Copertina 7

Info

Anno di uscita:2017
Durata:48 min.
Etichetta:Pride & Joy Music

Tracklist

  1. SAME OLD SONG
  2. LET’S GET SERIOUS
  3. SPREAD IT ALL AROUND
  4. FEEL LIKE LETTING GO
  5. BETTER THIS WAY
  6. WELCOME TO THE REVOLUTION
  7. HIGHER THAN HIGHER
  8. LONGTIME COMIN’
  9. WHERE DO WE GO FROM HERE
  10. NECESSARY PEOPLE
  11. BEST FOR ME
  12. OH WHY

Line up

  • Jimi Anderson: vocals
  • Sandy Jones: bass, guitars, drums
  • Greame Duffin: lead guitars

Voto medio utenti

Il vero valore aggiunto del progetto Jimi Anderson Group è la voce di Jimi Anderson. Punto. Questo cantante scozzese è in giro dal lontano 1978, e a sentirlo non si direbbe, tanto suona potente e presente la sua ugola.

Sì, è vero, le composizioni di “Long Time Comin’” in fin dei conti ricalcano pedissequamente le orme dei vari David Coverdale e Ronnie James Dio (e in certi frangenti pure Jon Bon Jovi e Bryan Adams), ma bisogna riconoscere a Jimi il merito di averci creduto abbastanza da produrre un discreto album di hard rock melodico per onnivori del genere.

Apre le danze la solare (e ruffiana quanto basta) “Same Old Song”, dove il nostro si diverte a tributare la vocalità del sommo Ronnie James. Il groove di “Let’s Get Serious” anticipa la più pop e mainstream “Spread It All Around”, comunque riuscita. “Feel Like Letting Go” ha un ritornello molto simile a quello di “Straight From The Heart” di un sopraccitato rocker canadese, e “Better This Way” (la lacrimuccia scappa già dopo i primi venti secondi) non può non rimandare al medesimo cantautore. “Welcome To The Revolution” è un episodio grintoso, che mostra il lato più scanzonato di Jimi, mentre la successiva “Higher Than Higher” aggiunge qualche lievissima (e non necessaria) sfumatura elettronica. La titletrack e “Where Do We Go From Here” “puzzano” di Serpente Bianco lontano un chilometro (la seconda è un mezzo plagio di “Here I Go Again”, pure nel titolo), contrastando con la più moderna (o meno nostalgica, fate voi) “Necessary People”. “Best For Me” è probabilmente l’anello debole del full-length (un filler insipido con le tastiere in evidenza vicino ai Rainbow degli Anni Ottanta) e prelude alla conclusiva e blueseggiante “Oh Why”, dal refrain curioso ed elaborato nell’arrangiamento.

C’è chi non è fatto per essere originale a tutti i costi. E a volte può anche andare bene così…
Recensione a cura di Gabriele Marangoni

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