Copertina 7

Info

Anno di uscita:2005
Durata:32 min.
Etichetta:Livewire
Distribuzione:Frontiers

Tracklist

  1. SPACE & TIME
  2. GIMME SUM SKIN
  3. ENEMY
  4. JESUS COWBOY
  5. CAN'T GET HIGH
  6. TRAIN 2 NOWHERE
  7. SHAPE OF THINGS 2 COME
  8. PEACH
  9. 20TH CENTURY BOY
  10. PRICE OF LOVE

Line up

  • Tim Karr: lead vocals, guitar, bass
  • Gilby Clarke: guitars, piano, mellotron
  • Ryan Roxie, John E. Love: guitars
  • Eric Singer, Chad Stewart, Brian Tichy, Andy Kaamen: drums
  • Johnny Griparic, Muddy Stardust: bass
  • Teddy Zig Zag: organ, keyboards
  • Jonathan Elias: strings, piano

Voto medio utenti

All’epoca del suo apprezzato e promettente esordio da solista (“Rubbin’ me the right way” ’89, EMI Records), erano in molti a pronosticare per l’ex Traitor Tim Karr (sostenuto nella sua esibizione anche da un tutt’altro che trascurabile “physique du role”) un luminoso e “remunerativo” futuro artistico.
I fatti dimostreranno purtroppo che la previsione non troverà sostanziali conferme e dopo un secondo disco (“Everybody bleeds” del 1997) senza grossi clamori, il ritorno (quante volte, negli ultimi tempi, abbiamo dovuto scrivere questa parola?) di Mr. Karr si affida al monicker Triggerdaddy e a questo disco, “Stereosonic meltdown”, che lo vede affiancato da un bel gruppetto di nomi più o meno noti, appartenenti al variopinto carrozzone del rock biz.
Eric Singer e Gilby Clarke (che si occupa anche di tutte le fasi di registrazione e produzione) innanzi tutto, ma poi anche Johnny Griparic (Slash’s Snakepit), Muddy Stardust (Gilby Clarke Band, L.A. Guns, Starfuckers) Teddy Zig Zag (Guns n’ Roses), Ryan Roxie (Alice Cooper), Brian Tichy (Billy Idol), Chad Stewart (Faster Pussycat) e Jon E. Love (Love/Hate) sono tutti strumentisti che hanno goduto dei classici “quindici minuti di popolarità” di Warholiana memoria (per Singer, grande drummer per Kiss, Black Sabbath, Badlands, … e per Clarke, già negli ottimi rockers dal cuore “gotico” Kills For Thrills e, ovviamente Guns n’ Roses, si può parlare di “durate” decisamente superiori) e che ritroviamo con piacere in questi dieci brani d’espressa devozione nei confronti del rock contagioso e vaporoso di retaggio seventies (il “power pop” dei Cheap Trick, tra melodie Beatles-iane e nerbo rock, per esempio), senza dimenticare il glam primigenio di Bowie, Mott the Hoople e Marc Bolan (non è, infatti, un caso trovare qui inclusa una buona rilettura dell’immortale “20th Century boy”) e da alcune stuzzicanti iniezioni blues.
Nessuna velleità di sfida ai “nuovi” campioni dello “street metal” mutante Velvet Revolver, quindi, ma belle canzoni, che stilisticamente riportano la mente indietro nel tempo e che mantengono una validità durevole, senza suonare, poi, così eccessivamente “datate”.
“Space & time” apre il disco con la sua carica ammaliante e sinuosa, per lasciare il posto al dinamismo urgente di “Gimme sum skin”, un ottimo esempio di glam-them old style in versione minimamente attualizzata.
Nelle lente “Enemy” e “Price of love”, nella più frizzante “Can’t get high” e nella bellissima “Shape of things 2 come” (dove all’inizio sembra quasi di sentire un accenno della linea melodica di “All the young dudes”!), il magistrale Duca Bianco nei panni del suo alter-ego alieno Ziggy Stardust e la sua corte d’accoliti sembrano davvero aver lasciato il segno e l'elettro-acustica “Jesus cowboy” è un brano nuovamente alquanto riuscito, caratterizzato da ottime armonizzazioni vocali.
“Train 2 nowhere” è un'altra traccia soft dalle soddisfacenti prerogative, con la sua atmosfera dai connotati rievocanti il classico british (rhythm ‘n’) blues e “Peach” è la seconda cover del platter, andando a pescare nel repertorio di un altro “titolato”, Prince, in modo però, a dire la verità, non troppo incisivo.
Se devo essere sincero, non mi aspettavo molto da questo come-back del biondo canadese emigrato ad Hollywood, ma sono stato molto felice di ricredermi; sempre bella la voce e davvero notevole l’abilità nel sogwriting … un dischetto spesso molto vincolato ai suoi riferimenti eppure, nonostante ciò (anche proprio in virtù dei modelli scelti, che appaiono, nel mercato attuale, come una selezione abbastanza “originale”), parecchio “autentico”.
Dubito che “Stereosonic meltdown” possa avere le caratteristiche per “sfondare” in modo significativo, visti gli orientamenti della discografia contemporanea (ma forse è meglio, tenendo conto dei trascorsi, evitare una qualunque forma di “profezia”), ma tenetelo in considerazione per i Vostri acquisti, se cercate un prodotto melodicamente assimilabile, ben suonato e prodotto, non particolarmente impegnativo e alquanto dilettevole.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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