Copertina 9

Info

Genere:Power Metal
Anno di uscita:2016
Durata:56 min.
Etichetta:Ulterium Records

Tracklist

  1. PAPER TIGER
  2. GHOST SHIP
  3. THE WONDER OF IT ALL
  4. WISHING WELL
  5. AROUND THE WORLD AND BACK
  6. STIR THE EMBERS
  7. A CALL TO ARMS
  8. CURRENCY IN A BANKRUPT WORLD
  9. CASTAWAY
  10. EASTER

Line up

  • Matt Smith: vocals
  • Val Allen Wood: lead guitar
  • Jonathan Hinds: guitar
  • Jared Oldham: bass
  • Shawn Benson: drums

Voto medio utenti

“Oooohhhh, ma com’è cresciuto!!”

Una frase che avrete sentito spesso rivolgere ai vostri genitori da parenti o amici più o meno rincoglioniti, riferendosi al fatto che la vostra altezza fosse aumentata di quel paio di cm. I più fortunati di voi l’avranno anche sentita da una qualche sedicente donzella dopo che questa vi ha stuzzicato l’appetito, per usare un eufemismo, ma so che siete pochi.

Personalmente, oltre a pensarla ogni mattina dando un’occhiata sotto alle coperte, sono almeno 2 o 3 settimane che la ripeto ad alta voce (passando per matto) alla fine di ogni ascolto di “Ghost Ship” dei Theocracy, quarto album della (quasi) quindicennale carriera dei metallari filo-ciellini più famosi d’America. E’ un album strano, che inizialmente non mi aveva colpito particolarmente, pur reputandolo fin da subito un buonissimo lavoro. Non mi sembrava assolutamente all’altezza dei due dischi passati, l’ottimo “As the World Bleeds” e soprattutto lo strepitoso “Mirror of Souls”, a parere di chi scrive uno dei migliori album power degli ultimi 15 anni. Sembrava piuttosto attestarsi sul livello del buon esordio dei georgiani (georgici? Come diavolo li distinguo da quelli di Kaladze?), ma niente di più, con somma delusione del sottoscritto, che aspettava un loro album come loro stessi aspettano la nuova venuta di quel tizio coi capelli lunghi e la barba da hipster.
Un destino da 7, al massimo 7.5 per “Ghost Ship”. Poi che succede? Succede che i miei..ehm..mille impegni (leggasi: memoria di merda) mi impediscono di scrivere la recensione immediatamente a seguito dell’uscita dell’album..e nel frattempo gli ascolti si accumulano. E il disco cresce, cresce e cresce ancora, fino a diventare esattamente quello che fondamentalmente è sempre stato, ma non ero sufficientemente illuminato per capire: un album della Madonna. No, non nel senso che è un concept incentrato sulla figura di Maria di Nazareth, anche se da loro ce lo si potrebbe aspettare.
Se inizialmente i due singoli presentati, la title track “Ghost Ship” e “Wishing Well”, mi sembravano i due pezzi più forti del disco, a distanza di quasi un mese i ruoli si sono praticamente invertiti. Bellissimi, ma il resto è splendido. L’opener “Paper Tiger” è un up-tempo power di una bellezza strepitosa, roba che solo pochi al giorno d’oggi sarebbero in grado di comporre, mentre la successiva e già citata title-track è forse il pezzo che più ci mostra la “nuova” anima dei Theocracy, quella che ha sacrificato parzialmente l’anima power per ricercare soluzioni più affini all’AOR e all’hard rock. Intendiamoci, le chitarre di Hinds e Wood picchiano ancora e ci regalano riffoni paurosi e ottimi (seppur pochi) assoli, ma l’associazione tra il power, il prog e l’AOR è, in questo disco, più netta che mai e “Ghost Ship”, col suo ritornello così fottutamente anni ’80, al limite della disco, ne è forse l’esempio più lampante.
The Wonder of it All” riprende un po’ il discorso lasciato aperto dall’opener, pur rallentandone i ritmi, lasciando spazio alla già citata “Wishing Well”, decisamente più cadenzata e marziale di quanto sentito finora e con un ritornello che farebbe felice il buon Tobias Sammet. Appropò Tobi, ma chiedere a Matt Smith di fare una capatina sul prossimo Avantasia no eh?
Chiusa parentesi, il brano attorno al terzo minuti ingrana un paio di marce e riparte in quarta, sfoderando una parte finale eccellente, con una sezione ritmica particolarmente sugli scudi.
Around the World and Back” è una perla di rara bellezza, perfettamente incastonata al centro del diadema “Ghost Ship”. Bellissima da capo a coda, 5 minuti precisi di puro orgasmo musicale, in cui il talento dei Theocracy erutta in maniera devastante, travolgendo chiunque si trovi davanti alla loro furia divina. Matt Smith poi cesella il tutto con una voce immacolata, benedetta e cristallina, confermandosi come una delle ugole più interessanti del panorama metallico tutto. Un brano arioso e realmente gioioso, che trasmette energia e buona volontà a ondate. Fossero così le celebrazioni, andrei a Messa tutti i giorni.
La successiva “Stir the Embers” veste quasi i panni del brano thrash, soprattutto nel ruvido abbinamento strofa-bridge, salvo sfociare in un ritornello più heavy-power ma non per questo meno azzeccato, mentre “Call to Arms” riprende un po’ il tema incattivito della sorella, acquisendo ancor più marzialità nel suo sviluppo fino all’antemico ritornello.
Currency in a Bankrupt World” invece è stata una delle canzoni che fin da subito aveva catturato la mia attenzione, per poi crescere esponenzialmente insieme a tutto il resto, per via di un intreccio strofa-ritornello che zompa il classico bridge a pié pari, stupendo per questo grazie soprattutto al caramelloso chorus, fattore che non riesce purtroppo a elevare anche la successiva “Castaway”, che si perde un po’ nel mare magnum di bellezza che la circonda, risultando a conti fatti l’unica canzone un po’ deboluccia dell’intero disco, dove per deboluccia s'intende che farebbe la gioia del 98% dei gruppi speed/power del globo.
Momento di stanca che finisce esattamente com’è iniziato, perché a chiudere “Ghost Ship” arriva un brano strepitoso e celestiale qual è “Easter”, quasi 10 minuti di suite intrisi di una grazia e un’armonia rari. Azzardata forse, “colpa” di una struttura da brano prog, genere che i Theocracy ci hanno peraltro già dimostrato di saper padroneggiare con estrema perizia, ma un azzardo che alla lunga paga i suoi dividendi in maniera grandiosa, grazie ad un’esplosione di fascino e godimento seguente a un inizio in sordina. Un cantico, un’ode al Creato, un’ordalia tanto amena quanto perigliosa da affrontare, il modo perfetto per scolpire nella pietra un disco pressoché perfetto.
Per chiudere il cerchio, mettiamoci pure una bellissima copertina a cura del solito Felipe Machado e un comparto tecnico (produzione, mixaggio, registrazione) a livello dell’eccellenza, grazie al lavoro dello stesso Matt Smith, che si dimostra ancora di più artista a tutto tondo.

