Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2017
Durata:40 min.
Etichetta:Self-Produced

Tracklist

  1. EINSTEIN SPEECH
  2. BURIED TREASURE
  3. THE RING OF POWER
  4. EVERYTHING DIES
  5. THE STONEHUNTER
  6. A BLANKET OF STARS
  7. MAGNITUDES
  8. BROKEN MIRROR
  9. THE THEATER OF SILENCE

Line up

  • Simone Terigi: guitars, backing vocals
  • Alessio Calandriello: lead vocals
  • Gianluca Eroico: bass
  • Paolo “Paolo” Tixi: drums
  • Martina White: backing vocals
  • Andrea Cardinale: first violin
  • Sylvia Trabucco: second violin
  • Sara Calabria: viola

Voto medio utenti

Definirei “intrigante” questo album dei Lucid Dream di Simone Terigi, rimasti orfani del dimissionario Paolo Raffo (sostituito per l’occasione dal session-man Paolo Tixi).

“Otherwordly” prosegue il concept iniziato con il precedente “The Eleventh Illusion” (rimando al sito della band per approfondimenti) ed è un buon lavoro heavy-prog a cavallo tra i primissimi Rush (quelli fino a “2112” per capirci) e i Queensrÿche delle origini, con un pizzico di hard rock/heavy metal “ruspante” di scuola Eighties (oltre ai Maiden, scomoderei addirittura gli Europe pre-“The Final Countdown” per certe soluzioni melodiche e alcuni riff).

Dopo l’introduttiva “Einstein Speech” (dove sentiamo la voce dello scienziato tedesco), è la volta di “Buried Treasure” che, oltre a esemplificare quanto scritto sopra, ci offre un ottimo break strumentale gustoso e privo di inutili sbrodolate iper-tecniche. “The Ring Of Power”, con un Alessio Calandriello sugli scudi, prosegue sulla stessa linea d’onda e anticipa la più aggressiva “Everything Dies”, dall’incipit marcatamente progressivo. Discorso simile si può fare per la successiva “The Stonehunter” (dove ho percepito echi di “A Passage To Bangkok”), cui segue “A Blanket Of Stars”, di fatto la coda del brano appena ascoltato lasciata alle chitarre acustiche. Da qui in poi i riferimenti vanno, a mio avviso, a esperienze progressive più vicine nel tempo: “Magnitudes” mi ha ricordato i Pain Of Salvation di inizio millennio, “Broken Mirror” ha il piglio epico dei Dream Theater meno recenti e la bellissima traccia strumentale “The Theater Of Silence” (dove compare un trio d’archi) chiude alla grande un lavoro breve ma assolutamente convincente.

È giusto ripeterlo ogni tanto, si sa mai che ci dimentichiamo: viva l’Italia!
Recensione a cura di Gabriele Marangoni

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