Copertina 7

Info

Anno di uscita:2005
Durata:50 min.
Etichetta:Atenzia
Distribuzione:Frontiers

Tracklist

  1. THINKING ABOUT THINGS THAT WILL NEVER BE
  2. I THOUGHT ABOUT YOU
  3. THE TRUTH IS
  4. IF I ONLY KNEW
  5. BABY COME DOWN
  6. THE COLOURS SHOW
  7. I WILL GET OVER YOU
  8. BROKEN MAN
  9. HEAVEN ONLY KNOWS
  10. THE SWEETEST SIN
  11. LONELY IS THE DARK
  12. STOP THE WORLD FROM TURNING

Line up

  • Danny Malone: vocals, guitar
  • David Zychek: guitar, bass
  • David Prater: drums

Voto medio utenti

Il 1989 fu, per il rock-FM, un anno davvero prolifico e rappresentò, vista la qualità dei suoi protagonisti, una sorta di vero e proprio momento di “stato di grazia” del genere.
Drive She Said, Danger Danger e da lì a poco anche i favolosi Signal (in realtà erano i primi mesi del ’90, se non sbaglio), tanto per fare qualche nome, testimoniano felicemente quanto appena espresso e accanto a queste band apparentemente sconosciute, ma in realtà nuovi mezzi espressivi per personaggi piuttosto noti (Ted Poley ex Prophet, per i Danger Danger; Mark Mangold di fama American Tears e Touch, per i Drive She Said, Mark Free proveniente dai King Kobra e Jan Uvena drummer già per Alice Cooper e Alcatrazz, per quanto concerne i favolosi Signal), anche un gruppo completamente ”inedito” dalla singolare denominazione Diving For Pearls, il quale sostiene agevolmente, con il suo debutto autointitolato, il confronto con tali “maestri” del settore, diffondendo un AOR creativo ed intenso, ben lontano dalla superficiale e semplicistica duplicazione stilistica.
A governare quell’esordio, la strepitosa e sfaccettata laringe di Danny Malone, la stessa che ritroviamo saldamente al timone di questo rientro, dopo una “piccola” pausa di riflessione durata, in fondo, “solamente” sedici anni, in un disco licenziato sotto il marchio della nordica Atenzia Records.
“Texas”, questo il titolo del cd, è un dischetto molto gratificante, che indubbiamente, come spesso accade in situazioni come queste, non raggiunge del tutto il livello del suo predecessore, cercando anzi, con audacia, di affrancarsi da quest’inevitabile comparazione, optando più volte per un approccio maggiormente “moderno” (una scelta che non sempre “paga”), ma quello che si può immediatamente rilevare è che gli anni non hanno minimamente diminuito le capacità espressive e la caratura dei registri del buon Danny, autore di una prova maiuscola.
In realtà, il prologo, con “Thinking about things that will never be”, non è che sia esattamente esaltante; il brano è “caruccio” nella sua vitalità e nel dinamico supporto ritmico, ma anche un po’ troppo scontato, mentre è sufficiente ascoltare la bellissima melodia di “I thought about you” per ritrovare in maniera più convincente i Divin’ che conoscevamo e lo stesso fenomeno si ripete nella deliziosa ballata Waite-iana (il mitico John è sempre stato un credibile orientamento interpretativo per il nostro Malone) “The truth is”, nelle stratificazioni vocali e nel lussureggiante tessuto musicale di “If I only knew” e ancora nella superba “Heaven only knows”.
Non si tratta, però, come anticipato, di una semplice operazione “revival-istica” e la pulsante “The colours show”, l’emozionale “I will get over you” e la dolcezza caleidoscopica di “The sweetest sin”, dimostrano che i Diving For Pearls possono dire la loro con ottimi risultati, anche “aggiornando” quel suono, già di per sè incredibile, che li aveva resi grandi.
Leggermente inferiore l’ispirazione di “Baby come down” e del melodic-hard “Lonely is the dark”, mentre l’ulteriore episodio soft del platter, “Stop the world from turning”, è, in effetti, abbastanza canonico nelle sue atmosfere bluesy, ma altresì contraddistinto, ancora una volta, da un’esemplare performance del singer, tale da renderlo un “numero” alquanto rilevante.
Dopo aver tessuto le meritate lodi di Malone, non si può non incensare anche il grosso lavoro di David Prater (che aveva già prodotto l’omonimo debut album e l’unico, a detta del cantante di Boston, in grado di far “funzionare” al meglio la sua voce) in sede di produzione, svolto con la consueta abilità.
Nonostante l’affollamento d’uscite (e una copertina non troppo adeguata), credo che snobbare “Texas” possa essere un errore; senza essere un acquisto imprescindibile, ha tutte le carte in regola per piacere parecchio, a patto che non si sia eccessivamente “nostalgici” e si superi la diffidenza nei confronti di queste operazioni di “riapparizione”, in effetti, forse divenute un po’ troppo frequenti per risultare sempre completamente genuine.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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