Insomma, a volte consegnare una recensione in ritardo fa solo bene al giudizio finale. Il tempo, si sa, sa essere bastardo sia in bene che in male..il fatto è che i Theocracy, per tutta una serie di motivi, sono protetti dall’Altissimo e quindi il male non sanno nemmeno cosa sia. La loro “Ghost Ship” esce indenne dalla tempesta dei primi ascolti, attraversa la spuma del tempo e, grazie ad una maturità e ad una bellezza tout-court, si ritaglia il suo spazio tra le migliori uscite di questo 2016, trascendendo generi e etichette.
Perchè solo gli stupidi non cambiano mai idea.

Quoth the Raven, Nevermore..
Recensione a cura di Andrea Gandy Perlini

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 20 nov 2016 alle 10:03

figa! addirittura 9! lo ascolterò quanto prima!

Inserito il 18 nov 2016 alle 00:17

Sì ma Mirror of Souls che sublimita' continua ad essere?!? ... Vabbe', godiamoci comunque questo! In ogni caso vi siete meritati la menzione sulla pagina dei Nostri e lo Spirito santo aleggia fra di noi. Ma Mirror of souls, ragazzi...

Inserito il 17 nov 2016 alle 11:43

condivido il pensiero di rising74.. l'entusiasmo del buon gandy mi sembra eccessivo.. ma già con gli haken eravamo su binari diversi :P

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