sono altri, ma sono abbastanza certo che sarebbe bastato poco di più per sfornare un capolavoro... mi sbaglierò?

Recensione a cura di Gabriele Marangoni

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