Copertina 7

Info

Anno di uscita:2016
Durata:40 min.
Etichetta:Underground Symphony

Tracklist

  1. IN HOC SIGNO VINCES
  2. SILENCE AND ME
  3. LONELY BOY
  4. NEVER NEVER
  5. THE ART OF BLEEDING
  6. INTO SHADOWS
  7. WHO DO YOU THINK WE ARE
  8. THE SECOND WAVE
  9. THE SAME OLD STORY
  10. GRAVITY
  11. THIS IS THE PLACE

Line up

  • Beppe Careddu: vocals
  • LuKo: guitar
  • Six: guitar
  • Nicola Baglivi: bass
  • Marzio Francone: drums

Voto medio utenti

I Burning Rome sono un'altra nuova realtà italiana di tutto rispetto. Nati nel 2014, dopo un breve periodo di rodaggio, i cinque ragazzi di Torino hanno iniziato a scrivere il materiale che sarebbe finito in "The New Era Begins". Un tour di supporto a Udo Dirkschneider e agli Anvil li ha aiutati a trovare l'affiatamento giusto ed ora eccoli qui a presentarci l'esordio per Underground Symphony.

L'album (un concept ambientato in un mondo governato dalle scimmie ai tempi dell'Impero Romano) è un concentrato di (brevi) tracce alternative/nu metal che hanno negli Slipknot e figli più o meno legittimi le principali influenze. "In Hoc Signo Vinces" è un'apertura inquietante e atmosferica, fatta di versi animaleschi e sonorità sinfoniche/elettroniche. "Silence And Me" (da cui è stato tratto anche un video) si caratterizza per l'incedere marziale di memoria Rammstein della strofa e per un ritornello melodico che potrebbe ricordare i Rage di fine Anni Novanta. Già dal primo brano si intuisce una produzione che non valorizza appieno la voce e che tende a suonare un filo troppo "loud". "Lonely Boy" è un altro ottimo brano dal ritornello melodico e dallo special azzeccato. Il basso distorto ci introduce a "Never Never", cinque minuti che profumano ancora di Slipknot e che purtroppo sfumano nel finale. "The Art Of Bleeding" è un potenziale singolo, semplice e diretto, valorizzato nuovamente da un ritornello a dir poco magnetico. "Into Shadows" farebbe pensare a qualche evoluzione elettronica ma è solo accennata, e ritorna presto su territori heavy rock più tradizionali. Presenta poche novità "Who Do You Think We Are" (se non per il bel break terzinato) e lo stesso si può dire per "The Second Wave" (una specie di lento che alle mie orecchie ha ancora qualcosa dei Rage). Seguono "The Same Old Story", costruita intorno ai cambi di passo e alle diverse timbriche delle chitarre, e "Gravity", che brilla per un ottimo assolo di chitarra. "This Is The Place", nonostante qualche reminiscenza Tool, lascia un po' di amaro in bocca per i cantati non efficacissimi.

Per essere un debutto, sono sicuramente le luci a predominare sulle ombre. Ascoltando il full-length ho notato due aspetti che, in un certo senso, mi hanno fatto abbassare la valutazione complessiva. In primo luogo penso che l'omogeneità della proposta possa essere un'arma a doppio taglio (i brani sono tutti mediamente brevi e tirati): il confine tra coerenza e monotonia è storicamente molto labile, e gli spunti per evolvere il sound già ci sono (elettronica, orchestrazioni, ecc.). Inoltre, ed è un dettaglio legato alla prima nota, ho sentito la mancanza di un vero e proprio "lento" che smorzasse un attimo i toni: sto forse invecchiando io? Detto questo, bravi Burning Rome.

Recensione a cura di Gabriele Marangoni

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